Vocazioni e università: “La meta da raggiungere è l’incontro”
"Il germe vocazionale - sottolinea Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’educazione, la scuola e l’università - affonda nei primi anni di vita, ma gli anni universitari sono una stagione decisiva anche in ambito vocazionale, una stagione di scelte, assunzione di responsabilità e apertura di spazi di libertà; per molti giovani sono il luogo del discernimento"
È in corso di svolgimento a Roma da ieri a domani venerdì 5 gennaio il Convegno nazionale vocazionale e di pastorale universitaria dal tema “Creare casa” (espressione usata da Papa Francesco al numero 217 dell’esortazione apostolica “Christus vivit”, pubblicata a chiusura del Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”), promosso dagli Uffici nazionali Cei per la pastorale delle vocazioni, l’educazione, la scuola e l’università.
L’appuntamento è stato aperto dall’intervento, svolto in videocollegamento, del segretario generale della Conferenza episcopale italiana monsignor Giuseppe Baturi: «Il tema della vocazione – esordisce il presule – è il tema della ricerca del proprio ruolo nella vita e riguarda anche l’università. A sua volta, il tema della casa è legato alla speranza». D’altra parte il Papa ha scritto: “Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere”: «Quando due innamorati si vogliono bene – aggiunge monsignor Baturi – pensano a una casa, e quando la famiglia cresce la casa si ingrandisce. La casa, inoltre, custodisce la speranza di un bene per sé e per gli altri, e infine ricorda e testimonia che non si può vivere senza pensare che tutti gli altri fanno parte, come noi, di una casa comune».
Ieri si è svolta la prima giornata di convegno dal tema “La casa di Nazareth”, oggi verrà approfondito il tema “casa di Cafarnao”, per poi “tornare” in Galilea domani, giornata finale dell’evento: «Vogliamo ricreare in questi tre giorni il clima della casa che abbiamo messo a tema di questo convegno», spiega don Michele Gianola, sottosegretario della Cei e direttore Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, introducendo i lavori: «Il tema “Creare casa” che abbiamo scelto per il convegno – riprende don Gianola – deriva da un’espressione di papa Francesco, al n. 217 dell’esortazione apostolica “Christus Vivit”, e ci invita a far sì che le nostre esperienze ecclesiali assomiglino almeno un po’ ad una casa. I lavori del convegno ruoteranno intorno a tre luoghi raccontati dal Vangelo. Anzitutto, oggi (ieri per chi legge), la casa di Nazareth, città nella quale Gesù ha vissuto un lungo tempo della sua vita, facendo un parallelo con la Nazareth del nostro tempo, la città in cui viviamo. Domani (oggi per chi legge) andremo a Cafarnao, luogo del primo ministero di Gesù. Le case in cui viviamo non sono solo strutture; sono soprattutto le relazioni che viviamo, all’interno delle quali si incarna e scorre la vita dello spirito. L’ultimo giorno si farà ritorno in Galilea; anche noi poi torneremo nelle nostre Galilee, con la speranza certa di incontrare il Signore e capire quali sfide il futuro ci presenta».
Quindi, durante i lavori del convegno, è stato proiettato il video – a cura del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica – contenente la testimonianza di don Emilio Scarpellini, cappellano universitario all’Università di Milano Bicocca, il quale ha paragonato il passaggio dalla sua parrocchia alla cappellania universitaria ad un cambio di passo da quello del centometrista a quello del maratoneta. Una video-testimonianza commentata da Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’educazione, la scuola e l’università che, insieme all’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, promuove il convegno: «Ho accettato subito la proposta di don Michele di coinvolgere anche il mondo della pastorale universitaria nel convegno di quest’anno – racconta Diaco -. Mai fare da soli quello che si può fare insieme. La pastorale universitaria e la pastorale vocazionale sono strettamente collegate, anche perché si muovono entrambe nell’alveo della pastorale giovanile. Il germe vocazionale affonda nei primi anni di vita, ma gli anni universitari sono una stagione decisiva anche in ambito vocazionale, una stagione di scelte, assunzione di responsabilità e apertura di spazi di libertà; per molti giovani sono il luogo del discernimento».
Quindi un nuovo passaggio del video: «Davvero – testimonia don Scarpellini – non pensavo di poter un giorno entrare in questo mondo così prezioso e importante, perché qui si creano le menti, la cultura, il cuore, la coscienza delle nuove generazioni. Dovevo imparare anzitutto, prima ancora di incontrare o evangelizzare, ad incontrare me ed evangelizzare me cambiando il passo, da quello del centometrista, che è il ritmo della parrocchia, al ritmo del maratoneta, che non significa fare meno, ma fare in maniera meno frenetica». Per il cappellano universitario, l’obiettivo è allenarsi all’attesa: «Qui – precisa – la meta da raggiungere è l’incontro». E alla domanda su come sia la sua nuova “parrocchia”, il presbitero ha risposto: «Multiculturale, pluriforme ed essenzialmente laica – constata don Emilio -. L’università è un ambiente laico in cui mi sento molto rispettato».
Hanno poi portato la loro testimonianza anche tre studenti dell’Università Bicocca. Per Federico, «trovare un sacerdote all’interno dell’università è stata una novità. Don Emilio è un compagno di viaggio, una persona che ti sta vicino, non ti impone nulla, ascolta un po’ anche il ritmo del tuo cammino e dei tuoi pensieri». Interviene poi Cecilia: «È importante – sottolinea – che ci sia un prete, che comunque ti sostenga». Conclude poi Riccardo: «Meno male che c’è – osserva -. Secondo me c’è tanto bisogno di essere ascoltati. Basta semplicemente un dialogo normale, una chiacchierata come questa. Penso che poi da lì venga fuori tutto. Più che fare, forse, il cappellano deve sempre più esserci come persona, come persona credente, partendo proprio dalla relazione umana».