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Teologia: “Deve parlare alla città per dialogare con le istituzioni”

“Ci sono delle belle novità - preannuncia l'arcivescovo Valentinetti - che legheranno ancora di più la realtà universitaria di Chieti-Pescara alla realtà ecclesiastica abruzzese e molisana. E questo è sicuramente un legame che ci porta ad essere sempre più attenti e sempre più presenti dentro questo dialogo che deve essere sempre più proficuo. Il mio auspicio è che si possano intensificare i rapporti tra l'Università e l'Istituto superiore di Scienze religiose, magari con delle convenzioni, riconoscendoci vicendevolmente dei corsi, se fosse possibile"

Lo ha affermato giovedì 7 novembre don Alessio De Fabritiis, neo direttore dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Giuseppe Toniolo di Pescara”, aprendo l’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025

Mons. Giuseppe Lorizio, don Alessio De Fabritiis, monsignor Tommaso Valentinetti e Liborio Stuppia inaugurando l'anno accademico 2024-2025 dell'Issr Toniolo di Pescara

È iniziato giovedì 7 novembre scorso non solo l’anno accademico 2024-2025 dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Giuseppe Toniolo” collegato alla Pontificia Università Lateranense di Roma, con la prolusione dal tema “Dall’evoluzione biologica all’evoluzione culturale” che si è tenuta nella sala consiliare del Comune di Pescara – alla presenza del sindaco Carlo Masci e dell’assessore ai Rapporti con le università Valeria Toppetti, ma anche il nuovo corso dell’Istituto stesso la cui direzione è passata nelle mani del sacerdote diocesano don Alessio De Fabritiisoriginario di Penne, responsabile dell’anno propedeutico del Seminario regionale San Pio X di Chieti e collaboratore parrocchiale di San Giovanni Battista e San Benedetto a Pescara colli da quelle del francescano Padre Roberto Di Paolo.

Don Alessio De Fabritiis, neo direttore dell’Issr “Giuseppe Toniolo”

Ed è stato lo stesso don Alessio a condurre la prolusione, introducendola dapprima con una premessa: «Proseguiamo il nostro cammino nella linea della continuità, ma anche con diverse novità – esordisce il giovane presbitero classe 1990 -. Anche questo luogo (la sala del Consiglio comunale pescarese) dice qualcosa, perché se alcuni teologi, come il professore che conoscete bene al mio fianco (il professor Giuseppe Lorizio), dicono che la teologia deve parlare alla città, quale luogo migliore per farlo, per dialogare con le istituzioni, civili e accademiche. Fra poco vi presenterò il nuovo rettore dell’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara, il professor Liborio Stuppìa».

Quindi don Alessio ha riavvolto il nastro, ripercorrendo la storia dell’Istituto “Giuseppe Toniolo”: «Siamo una piccola realtà – spiega il neo direttore dell’Istituto Toniolo -, ma molto sentita e anche viva. L’Istituto è nato a Pescara, nel periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II, per espressa volontà dell’arcivescovo monsignor Antonio Iannucci, che lo volle proprio intitolare a Giuseppe Toniolo quale immagine esemplare di laico creativamente inserito nella storia del popolo di Dio in cammino. Nel ’77 ci fu una nuova configurazione in Istituto di Scienze religiose e il periodo di insegnamento passava dal tempo di Avvento e di Quaresima, come era all’inizio, ad estendersi per tutto l’anno. L’istituto cercò, fin da subito, di porsi come un centro di animazione culturale per la città di Pescara, rivolgendosi non solo alla comunità ecclesiale, ma anche a quella civile. Poi, il 15 luglio 1986, con decreto della Congregazione per l’Educazione cattolica, l’Istituto di Scienze Religiose “Giuseppe Toniolo” fu elevato a Istituto Superiore di Scienze Religiose e, con il medesimo decreto, fu collegato alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana. In seguito, nel 2008, aderendo alla riforma europea, con decreto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione del 27 febbraio, l’Istituto si è legato alla Pontificia Università Lateranense, alla cui Facoltà di Teologia siamo ancora legati. È suddiviso in una 3+2, una laurea triennale in Scienze religiose e un biennio specialistico in Scienze religiose con indirizzo pedagogico e didattico. L’indirizzo era, ed è tuttora, nella sua nuova forma, al servizio della vita ecclesiale».

