“Condividiamo il cammino di un’umanità rinnovata dal Signore”
"Mi fa molto piacere – sottolinea l'arcivescovo Valentinetti - salutare i fratelli e le sorelle delle associazioni dei sordi che, come di consueto, sono presenti alle nostre liturgie e questa sera hanno vissuto una bella celebrazione, forse unica in Italia, il presepe vivente vissuto da loro. E questo è significativo per la comprensione del mistero della Natività, ma anche per il rispetto della propria vita e della propria esistenza, che sa generare cose molto belle. Grazie!"

Ieri sera ha avuto un prologo molto originale la santa messa dell’Epifania, presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara. Infatti il presule ha raggiunto la Cattedrale accompagnato dai figuranti non udenti che, nell’adiacente centro storico di Pescara tra via delle Caserme e Corso Manthoné, avevano dato vita per due giorni ad un presepe vivente in lingua dei segni italiana.

Un’esperienza particolare, insignita del patrocinio dell’amministrazione comunale di Pescara, realizzata dalla Cooperativa sociale “Segni di integrazione in Abruzzo” in collaborazione con la Pastorale sordi dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne. E proprio ai figuranti non udenti, all’inizio dell’omelia della santa messa, sono state rivolte le prime parole dell’arcivescovo Valentinetti: «Mi fa molto piacere – sottolinea – salutare i fratelli e le sorelle delle associazioni dei sordi che, come di consueto, sono presenti alle nostre liturgie e questa sera hanno vissuto una bella celebrazione, forse unica in Italia, il presepe vivente vissuto da loro. E questo è significativo per la comprensione del mistero della Natività, ma anche per il rispetto della propria vita e della propria esistenza, che sa generare cose molto belle. Grazie!».
Quindi l’omelia vera e propria, che ha riflettuto sull’importante solennità e sul suo significato più profondo: «Rendiamo lode al Signore – afferma l’arcivescovo di Pescara-Penne – perché, come ogni anno, ci fa celebrare la grande liturgia in cui è annunciato il mistero, così come dice San Paolo agli Efesini, “che le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo“. È la manifestazione del Signore, è la sua epifania. Qual è il tema fondamentale di questa liturgia? È senza dubbio cercare Dio. I magi si mettono in cammino per cercare il nato re dei giudei. Ma dietro questa espressione, si celava tutta la logica dell’atteso Messia, che doveva dare salvezza al popolo di Israele. Salvezza fisica, ma anche e soprattutto interiore. Cercare Dio… “Il tuo volto, Signore, io cerco. Mostrami il tuo volto”. E la nostra vita dovrebbe essere continuamente un cercare Dio, anche se alle volte sembra che l’abbiamo conosciuto. Ma Dio è imperscrutabile. Dio è inconoscibile. Dio è il totalmente altro e solo Gesù ce lo ha fatto conoscere. E allora l’avvicinamento a Gesù nostro unico Signore, Colui che ci ha spiegato il Padre, ci mette nelle condizioni di cercare sempre Dio. E parimenti ai magi, siamo chiamati anche noi a scrutare le Scritture. I magi avevano scrutato le loro scritture, ma probabilmente anche le scritture del popolo di Israele e, attraverso segni anche di carattere scientifico, la stella. Sono andati alla ricerca del nato re dei giudei. “Quaerere Deum”, ovvero cercare Dio, perché in realtà la nostra vita non è mai perfettamente in linea con quello che è l’amore del Signore, con quella che è la sua misericordia».

E il Signore, per il presule, va ricercato anche quando questa azione può essere contraddetta: «Sì – sostiene l’arcivescovo -, perché i magi arrivano a Gerusalemme ed Erode e il popolo di Gerusalemme si turbano e si mettono in allarme, specialmente Erode. Sappiamo dal testo evangelico che cosa ha combinato Erode nei confronti dei bambini di Betlemme. Ma c’è la contraddizione. Quale contraddizione? Quella di chi, forse, non vuole cercare il Signore o la contraddizione all’interno della nostra stessa coscienza o la nostra incapacità a muoverci, ad alzarci… Erode rimane fermo. I magi si rimettono in viaggio per cercare Dio, per continuare a cercarlo. Ma questo cercare Dio è una grande condivisione con tutti i popoli della Terra. Volesse il cielo che potessimo confrontarci con i popoli di altre religioni, o forse anche con gli indifferenti o forse anche con i miscredenti che, sono sicuro, dentro se stessi cercano qualcosa di soprannaturale. E forse dobbiamo stare attenti che, molte volte, non siamo noi la contraddizione a cui essi vanno incontro».

Quindi un riferimento alla prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia: «Il quale ci aiuta a capire – spiega l’arcivescovo Valentinetti – che arriverà il momento in cui le genti cammineranno alla sua luce… “Guarda e intorno a te vedi, tutti si sono radunati. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”. Quello che stiamo vivendo è il tempo di questo passaggio, di questa ricerca, di questa condivisione di ricerca con altre realtà. È uno spalancare le nostre porte, giubilarmente, noi cristiani, noi cattolici, ma tutti – forse non tanto per una questione di indulgenze, ma quanto per una realtà di apertura di cuore – spalanchiamo le nostre porte per condividere il cammino di un’umanità nuova, di un’umanità rinnovata dalla presenza del Signore».
Infine una richiesta del presule, per vivere il rito conclusivo del bacio del Bambinello con l’atteggiamento giusto: «Stamperemo un bacio sull’immagine di quel Bambino che troneggia qui davanti all’altare – conclude monsignor Tommaso Valentinetti -. Che non sia un segno di devozione, ma sia semplicemente un dire “Gesù ti amo, Gesù aiutami ad amare, Gesù fa che ritroviamo tra gli uomini di questo tempo ciò che è bello che Tu ci dai. Cioè, la possibilità di amarci”. Amen».