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Pace: “Se non la cercano le religioni, la via del disarmo sarà più difficile”

"La pace è un processo - afferma la buddologa Mariangela Falà -, un cammino, è qualcosa che sta sempre in movimento, è dinamica. Un trattato che finisce, una guerra vive. Pensate a quanti trattati hanno creato nei secoli scorsi altre guerre. Quindi la pace non è una volta per tutte, ma si costruisce momento per momento, passo dopo passo". Aggiunge l'imam di Teramo Moustapha Batzami: "La pace quindi è possibile. Bisogna cominciare a costruirla insieme, abbattendo barriere, pregiudizi, creando momenti di incontro e di reciproca conoscenza. Le nostre diversità non siano una scusa per falsi conflitti e presunti scontri di civiltà, ma una fonte di arricchimento per crescere insieme"

Lo hanno affermato lo scorso venerdì l’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti, la buddologa Mariangela Falà e l’imam di Teramo Moustapha Batzami, nell’ambito del confronto interreligioso “Faccia a Faccia”

L'imam di Teramo Moustapha Batzami, l'arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti e la buddologa Mariangela Falà

Una Biblioteca diocesana “Carlo Maria Martini” gremita di pubblico, venerdì sera a Pescara, ha fatto da sfondo all’incontro dal tema “Faccia a faccia. Dialogo e confronto per costruire la pace”, organizzato dall’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso e la Caritas diocesana di Pescara-Penne nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in corso da giovedì 18 a giovedì 25 gennaio, e all’interno del ciclo di incontri denominato “Seminando la pace”. Ma quest’incontro è andato oltre il cammino ecumenico delle Chiese cristiane, con il tradizionale scambio dei pulpiti, dando vita ad un momento di dialogo interreligioso tra la religione cristiano-cattolica rappresentata dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, quella buddista rappresentata dalla buddologa Mariangela Falà e quella islamica rappresentata dall’imam di Teramo Moustapha Batzami.

Mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, introduce il confronto

Un incontro, quest’ultimo, nato per una motivazione ben precisa: «Di solito la preghiera la Settimana di preghiera dell’unità dei cristiani – premette il presule – è una settimana che coinvolge un po’ gli addetti ai lavori e soprattutto coinvolge, molto spesso, i cattolici e i cristiani di altre di altre confessioni. Ma ciò che stiamo verificando sempre di più, ciò che stiamo sperimentando sempre di più, è che in realtà la dimensione dialogica ad intra è importante, ma è ancora forse da scoprire e da approfondire una dimensione dialogica ad extra perché il tempo che stiamo vivendo a me fa molta paura, ve lo dico con molta sincerità. Sembrerebbe quasi che non solo i tantissimi piccoli conflitti che sono sempre stati presenti sull’orbe terraqueo potessero avere in qualche modo una certa rilevanza, ma che ci fosse la necessità da parte di non so chi di far emergere dei conflitti pesantissimi, così come il conflitto tra l’Ucraina e la Russia, ma che poi sappiamo molto bene che non è un conflitto tra l’Ucraina e la Russia. Perché la sua dimensione è molto più ampia di quanto si voglia far pensare o si voglia far credere, attraverso una comunicazione che molte volte è molto di parte e non è assolutamente oggettiva. A questo si è aggiunta una dimensione di guerra latente, molto latente, perché c’è sempre stata all’interno della realtà israelo-palestinese. Sembrerebbe quasi che non ci siano possibilità di mediazione e sembrerebbe quasi, io qui giungo a una valutazione molto pesante, che non ci siano volontà di mediazioni, perché quelle si possono sempre trovare. I risvolti di questa realtà sono essenzialmente la mancanza di dialogo e artefici del dialogo. Se a muoversi non sono le religioni, se non sono le fedi, se non sono coloro che hanno un riferimento a una vita interiore, non dico solamente al soprannaturale, ma anche a una vita interiore, chiaramente le capacità di sedersi a dei tavoli per trovare le vie della pace, le vie del disarmo e le vie della convivenza civile pacifica e cordiale diventano sempre più difficili. Si aggiunga a tutto questo che, molte volte, l’aspetto della dimensione non dico di fede, ma della dimensione religiosa, viene tirato in campo per avallare quella che può essere una situazione veramente drammatica».