Ma ora intende aprirsi anche all’esterno: «Qualcuno dice che la teologia, oggigiorno, fa già fatica a parlare all’interno della Chiesa – osserva il neo direttore dell’Istituto Toniolo -. Come si può all’esterno? Beh, in questo tempo di sinodalità, in questo tempo diviso e di divisione, forse il dialogo tra le varie istituzioni, attraverso il polo della cultura, può essere un messaggio di speranza in questo tempo di sfida antropologica. Ed è proprio per questo che abbiamo scelto come prolusione per quest’anno il titolo “Dall’evoluzione biologica all’evoluzione culturale”».

Mons. Tommaso Valentinetti, moderatore dell’Issr Toniolo e arcivescovo di Pescara-Penne

È stato poi l’arcivescovo di Pescara-Penne, nonché moderatore dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Toniolo”, monsignor Tommaso Valentinetti: «A me non sembra vero questa sera – sottolinea il presule – di essere in questo luogo prima di tutto, avere alla mia sinistra il Magnifico Rettore dell’Università D’Annunzio Stuppìa e alla mia destra il nuovo direttore dell’Istituto Superiore di Scienze religiose “Giuseppe Toniolo”, mutuato e accompagnato dal suo professoremonsignor Giuseppe Lorizio, a cui sono legato da tantissima amicizia da lunghissima data e che è tutt’ora il relatore della tesi in dottorato di don Alessio. Per cui sono veramente felice di questa situazione. Non mi sembra vero per un motivo molto semplice, perché quando abbiamo iniziato questa avventura, soprattutto l’avventura della ripresa dell’Istituto superiore di Scienze Religiose, quando sembrava che in Abruzzo non ci dovessero essere istituti, la collaborazione di Padre Roberto Di Paolo e di Massimiliano Petricca (segretario dell’Istituto) ci ha portato a rimettere in piedi la possibilità di avere un istituto che, da allora, ha preso le ali e vento in poppa e che anche oggi continua ad essere un polo di ricerca, un polo di studio della teologia, della scrittura, della morale, di tutte le scienze che sono legate alla vita di fede, e non solo, dentro la nostra città di Pescara. La presenza del magnifico rettore è veramente opportuna, perché nella linea che ha espresso il nuovo direttore, la collaborazione tra la realtà ecclesiale e la realtà universitaria si sta intensificando. Ci sono delle belle novità, che forse è bene non anticipare, ma che legheranno ancora di più la realtà universitaria di Chieti-Pescara alla realtà ecclesiastica abruzzese e molisana. E questo è sicuramente un legame che ci porta ad essere sempre più attenti e sempre più presenti dentro questo dialogo che deve essere sempre più proficuo. Il mio auspicio è che si possano intensificare i rapporti tra l’Università e l’Istituto superiore di Scienze religiose, magari con delle convenzioni, riconoscendoci vicendevolmente dei corsi, se fosse possibile. È un’ipotesi di lavoro certamente da realizzare con metodo, scientificamente. Anche perché, così come l’università, anche l’Istituto è legato al processo di Bologna, del famoso 3+2, per cui praticamente siamo in linea con il primo ciclo (primo degree) e poi gli altri due anni di specializzazione (secondo degree)».

Liborio Stuppìa, rettore dell’Università D’Annunzio

Quindi il Rettore dell’Università “D’Annunzio Stuppìa, già professore ordinario di Genetica medica, presidente della Scuola di Medicina-Scienze della salute e direttore scientifico del Laboratorio di Genetica molecolare, ha tenuto la prima dissertazione sull’argomento della prolusione “Dall’evoluzione biologica all’evoluzione culturale”: «L’evoluzione è una cosa meravigliosa – afferma il professor Stuppìa -. È il processo per cui, nel mondo, esistono tantissime specie viventi diverse che hanno un equilibrio, a volte armonico a volte conflittuale tra di loro, e tra queste specie viventi l’ultimo punto dell’evoluzione è rappresentato dall’uomo. Quello che cercherò di farvi vedere è come, arrivati alla nostra specie e non prima, il meccanismo di evoluzione si è cambiato totalmente e quindi mentre prima era un meccanismo puramente biologico, nell’uomo è diventato un meccanismo anche culturale. Perché l’uomo è la prima specie vivente che ha una capacità fondamentale di tramandare l’informazione, la capacità di insegnare. Anche gli animali imparano, ma imparano dall’esperienza. Noi riusciamo a imparare anche al di fuori dell’esperienza diretta, perché nel leggere un libro noi possiamo imparare, sperimentare delle cose anche se non le abbiamo vissute direttamente. Questa è la grande differenza, nella capacità di imparare della specie umana. Il concetto fondamentale è “su cosa si basa l’evoluzione?”. Cioè, com’è che progressivamente le forme degli animali e la loro fisiologia sono cambiate fino a arrivare all’uomo? Beh, sapete che in realtà lo studioso che, più di tutti, ha dato un contributo è Charles Darwin, che ci dice una cosa: “La specie che sopravvive non è la più forte né la più intelligente, ma è quella più reattiva ai cambiamenti di vita”. Oggi potremmo dire che Darwin aveva solo parzialmente ragione, perché essere più intelligenti aiuta ad evolversi. Ma, purtroppo, quello che dovrò farvi vedere è che la specie umana – che è sicuramente la più intelligente – negli ultimi decenni si è caratterizzata per un tale tratto di autolesionismo, che sta seriamente rischiando di estinguersi per dei comportamenti che non esito a definire stupidi e autolesionistici».