A tal proposito, la Chiesa di Pescara-Penne non è rimasta a guardare dando vita – da qualche tempo – ad un’iniziativa artistica volta a promuovere la pace: «Credo che tutti sanno – conferma l’arcivescovo Valentinetti – che la nostra comunità diocesana, ormai da due anni, porta avanti un’iniziativa culturale molto impegnata da un punto di vista musicale, “Note di bellezza per la pace”. Non sono concerti fatti per il semplice guasto di farli, sia ben chiaro. Noi facciamo musica per realizzare un’elevazione dello spirito, perché siamo convinti che solo se c’è quest’ultima possiamo trovare la possibilità di cominciare da noi a metterci seduti ad un tavolo per cominciare a crescere nella pace».

E prima di passare la parola ai suoi ospiti, l’arcivescovo di Pescara-Penne ha voluto ispirare il confronto leggendo uno scritto – sul tema della pace e della guerra – di un padre della Chiesa dei primi secoli del Cristianesimo, “Il pedagogo” di Clemente di Alessandria: “Vivendo già su questa terra quella vita celeste per la quale diventiamo dei, riceviamo l’unzione sempre rinnovata della gioia e l’unzione purissima del profumo, avendo come esempio fulgente di incorruttibilità la vita del Signore e seguendo le tracce di Dio. A Lui solo spetta considerare, e lo fa, in che modo la vita degli uomini sia più salutare per indirizzarci ad una vita semplice e frugale. Egli dispone per noi il modo di vivere di chi, ben equipaggiato ma libero nei movimenti, cammina verso la vita eterna e felice, insegnandoci che ciascuno di noi dev’essere – per se stesso – la propria riserva di provviste. Non affannatevi per il domani, dice Colui che – arruolato alla sequela di Cristo – deve condurre una vita semplice, senza farsi servire giorno dopo giorno. Non veniamo educati alla guerra, infatti, ma alla pace. La guerra richiede molti preparativi e una vita lussuosa esige molti beni. La pace e l’amore, invece, sono fratelli semplici e tranquilli che non abbisognano di armi, né di preparativi straordinari. Loro nutrimento è la Parola. La Parola, che ha il compito di indicarci la via e di guidarci. Da Lui impariamo la semplicità, la modestia e tutto l’amore per la libertà, per gli uomini e per il bene; in una parola, diventiamo simili a Dio grazie alla familiarità con la virtù. Fatti simili a Dio”.

Dopo questa premessa è intervenuta la buddologa Mariangela Falà: «Grazie per questa introduzione – esordisce – che ci ha messo veramente di fronte alla semplicità della pace e alla difficoltà della guerra, anche se oggi parliamo tanto di guerra, ma siamo qua a cercare la pace e cercarla significa educarci, come diceva appunto il padre, perché è l’educazione forse quella che ci salverà, oltre alla bellezza come qui si è detto ed è sicuramente, anche per me, importante. Perché l’educazione ci permette di vedere al di là delle nostre chiusure, dei nostri egoismi, dei piccoli orticelli, per capire che siamo tutti sulla stessa barca. Siamo tutti su questa stessa terra, su questo luogo che sta girando. È importante il dialogo, perché se non c’è che pace facciamo? Se ognuno parla e non ascolta l’altro, non c’è alcuna possibilità di arrivare, come diceva poco fa il vescovo, a poter discutere, a poter trovare una soluzione. Perché la soluzione si trova se cominciamo a vederci negli occhi, se cominciamo a vedere l’altro come un altro essere come noi che cerca le stesse cose, cerca di stare bene, cerca una famiglia, cerca la felicità, cerca la pace e si trova a dover vivere nella guerra. Cerca la pace e siamo fragili, come quel Palazzo di vetro (la sede dell’Onu a New York) in cui dovrebbe esserci tanta capacità di rompere la catena della violenza, della guerra, ma che mostra oggi una grande fragilità nei suoi cristalli e nei suoi vetri».

Fatta questa introduzione, la professoressa Falà è passata alla riflettere sul modo di concepire la pace secondo il pensiero buddista: «Una via spirituale che è nata 2600 anni fa – spiega l’esperta – lontano da qua, ma che essendo una via in cui si parla dell’uomo, si parla della sua ricerca di riuscire a trovare un senso profondo a questa vita che dobbiamo essere grati di avere, perché una delle indicazioni più vicine al buddismo è che questa vita è preziosa e non possiamo sprecarla con inutili egoismi e inutili chiusure, ma dobbiamo aprirla, aprirla agli altri, aprirla all’ascolto. Una delle più grandi qualità che devono essere sviluppate, la prima che viene indicata, si chiama “dana” che significa dare. La radice è la stessa. “Dana” significa essere aperti, essere disponibili, riuscire a non pensare soltanto al proprio orto, al propria interesse, ma rompere la barriera e capire che soltanto nell’apertura, nel dare, si è anche capaci di ricevere. Perché nel dare si è in due, c’è chi dà e chi riceve e questo è fondamentale, in quanto è fondamentale la relazione. Noi non possiamo essere esseri isolati. Noi tutti qui oggi ci troviamo ad ascoltarci, a riflettere, a parlare e siamo tutti collegati. Siamo tutti collegati dalla nostra vita, da quello che ci ha portato – in un modo o nell’altro – ad arrivare in questo bellissimo luogo. Un luogo molto denso, perché ci siete voi “appollaiati” ovunque, io sono colpita e vi saluto tutti, che siete venuti ad ascoltare alcune parole, alcuni punti di riflessione in un luogo degno, perché questo è anche importante. In questo luogo ci sono tanti libri, oggi forse di libri se ne parla poco, ci sono gli e-book senza materia, ma qui c’è la materia che sono i libri in cui c’è la vita. C’è chi li ha scritti, chi ce li sta trasmettendo, ed è la parola, la parola scritta, la parola che in questo momento io sto condividendo con voi. È la parola che noi umani abbiamo per poterci conoscere, per poter comunicare e la parola è fondamentale. Una parola che nelle tradizioni buddiste ha assunto un punto centrale. Dev’essere vera, dev’essere accogliente, non dev’essere divisiva, non dev’essere chiacchiericcio inutile, perché dietro la parola c’è la nostra vita, c’è la possibilità di avere indicazioni per cambiare, per trasformarci profondamente. Ora la tradizione buddista è un’azione molto complessa, è una tradizione ricca perché, come sapete, nasce in India, poi si diffonde in tutta l’Asia e oggi ne stiamo parlando qua anche a Pescara.

L’intervento di Mariangela Falà, buddologa

Quindi la professoressa Mariangela Falà, è passata ad illustrare le caratteristiche che fanno del buddhismo una religione di pace: «Ha avuto abbastanza diffusione – sottolinea – ed è una tradizione che viene sempre indicata quasi come una religione di pace, una religione di nonviolenza. Ora il termine nonviolenza, molto caro alla tradizione induista, Gandhi ne ha fatto una delle sue battaglie, si chiama “Ahimsa”. Ha un’alfa negativa, una “a” negativa perché il sanscrito è una lingua indoeuropea, quindi Himsa è violenza. Così prima c’è la violenza e che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo metterci quell’“a” negativa davanti, cioè dobbiamo negare la violenza, perché quello che si vede il Buddha lo dice in alcuni suoi testi in cui si vede che c’è una forma di difficoltà, di violenza. Il Buddha dice “Quando è brandito il bastone della violenza genera paura e pericolo. Osservate le persone che litigano, vado a raccontarvi come ho sperimentato il grande dolore nel vedere le persone litigare come pesci in piccoli stagni, in competizione gli uni con gli altri. A vedere questo una paura mi è sorta. Il mondo era completamente senza sostanza e tutte le direzioni erano distrutte”. Quindi, vedere gli uomini che lottano come piccoli pesci nello stagno provoca al Buddha un grandissimo dolore, una grandissima sofferenza. E quando, dopo l’illuminazione, gli fu chiesto quale fosse lo scopo del suo insegnamento, lui disse “Lo scopo è quello di evitare il conflitto con chiunque nel mondo e di porre fine a tutte le tendenze negative della mente umana, impegnando a creare pace, a rompere le divisioni e i litigi”. Questa è la cosa che lo ha spinto a predicare. Quindi che cosa ha visto? Ha visto che c’era “Himsa”, che c’era violenza, che c’era difficoltà, che c’era sofferenza, e quello che voleva indicare è una via di uscita da queste nostre modalità che ci portano purtroppo a cercare la pace, ma a vivere nella guerra. Ma quale guerra? Non soltanto la guerra di eserciti armati, ma anche delle guerre piccole, le guerre dentro di noi, le guerre nelle nostre famiglie, le guerre con il nostro vicino, le guerre con chi era amico e magari non lo è più. Cioè, abbiamo bisogno del nemico e la pace con chi si fa? Si fa con un nemico. Ma allora, se vogliamo evitare che ci sia il nemico, possiamo fare una pace più profonda, una pace che ci possa permettere di vivere insieme, perché non c’è nessun’altra possibilità».