Il sindaco di Pescara Carlo Masci, l’arcivescovo Valentinetti, l’assessore Toppetti e Padre Roberto Di Paolo

A tal proposito, il Rettore dell’Università D’Annunzio ha citato ad esempio la questione dei cambiamenti climatici: «L’ambiente intorno a noi cambia e lo sappiamo. Non facciamo altro che parlare dei cambiamenti climatici. Voi sapete che c’è questa grande diatriba tra gli scienziati, se i cambiamenti climatici non siano altro che un frutto di ciclicità. Per cui quello che stiamo vivendo oggi è la stessa cosa che magari è successa diecimila anni fa, ma ovviamente non ci ricordiamo, o se l’uomo abbia in qualche modo procurato un dissesto tale del territorio da peggiorare la situazione. Quello che è certo è che noi ci ritroviamo con situazioni nel nostro ambiente che sono inverosimili. Parliamo di Valencia, la città europea a cui Pescara si è ispirata di più. Voi immaginate più di 200 morti per le piogge in una città come Valencia, che poi è una città come Pescara. Cosa può essere sfuggito dal controllo? Ci arriviamo a capire in che modo l’uomo ha comunque contribuito a cambiare l’ambiente. Mentre in passato l’uomo era, in qualche modo, spettatore dei cambiamenti ambientali a cui doveva adattarsi, adesso diventa non più spettatore, ma regista dei cambiamenti ambientali e, paradossalmente, non si riesce più ad adattare agli stessi cambiamenti che ha determinato. Quindi che succede? Nel cambio dell’ambiente se ci si adatta si sopravvive, altrimenti questi cambiamenti possono essere addirittura mortali. Quindi sopravvivere, evolversi vuol dire essere in grado di sopravvivere ai cambiamenti dell’ambiente. Questo avviene con un meccanismo che spesso è frainteso, la famosa storia della giraffa. Si ipotizzava una volta che il collo delle giraffe si allunghi perché, nello sforzo di prendere le foglie più alte, la giraffa allunga il collo e quindi allungandolo anche i figli della giraffa – che si è stirata – avranno il collo più lungo. Questo in realtà non è vero, nel senso che se anche la giraffa ha allungato il collo in maniera spasmodica, i suoi figli nasceranno con un collo normale. Come dire, se un uomo va in palestra tutta la vita, non per questo suo figlio nascerà immediatamente palestrato. Queste cose non vengono trasmesse, altre però sì. Non lo sapevamo prima, da pochi anni sappiamo che delle situazioni vengono ereditate. Diciamo che la storia dell’evoluzione fino all’uomo si è basata sul fatto che, che per caso, per una mutazione genetica, un giorno nasce una giraffa col collo lungo. Quella giraffa è avvantaggiata rispetto alle altre giraffe e può prendere le foglie dagli alberi e quindi che cosa succede? Che quella caratteristica nuova, derivata dal caso, la fa rendere più idonea a sopravvivere e a riprodursi e quindi a trasmettere i geni del collo lungo. Vediamo nell’uomo. Perché dall’australopiteco all’homo sapiens cambia la forma del nostro teschio? Perché, ad un certo punto, intervengono delle mutazioni in geni che producono una muscolatura dalla parte anteriore del teschio (che nelle scimmie e nei primi ominidi è molto pronunciata, per cui le scimmie e i primi ominidi avevano una mascella robustissima, in quanto con i denti dovevano strappare le cose, dovevano uccidere gli animali per mangiarli, non avendo ancora asce, accette o coltelli. Quindi dovevano basarsi su quello che avevano). Con l’evoluzione, a seguito di una serie di mutazioni, cambia la parte anteriore del nostro cranio che si riduce di dimensioni. Questo fa sì che si possa espandere la parte posteriore. E quindi la parte posteriore, la scatola cranica dell’uomo sapiens, cioè di noi, è molto più grande dell’australopiteco e delle scimmie. Il che vuol dire che si crea lo spazio per aumentare il volume del cervello. Quindi si perde una caratteristica e si acquista un’altra. È un vantaggio? , perché col cervello più grande si impara a costruire gli attrezzi che servono per la caccia. Quindi non serve più il morso. L’evoluzione è fatta di tentativi, alcuni dei quali vanno a buon fine, perché in realtà si ha un vantaggio».

Ma Darwin dice anche altro: «Che in termini di evoluzione – prosegue il professor Liborio Stuppìa -, la capacità di evolversi è legata alla capacità di sopravvivere, ma soprattutto di riprodursi. Se io sopravvivo ma non mi riproduco, non trasmetto i miei geni vantaggiosi. Quindi riprodursi è il fatto fondamentale. E qui arriviamo a quello che sta succedendo oggi alla specie umana, perché dalla stampa apprendiamo un dato drammatico. Nella maggior parte del mondo, le coppie non fanno più due figli. È stato calcolato che tra trent’anni ci saranno solo due paesi al mondo, in Africa, in cui le coppie saranno in grado di fare più di due figli. Ora, è facile capire che se una coppia fa almeno due figli, il numero di abitanti della terra rimane uguale. Ma se ogni coppia fa meno di due figli, progressivamente ci estinguiamo per forza di cose perché da due ne viene uno e saremo sempre di meno. Ci vorrà un sacco di tempo, sì, ma ci andremo a estinguere. Nel frattempo, sempre in questi ultimi mesi, è uscita un’altra notizia che è altrettanto clamorosa. Nel mondo ci sono più persone obese che denutrite. Perché questo è clamoroso? Perché nella storia dell’umanità il grande problema sono state le carestie, la mancanza di cibo. Ora, cosa siamo riusciti a fare? E qui torna la stupidità umana. Se ci sono posti del mondo dove c’è molto cibo e posti del mondo dove c’è poco cibo, la risposta intelligente è “spostiamo il cibo dove c’è bisogno”. Come risultato abbiamo ancora metà del mondo che muore di fame, l’altra metà mangia troppo, ma mangiare troppo è diventata una patologia. L’obesità è una patologia. E quindi siamo riusciti a far ammalare tutte e due le parti del mondo, una per carenza di cibo e una per eccesso di cibo. Perché questo aiuta l’estinzione della specie umana? Perché l’obesità e le malattie collaterali abbassano la capacità riproduttiva. Il maschio obeso è meno capace di far figli del maschio non obeso. E infatti i dati di quest’anno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ci dicono che nel mondo una persona su otto è obesa. Una persona su otto al mondo, compresi quelli dei nutriti, quindi in realtà se noi dovessimo andare a vedere solo le parti del mondo dove il cibo c’è, siamo grossomodo a una persona su tre che è obesa. Ma la cosa più incredibile sono i 37 milioni di bambini, sotto i 5 anni, che sono sovrappeso nel mondo. Noi abbiamo un fenomeno che prima non esisteva, l’obesità infantile. 390 milioni di ragazzi tra i 5 e i 19 anni sono sovrappeso o obesi al mondo. Una volta i bambini non lo erano, quando capitava che il bambino era obeso aveva qualche malattia. Ora, invece, è quasi la norma che i nostri bambini siano obesi. Allora cosa sta succedendo? Possiamo ancora parlare di evoluzione? No, perché il dato odierno è che se teniamo conto che il 9% dei bambini di 2 anni è obeso, tra 35 anni avremo più di metà della popolazione obesa. E questo schianterà il nostro sistema sanitario, perché quando avremo più di metà della popolazione obesa, con le malattie correlate, diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione e cancro, noi avremo più di metà della popolazione mondiale ammalata di malattie croniche, quindi di quelle che non guariscono. Possiamo ancora parlare quindi di un’evoluzione genetica, di un’evoluzione biologica? No, perché se in qualche modo stiamo peggiorando la nostra specie, rendendola meno adatta a sopravvivere, è successo qualcosa».