Lo precisa anche un noto testo sacro buddista: «Dobbiamo lavorare su noi stessi – rilancia la Falà – , come dice un testo famoso della tradizione buddista che si chiama “Dhammapada”. Che cosa ci dice? Che siamo noi a fare il male e siamo noi a diventare negativi, ma siamo noi ad evitare il male e siamo noi a diventare puri. La purezza è nelle nostre mani e nessun’altro è responsabile. Ecco, io vorrei sottolineare questo. Se la pace è nelle nostre mani, e quindi sta a noi farla, la facciamo oppure demandiamo ad altri il fare la pace? Lavorare per creare la pace, lavorare per creare prima di tutto una pace interiore. Cominciamo da quello che possiamo fare e quindi, che cosa possiamo fare? Non andare soltanto a vedere le guerre fuori, ma andare a vedere quello che sta dentro di noi, ad osservare se effettivamente abbiamo sviluppato un senso di amorevolezza, un senso di compassione, un senso di rispetto nei confronti di chi ci è vicino e anche nei nostri stessi confronti. Cominciamo anche a vedere quali sono le nostre guerre, perché dentro di noi sappiamo molto spesso che certe cose che abbiamo fatto non dovevano essere fatte, che certi atteggiamenti che abbiamo avuto non sono stati atteggiamenti positivi e quindi dove sta tutto? Il buddismo, dice, “sta nelle vostre mani, non demandate ad altri quello che pensate”. Cioè, non date mai la colpa all’altro, non cercate capri espiatori, non cercate fuori, ma lavorate dentro, perché il primo passo che voi potete fare lo potete fare su voi stessi. Ed è chiaro che per fare passi su noi stessi, in un mondo in cui tutto ci sovrasta, non sappiamo dove cominciare. Secondo le grandi tradizioni di fede, dovremmo cominciare a lavorare su noi stessi, cominciare a essere in pace. Qui stiamo facendo questo incontro, “Le religioni per costruire la pace”. Dovremmo anche pensare “Noi non solo dobbiamo costruire la pace, ma dobbiamo imparare ad essere la pace”. Essere la pace significa cominciare a lavorare su noi stessi, a rompere gli schemi con cui spesso ci troviamo a ad agire, ad avere la responsabilità. Uno dei punti centrali della tradizione buddista è l’offerta, come vi dicevo prima, l’etica centrale e sapere ciò che è importante e ciò che è secondario e quindi vivere una vita in cui ci siano delle scelte fondamentali per capire quali sono le cose importanti e tutto quello che invece è di più, che non serve».