I tanti partecipanti all’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 dell’Issr Toniolo

A questo punto, il professor Stuppìa ha raccontato l’evoluzione culturale in senso negativo: «Cioè – spiega il rettore dell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara – di come un approccio negativo dal punto di vista culturale ha causato tutto questo. Innanzitutto il primo grande problema è il concetto di malnutrizione, che non è né la denutrizione, né l’eccesso di cibo. È il cambio di alimentazione, passando da un certo tipo di alimentazione a un altro. Ci sono popolazioni al mondo, come i nauriani che vivono in una piccola isola del Pacifico, dove c’è la più alta incidenza di diabete e di obesità del mondo, perché questa piccola isola per millenni è andata avanti con gli abitanti che mangiavano solo quello che pescavano e la verdura. Questo perché erano totalmente isolati. Che succede a un certo punto? Che siccome c’erano delle miniere di fosfati, arrivano con le barche degli imprenditori, comprano le miniere, si comprano tutta l’isola, danno lo stipendio fisso ai nauriani per non fare niente, cioè gli pagano la miniera e introducono una cosa che a Nauru non esisteva, lo zucchero. I nauriani sono molto golosi perché non sono abituati. Iniziano a consumare mezzo chilo di zucchero al giorno, con il risultato che oggi è una popolazione in estinzione perché sono tutti diabetici e tutti obesi. Oppure voi sapete che in America gli afroamericani sono quasi tutti ipertesi, perché quando fu fatta la traversata dell’oceano sulle navi negriere per portare gli africani in America, c’è stata una selezione. Per cui chi aveva la pressione più alta, pur non avendo da bere, aveva i liquidi in circolo e sopravviveva, mentre coloro che avevano la pressione bassa collassavano e venivano buttati in mare. Quindi arrivano in America tutti americani con il gene dell’ipertensione, la quale oggi va unita alla dieta dei poveri del fast food (che da noi è invece una moda). Dunque, cambiare il tipo di stile di vita ha degli effetti drammatici.

Oggi, quindi, è cambiato l’ambiente: «I problemi non sono più la carestia o la paura delle guerre, quella c’è sempre – denota Stuppìa -, ma sono sono l’eccesso di cibo e la vita sedentaria, perché non si consuma. Ma se abbiamo l’aumento di glucosio ci viene il diabete, se accumuliamo i lipidi abbiamo l’ipercolesterolemia e se si riduce la fertilità abbiamo il problema che la fertilità nel mondo sta scomparendo. Quindi cosa è successo? Che i nostri geni sanno fare una sola cosa, perché l’hanno imparata per centinaia di migliaia di anni. Se voi gli cambiate velocemente l’ambiente, loro sono spiazzati e l’ambiente è cambiato velocemente. Cos’è oggi l’ambiente? C’è una definizione molto bella che si chiama esposoma e raggruppa tutte le cose con cui ognuno di noi ha a che fare in un giorno e noi le classifichiamo in quattro gruppi: lo stile di vita (essere fumatori, non fumatori, fare attività fisica, cosa mangiamo), l’ecosistema, l’inquinamento ambientale, (la presenza di sostanze chimiche o fisiche nell’aria, nell’acqua, soprattutto nel cibo) e i fattori sociali, psicologici ed economici. Questo è l’ambiente in cui ci muoviamo. Questa situazione crea questa nuova disciplina della genetica che si chiama epigenetica, la quale ci dice che tutti i fattori che vi ho detto – quello che mangiamo, se fumiamo, lo stress, l’attività fisica, l’inquinamento – cambiano la funzione dei nostri geni. Non ne cambiano la struttura, ma ne cambiano la funzione. Questa è la clamorosa novità del modello evolutivo e quindi noi, in realtà, dal punto di vista genetico abbiamo due componenti. Una è quella con cui siamo nati e l’altra è quella indotta dall’ambiente. Noi mangiando in maniera sana favoriamo l’attività dei nostri geni, mangiando male alteriamo la loro attività. Ma la cosa più clamorosa è che può passare da una generazione all’altra. Quello che succede alla mamma in gravidanza avrà effetti sui figli, ma addirittura lo stile di vita dei genitori, prima della fecondazione, potrà avere degli effetti sui figli. Perché i bambini di oggi sono obesi? Perché ereditano i problemi che si hanno in gravidanza dalla madre, che è esposta a un ambiente che ormai è tossico, ma anche allo stile di vita della madre e quindi a come sono modificati gli ovociti della madre e allo stile di vita anche del padre. Una volta si pensava che non ci fosse un’eredità paterna, che il problema fosse solo della madre. Invece se un padre ha avuto molta esposizione ambientale negativa, i figli ne risentono».

Da qui la conclusione dello scienziato: «La nostra evoluzione – conclude il professor Liborio Stuppìa – ci dice che siamo passati da imparare dai comportamenti degli altri, i nostri predecessori. Poi man mano abbiamo avuto un’evoluzione, che ci ha fornito un cervello in grado di sviluppare delle capacità, abbiamo costruito gli utensili, siamo arrivati dal fare l’ascia al fare il computer, adesso la cosa importante è che impariamo dall’esperienza di quello che sta succedendo, impariamo a fermarci e a tornare indietro, perché il vero grande nemico dell’evoluzione umana è la logica del profitto. Per questo il problema è culturale. Noi dobbiamo combattere la logica del profitto e stimolare la logica della solidarietà. Se prevale quest’ultima, ci sarà un bilancio di risorse per tutti; se prevale quella del profitto, ovviamente, avremo i risultati che vi ho fatto vedere fino a questo punto».

Mons. Giuseppe Lorizio, teologo e direttore dell’Ufficio Cultura del Vicariato di Roma

Successivamente è stato il professor Giuseppe Lorizio, docente emerito di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense e direttore dell’Ufficio cultura del Vicariato di Roma, a confrontarsi sul tema della prolusione “Dall’evoluzione biologica all’evoluzione culturale”: «Un primo elemento, in qualche modo di continuità con quello che è stato detto – afferma il docente -, lo ritrovo nel fatto che nel libro “Tutti i mondi possibili” di Telmo Pievani – uscito da qualche mese – l’evoluzione viene considerata come una grande biblioteca che ci sopravvive: “chi non fa figli, fa fogli e quindi i nostri fogli ci sopravviveranno”. Ma addirittura questo libro, anche grazie al premio Nobel della chimica 2018 Frances Hamilton, viene riportato all’interno del libro di Jorge Luis Borges intitolato “La biblioteca di Babele”. Ci sono due citazioni che volevo raccontare…Mi inganneranno forse la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana, l’unica, stia per estinguersi”. È una buona notizia o una cattiva notizia, il fatto che siamo in via d’estinzione? “Allora solo la biblioteca sopravviverà, illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile e segreta”. Ma andando avanti, c’è una grande differenza tra la biblioteca di cui parla Borges e la biblioteca dell’evoluzione, in particolare dell’evoluzione delle proteine. Si è usato esattamente questo termine nella motivazione del premio Nobel del 2018. Cioè, la capacità dell’umano attraverso la tecnica – che è cultura – di accelerare i processi degli enzimi. La biblioteca delle proteine differisce da quella di Babele di Borges, perché i libri non sono disposti del tutto a caso ma sono limitrofi in modo inversamente proporzionale alla loro differenza. Questo può essere vero, ma può essere anche parzialmente vero, perché se venite nella mia biblioteca trovate il caos. Con questo voglio dire che siamo di fatto di fronte a un dilemma. Quello dell’estinzione, che ho evocato precedentemente, ma anche il dilemma del fatto che l’uomo è comunque chiamato a oltrepassarsi, ad andare oltre l’umano. E proprio questo andare oltre la nostra natura umana è il messaggio della teologia. Anzi, di più, è il messaggio della fede. La fede ci porta oltre l’uomo. Perché, se come abbiamo imparato ormai da tempo dal grosso volume di Roberto Marchesini “Post-Human. Verso nuovi modelli di esistenza”, l’attuale situazione dell’uomo e quella futura consiste – forse anche in questo c’è una specificità dell’essere umano – nella capacità di ibridarsi. Noi siamo continuamente ibridati e in particolare, secondo quella teoria, ci ibridiamo con gli animali, ci siamo ibridati con gli animali, e ci oggi ibridiamo con le macchine. Nel senso che l’animale è il nostro passato, e poi siamo animali pure noi quindi siamo anche presenti».