D’altra parte lo stesso Buddha, nei suoi incontri presso i villaggi che visitava, era solito trasmettere solamente tre insegnamenti: «Nel buddismo ci sono ovviamente grandi tradizioni filosofiche, ma era molto semplice “Che cosa dovete fare per vivere in pace nel vostro villaggio? Essere generosi e aperti, rispettarvi uno con l’altro, seguire le regole fondamentali dell’etica, non fare all’altro ciò che non vorresti sia fatto a te. Quindi rispetta la persona, rispetta la proprietà, rispetta la famiglia, rispetta la parola, rispetta il modo di vivere. Quindi vivi in un modo che non faccia mai male all’altro e poi cerca di capire ciò che è importante e ciò che invece è superfluo“. Io trovo che sia anche questo estremamente interessante. Riuscire a vedere nella nostra vita quali sono gli assi portanti che ce la fanno sentire come una vita degna e, in questo modo, poter affrontare degnamente quello che c’è. Quello che c’è è difficile, è terribile. Apriamo qualsiasi giornale e vedere notizie di guerre ovunque, non vogliamo neanche più vederle. Siamo assuefatti! C’è il problema dell’assuefazione alla guerra. Però questa sera siamo tanti qua, dove non c’è la parola guerra, c’è la parola pace e allora forse questo è un segno, un segno di cui dobbiamo tenere conto. Anche nei paesi buddisti si parla di pace, ma non è vero che siano paesi pacifici. Cerchiamo anche di rompere certi miti. Il cristianesimo è una storia d’amore, il buddismo è una storia in cui si sottolinea l’amore e anche l’islam è una storia d’amore. Le grandi religioni non possono essere religioni in cui si nega l’amore. Eppure in tutti i paesi c’è difficoltà di convivenza e nei paesi buddisti non è che non ci siano. Conoscete i problemi della Birmania e dei rohingya, i problemi nello Sri Lanka con varie comunità, dai tamil ma anche con la comunità islamica, per dire soltanto piccole cose. Quello che c’è stato nelle guerre, anche in precedenza, eppure in tutto questo c’è la speranza che qualcosa può cambiare, c’è la possibilità che qualche seme possa essere messo nel terreno, ma va innaffiato per farlo crescere. Qualcuno dirà “Adesso non c’è l’acqua”. Bene, ci sono semi che sono riusciti a fiorire, a rifiorire, a rinascere dopo millenni. E quindi dobbiamo avere questo coraggio di poter mettere questi semi dentro la terra e poterli innaffiare. Forse non oggi o domani, ma cerchiamo di avere una speranza in questo senso».

Un momento del confronto

A tal proposito, la nota buddologa ha citato un esempio storico relativo alla tradizione buddista: «C’è stato un grande imperatore, Ashoka, un guerrafondaio. Un re terribile che aveva conquistato grandi territori nell’India del tempo e ad un certo punto capì che tutto questo era inutile. Lo era talmente che divenne disperato di fronte a ciò che aveva fatto e ha lasciato degli editti su roccia, ancora oggi visibili, in cui ha parlato della sua vita. Dopo aver conquistato un paese, il paese di Kalinga, in 8 anni di potere aveva fatto delle stragi con 150 mila persone che furono portate via come prigionieri e 100 mila uccise. Dopo di ciò Ashoka è diventato seguace della dell’insegnamento del Buddha, avendo rimorsi a causa del pensiero che la conquista non è una conquista perché ci sono state uccisioni, morte o esilio della gente. Questo è fortemente sentito con profondo dolore e rammarico. Ora anche la perdita di una centesima o anche di una millesima parte di tutte le vite che furono uccise o portate via in cattività nel momento in cui kalinga furono conquistati, è considerata deplorevole dall’imperatore. Quindi accade che un re, capo di grandi eserciti, ha conquistato un territorio e poi si è reso conto, io trovo che è molto bello, che la conquista non è una conquista, perché comunque vincitori e vinti continueranno a vivere sotto lo stesso sole, cielo, terra e calpesteranno la stessa terra. E quindi com’è possibile? Va superato, perché il vincitore e il vinto dovranno trovare una modalità per poter vivere. Sicuramente ci sono i vincitori, se andate in giro i monumenti sono sempre i monumenti dei vincitori, trovatevi un monumento per un vinto. Ebbene l’imperatore vuole costruire dei monumenti anche per i vinti, perché anche la millesima parte di tutto quello che c’è stato gli provoca dolore e quindi dice “Tutti gli uomini sono i miei figli – questo è l’editto numero 1 -. Così come desidero, a nome dei miei figli, che essi godano di ogni tipo di benessere e piacere in questo e nell’altro mondo, allo stesso modo, desidero la stessa cosa, la felicità a nome di tutte le persone”. E quindi lavorerà per il resto della sua vita a favorire il dialogo, a favorire la possibilità di convivere e di stare insieme».

Da qui le conclusioni sulla pace secondo il Buddhismo: «E quindi che cosa significa “per il resto della vita”? – s’interroga la buddologa – Che la pace è un processo, la pace è un cammino. La pace è qualche cosa che sta sempre in movimento, è dinamica. Un trattato che finisce, una guerra vive. Pensate a quanti trattati hanno creato nei secoli scorsi altre guerre. Quindi la pace non è una volta per tutte, ma si costruisce momento per momento, passo dopo passo. Quindi è qualche cosa che richiede saggezza, è un cammino che si sceglie coscientemente. Dice un monaco che ha vissuto le guerre in Cambogia per molto tempo, “La pace è qualche cosa che dobbiamo sentire profondamente, è un ascolto. La pace è per chi è un eroe, per chi è capace di superare le barriere, i propri egoismi e le proprie sicurezze. È un viaggio che si compie passo dopo passo e questo viaggio, io mi auguro, che comunque oggi ci possa portare ad una meta che sia di pace. E per arrivarci, volevo soltanto leggervi un altro piccolo testo che viene da un mistico buddista del VI secolo dopo Cristo. Sono poche parole che possiamo portarci a casa e vedere se possono essere anche per noi parola e voce dello spirito. “Tutta la felicità che esiste in questo mondo, sorge dal desiderio della felicità degli altri. Tutta la sofferenza di questo mondo è generata dal desiderio della felicità per se stessi. Che necessità c’è di aggiungere altro? Gli immaturi lavorano per i propri interessi, gli illuminati lavorano per il beneficio degli altri. Considera solo la differenza che c’è tra di loro e quindi vediamo noi se siamo immaturi o se siamo sulla via per avere un po’ più di luce”».

Concluso l’intervento della professoressa Mariangela Falà, è stato l’arcivescovo Valentinetti a leggere alcuni versi di un altro padre della Chiesa, Isacco di Ninive, per favorire ancora di più la riflessione: “Sei un perseguitato, ma non uno che perseguita. Sei un crocifisso, ma non uno che crocifigge. Sei un oltraggiato, ma non uno che oltraggia. Sei un calunniato, ma non uno che calunnia. Sii pacifico, persegui la bontà. Rallegrati con chi si rallegra e piangi con chi piange. Questo è il segno della limpidezza. Con i malati fatti malato, con i peccatori affliggiti e con coloro che si convertono gioisci. Sii amico di ogni uomo, ma solitario nel tuo pensiero. Unisciti alla sofferenza di ogni cosa, ma col tuo corpo tieniti lontano da ogni cosa. Non accusare nessuno e non rimproverare nessuno, neppure coloro le cui condotte fossero molto cattive. Stendi il tuo mantello sul peccatore e coprilo. Se tu non puoi prendere sulla tua anima le sue mancanze e ricevere il castigo al suo posto, almeno sopporta di essere svergognato per non svergognare lui. Non sei un servo della pace? Almeno non essere un agitatore”.

Quindi è intervenuto l’imam di Teramo Moustapha Batzami: «Stasera, con l’aiuto del Signore – afferma l’imam musulmano -, vogliamo confrontarci per costruire la pace. Da credenti di diverso orientamento religioso, ci ritroviamo coinvolti in prima persona per un impegno comune. Il nostro ritrovarci qui che comunque, nonostante tutto quello che si sente in giro, nonostante tutte le problematiche, fa molto piacere vedere questa sala molto piena di persone che, ovviamente, sono qui perché hanno a cuore la questione della pace. Questo nostro impegno parte dal desiderio di fare qualcosa, seppur minima, ma farla ugualmente per sostenere la pace. Il nostro impegno, nel nostro piccolo, potrebbe apparire una minuscola, insignificante goccia in un oceano molto agitato qual è il nostro mondo, ma non importa. Dobbiamo perseverare, ognuno faccia la sua parte e il nostro Signore pensa al resto. Lo scorso mese di dicembre, un amico sacerdote marchigiano del Movimento dei focolari mi ha fatto contattare dal parroco della chiesa che si trova a Stella di Monsampolo, in provincia di Ascoli Piceno, e mi ha chiesto di scrivere da musulmanoun articolo sul Natale e la pace che sarebbe stato poi pubblicato sul periodico della parrocchia. Mi ha fatto molto piacere e l’ho accontentato. Ho scritto questo articolo, che è stato effettivamente pubblicato, e tra le tante cose avevo scritto “Se solo la gente tornasse a riflettere sulla missione, Gesù misericordia amore e pace di cui il nostro mondo ha tanto bisogno in questi giorni. Ci sono tantissime idolatrie che causano il totale smarrimento dell’uomo, lo portano alla sopraffazione, a ragionare solo con le armi, a distruggere inconsapevolmente la casa comune dell’intera umanità. Il totale smarrimento del nostro tempo ci fa apparire ridicoli. Cerchiamo la pace mentre continuiamo a costruire armi, anche di distruzioni di massa, e a contrabbandarle incuranti delle conseguenze. Cerchiamo forme di vita extraterrestri mentre distruggiamo quelle già esistenti sul nostro pianeta. Vorremmo comunicare con gli alieni, con gli extraterrestri, ma non ci curiamo neanche di rivolgere un saluto al vicino di casa quando lo incontriamo per le scale del nostro condominio. Concorriamo nella distruzione della famiglia e spendiamo fior di risorse per soppiantarla con delle invenzioni maldestre che nulla hanno a che fare con il concetto della famiglia vera e propria, cellula vitale della società. Se questa famiglia si sgretola, una delle conseguenze sarà proprio quella di perdere il concetto della pace“».