D’altra parte, per il professor Lorizio, lo stesso concetto di evoluzione è un concetto culturale: «In fondo -sottolinea – avviene dentro un processo, che è stato anche abbastanza lungo per arrivare a elaborare una teoria che è apparsa persino a noi credenti come nemica della fede. Quante volte si è contrapposta la fede della creazione alla teoria dell’evoluzione?! Chi li ha messe insieme, in particolare, è stato Padre Pierre Teilhard de Chardin il quale ha fatto capire che le due prospettive non sono affatto alternative. Anzi, possiamo dire oggi che l’aver creato un mondo in evoluzione è più confacente all’idea del Dio cristiano di quando non sia quella di aver creato un mondo fisso, perché il Dio cristiano non è il motore immobile. Se era immobile non stavamo qua. Siamo appunto con gli animali non umani al nostro passato, ma anche al nostro presente ci sono molti inviti degli animalisti – ma non solo – a imparare dagli animali un rapporto corretto con l’ambiente, con la natura e quindi anche forse con la nutrizione, ma anche questa ibridazione con questi nostri prodotti, spesso ritenuti infernali, che sarebbero le macchine. Ma, in ultima analisi e ripensando anche al processo evolutivo così come lo possiamo interpretare e leggere oggi, è abbastanza evidente. C’è grande attenzione al fatto che l'”homo faber” preceda l’homo sapiens. Perché l’homo habilis è colui che è capace di procurarsi degli strumenti, non solo quelli già compiuti ma è anche capace di costruirsi degli strumenti. Noi siamo capaci di costruirci dagli strumenti. Questo è frutto della nostra intelligenza, prima ancora della nostra capacità di adeguarci o di venire in qualche modo a contatto con noi stessi, con la natura e con l’altro. Ora, se adottiamo un attimo la prospettiva dell’estinzione che possiamo accelerare. È vero che comunque l’universo è destinato ad una fine, perché ciò che comincia finisce, però è anche vero che nell’idea biblica il peccato è l’accelerazione della fine. Cioè, attraverso la sua libertà l’uomo può accelerare la fine del mondo. Se usassero l’atomica, la cosa sarebbe oltremodo evidente. Perciò non dobbiamo fare peccati, perché la guerra è peccato. Questo va detto in particolare se si evoca l’atomica. Ma da questo punto di vista, dal fatto che siamo chiamati a superarci, deriva una prospettiva abbastanza inquietante di un autore molto studiato nei nostri ambienti, che è Günther Anders. Secondo quest’ultimo “l’uomo è antiquato”, perché è chiamato a superarsi. Con la denominazione di “homo creator”, secondo Anders, l’homo faber va superato dall’homo creator. Anche perché se siamo capaci di creare strumenti, anche per questo siamo immagini del Dio creatore. E quindi, quest’homo faber va superato dall’homo creator. Con quest’ultimo si intende la capacità che abbiamo di generare prodotti dalla natura, di cui non ne fanno parte come la casa costruita con il legno. Fanno parte dei prodotti naturali, ma sono prodotti culturali e quindi superano la natura stessa. Il messaggio che proviene dalla rivelazione biblica, dall’Evangelo, è appunto che il nostro destino è superare noi stessi. Ciò significa non diventare “superuomini”. Questa capacità di andare oltre guardando avanti, ma anche guardando in alto. Quindi oltre l’ibridazione con l’animale e con la macchina, che cosa dobbiamo fare se non da credenti ibridarci con l’eterno? Questa ibridazione con l’eterno potrà far sì che la nostra condizione umana non venga immediatamente estinta o al più presto estinta».

Per concludere, il professor Lorizio ha ripreso un’altra frase di Günther Anders: «“La natura dell’uomo – cita lo studioso – non è di avanzare sempre, non è un processo all’infinito, è un progresso, ma abbiamo degli alti e dei bassi”. E allora dobbiamo essere vigilanti. I libri ci aiutano a vigilare, il pensiero ci aiuta a vigilare. E allora l’augurio che posso fare all’inizio di un anno accademico è che il vostro studio, il vostro istituto, guidato brillantemente, spero, dal nuovo preside, sia una scuola di autentico pensiero». In conclusione il moderatore dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Giuseppe Toniolo”, l’arcivescovo Valentinetti, ha dichiarato aperto l’anno accademico 2024-2025 dell’Istituto, consegnando poi le pergamene agli ultimi studenti laureati e delle targhe ad alcuni docenti emeriti.  

About Davide De Amicis (4531 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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