Moustapha Batzami, imam di Teramo

A detta dell’imam Batzami, dunque, sono molteplici le contraddizioni palesi dei nostri tempi: «E le ignoriamo – aggiunge – facendo finta di nulla. L’uomo crede di essere cresciuto, di essere diventato maturo, di non avere più bisogno di Dio. Anzi, alcuni si comportano come se fossero degli dei. Poi arriva una pandemia, dove l’agente scatenante è un essere invisibile all’occhio nudo che costringe l’uomo, che prima credeva di potersi sostituire a Dio, a rintanarsi, a ritornare sui suoi passi. Lo costringe a cambiare abitudine, a fare di tutto per difendersi. È vero che l’uomo avrebbe trovato nel vaccino la soluzione al problema, ma qual è stato il costo, soprattutto in vite umane! Ma l’uomo, che ha fede, sa benissimo che Dio, il Signore nostro, non ci ha abbandonato su questo pianeta. Egli, quando ci ha mandati per popolare la terra, ci ha inviato anche degli incaricati da Lui per mostrarci la retta via da seguire e vivere in pace. Quella pace con la “P” grande, che però inizia con quella interiore, che ognuno – prima di tutto – deve sentire e vivere e che devono vivere le famiglie dopo, per poi vederla fiorire in tutta la società. La pace, quella che viene da Dio, è giusta perché proviene da Dio, pace Lui stesso. Ed è una pace giusta, perché tutti gli umani ne hanno diritto e, data la sua fonte divina, è anche sufficiente per tutti. Abbiamo bisogno di ritrovare la pace, che ci permette di vivere insieme nel più totale rispetto reciproco, benevolenza e altruismo, senza sentire ogni giorno parlare di femminicidi, matricidi e patricidi. La pace che insegna ai giovani come onorare i genitori, a rispettare gli anziani e a essere teneri verso i più deboli».

Un obiettivo che può essere raggiunto, prendendo a modello persone di buona volontà che si impegnano per promuovere e realizzare una pace globale senza mai arrendersi: «Persone – afferma l’imam di Teramo – come il Santo Papa e il Grande Imam di Al Azhar, che firmarono il sapiente e illuminante “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. Perché, a mio avviso, è come ci ricorda anche il Sacro Corano, “Siamo fratelli discendenti dalla stessa coppia, dallo stesso padre e dalla stessa madre”. Dice il Corano nel capitolo 49 versetto 13 “Uomini, vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché possiate conoscervi gli uni gli altri”. Quindi conoscersi gli uni le altre, non farsi la guerra a vicenda, non sottomettere un popolo sotto l’altro per poterlo sfruttare. Ecco, la pace quindi è possibile. Bisogna cominciare a costruirla insieme, abbattendo barriere, pregiudizi, creando momenti di incontro e di reciproca conoscenza. Le nostre diversità non siano una scusa per falsi conflitti e presunti scontri di civiltà, ma una fonte di arricchimento per crescere insieme. Occasioni come questa, incontri come questo, ovviamente, fanno crescere questa cultura del desiderio della pace e di lavorare per creare ogni occasione utile a far fiorire questo concetto del quale noi abbiamo bisogno. Perché adesso la situazione diventa sempre più drammatica, si stanno aprendo altri fronti di guerra in altre parti del mondo. Io non si sa come andrà a finire. Ci vogliono persone di buona volontà, persone che hanno a cuore la sorte dell’umanità, perché se si scatenerà un disastro globale, solo Dio sa quali saranno le conseguenze. Quindi dobbiamo, da credenti, sempre fare affidamento alla preghiera, che ci permette di entrare in contatto con Dio pace e chiedergli di facilitare, di illuminare la strada, alle persone che sono state accecate dal materialismo, dall’avidità e dalla voglia di avere tutto da soli. Bisogna cercare di illuminare il nostro, i loro cuori, e farli convertire alla pace e alla tolleranza. Grazie, il Signore vi dia pace».

In chiusura dell’incontro, è stato l’arcivescovo di Pescara-Penne a tirare le somme, facendo riferimento all’intervista rilasciata da Papa Francesco a Fabio Fazio all’interno della trasmissione televisiva “Che tempo che fa”, in onda domenica 14 gennaio su Nove: «Vi faccio una confidenza – rivela il presule -, perché ho avuto la grazia, la fortuna di dialogare con Papa Francesco personalmente su questo tema della guerra e della pace. Papa Francesco è convinto di una cosa, che le religioni sono strumentalizzate ai fini della guerra. Ci sono chiaramente persone che si lasciano strumentalizzare, questo è inevitabile, però l’origine di questi conflitti non risiede assolutamente nella dimensione religiosa, questo sia ben chiaro, così come non risiede nell’incapacità politica di trovare delle soluzioni ai problemi, Papa Francesco è convintissimo di questo. Risiede, purtroppo, in quella che è la dimensione della fabbricazione e della sperimentazione delle nuove armi che si stanno producendo e che stanno riempiendo nuovamente gli arsenali di guerra. Ora su questo è difficilissimo intervenire, molto difficile, perché ci sono degli interessi economici e finanziari enormi, ma le nazioni che veramente volessero sul serio la pace. E qui mi riferisco a all’Europa, che è sparita letteralmente di fronte a una presa di posizione nei confronti delle dei conflitti che si stanno giocando sull’orbe terracqueo che si stanno moltiplicando, purtroppo, come giustamente ha detto l’imam».

Il folto pubblico che ha gremito la Biblioteca diocesana “Carlo Maria Martini”

E Pax Christi, l’organizzazione pacifista ecclesiastica in passato presieduta dall’arcivescovo Valentinetti, aveva elaborato una proposta per allentare e dissolvere i conflitti: «L’aveva elaborata non solo Pax Christi Italia – puntualizza l’arcivescovo -, ma anche Pax Christi internazionale, si trattava di una riforma dell’organismo delle Nazioni Unite. Fino a quando gli stati, le nazioni, i raggruppamenti di stati, mi riferisco all’Europa, mi riferisco all’America, mi riferisco anche all’Asia, non avranno il coraggio di eliminare il diritto di veto di alcune nazioni sulle decisioni di quel Palazzo di vetro – che ha i vetri molto fragili come ha detto giustamente la professoressa Falà – noi non ne verremo a capo. Questo da un punto di vista di riflessione globale. E ci sarà sempre qualcuno che poi prenderà la palla al balzo, per propri interessi politici, per andare ad abbaiare ai confini di qualche altra nazione. Non sono parole mie, ma sono parole di Papa Francesco dette a me, a tu per tu. Detto questo, carissimi amici, io credo che la riflessione di questa sera ci sia servita per rinfocolare prima di tutto il desiderio di pace, che dobbiamo portare nel cuore ognuno di noi e nella nostra vita e nella nostra esistenza e nelle scelte e nel nostro quotidiano, ma non dobbiamo trascurare che noi dobbiamo riprendere in mano qualche azione di carattere politico serio per poter far sentire la nostra voce, in modo tale che qualcuno cominci a dire che con la guerra tutto è perduto, con la pace tutto è guadagnato. Ricordiamo Benedetto XV.  Se un Papa, nella Prima guerra mondiale, dice agli europei che sarebbe stata un’inutile strage, ed è vero che sarà inutile ed è stato altrettanto vero quello che ha detto la professoressa, cioè che i trattati non è che risolvono i problemi, hanno creato i problemi, se sono poi basati su una dimensione di di non di non equità».

Il prossimo appuntamento del ciclo “Seminando la pace”, si terrà sabato 24 febbraio – triste anniversario della scoppio della guerra tra Russia e Ucraina – presso la Libreria “Primo Moroni” di Pescara, quando si terrà un aperi-libro: un aperitivo unito alla presentazione del libro “Disarmati. Paesi senza esercito e altre strategie di pace”, edito da Le talpe, e scritto da Riccardo Bottazzo.

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Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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