“Come i balconi di città”: racconti di vite fra centro e provincia
«Mi piaceva questa cosa di essere un po' diverso e un po' uguale a tutti gli altri, come i balconi di città»
Lo scorso agosto è uscito per Radici Edizioni Come i balconi di città dell’abruzzese Roberto Cipollone. Originario di Cese dei Marsi, frazione di Avezzano (AQ), l’autore fa affiorare in undici racconti l’eterna dicotomia fra città e provincia, prendendo spunto dalla sua stessa esperienza di pendolare fra Cese e Roma, dove lavora come statistico.
L’influsso delle sue esperienze personali è evidente nella concretezza delle situazioni che descrive e soprattutto nei suoi personaggi, con la fame di emancipazione dalle loro piccole realtà che li incalza, provano a evadere attraverso la musica della beat generation oppure a camuffare il proprio accento che, tuttavia, nelle situazioni più improbabili si fa sentire come un autarchico singhiozzo.
In altri casi i protagonisti rispecchiano solo semplici vicende umane, al fine di svelarne l’universalità. Come capita a un biglietto, che da solo ne racchiude molti altri. Usato e gettato, anche lui sembra avere un’anima e, soprattutto, due occhi capaci di osservare e un cuore in grado di percepire i tormenti dei passeggeri di un autobus. Oppure la storia di Felice, quasi condannato dal suo stesso nome alla strenua ricerca della felicità, che trova solo perdendosi, diventando “il matto”, «Dopo quel giorno di settembre Felice sparì del tutto come se fosse volato via con la sua felicità».
Cambiano spesso anche le ambientazioni, ma restano ben riconoscibili all’interno del testo. Per esempio all’Abruzzo è dedicato il racconto d’apertura, “La regione verde”, in cui ne vengono descritti tutti i paesaggi attraverso le osservazioni di un strambo «sottosegretario alle Faccende cromatiche», inviato ad accertare la prevalenza del verde in una regione anche bianca, come la neve, celeste come il mare e il cielo, nera come la terra, giallo-arancio come la genziana.
Nella varietà delle situazioni narrate si riflettono anche i diversi stili di scrittura adottati dall’autore, che abbelliscono e rendono unica questa raccolta, dando a chi legge l’impressione di passeggiare per una strada arricchita da fioriti, anonimi, decorati, vuoti, spenti, illuminati balconi di città.
Quattro chiacchiere con l’autore:
1) Come i balconi di città è una citazione da uno dei racconti, ovvero “La rivoluzione”. Come mai hai scelto proprio questa immagine per il titolo della raccolta?
Il titolo arriva come sempre alla fine, e questa era probabilmente l’immagine più evocativa. Da una parte, vuole rendere l’idea di come può apparire il contesto cittadino/moderno agli occhi di un ragazzo che viene da un mondo più “arcaico”, o come si dice spesso, “provinciale”. Dall’altra rappresenta la diversità nell’omologazione, la capacità di vedere e mantenere i tratti distintivi anche all’interno di un contesto nel quale tutto sembra uguale e invariabile. Alla fine sintetizza bene il fatto che nella raccolta siano presenti racconti molto diversi tra loro in quanto a tematiche, ambientazioni, scrittura…
2) “L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto”, diceva Italo Calvino, e di fatti in ogni tuo racconto si percepisce qualcosa di vero e condivisibile, nonché qualcosa di tuo: quanto, nella scrittura, sei stato ispirato dalle tue esperienze?
Direi abbastanza ma non troppo. Ci sono storie e riflessioni che sono evidentemente molto personali, ma in tutti i racconti c’è una parte emersa spontaneamente dalle vicende dei ragazzi della mia generazione (esiste termine più abusato???). Le esperienze di studio e lavoro lontano da casa, la necessità di trovare una propria collocazione scommettendo sempre sui percorsi voluti o capitati, il ritrovarsi sempre a metà tra il desiderio di sentirsi parte del mondo e la voglia di tornare a casa per realizzarsi in piccolo e non far morire quella parte di sé.
3) Dalla prima all’ultima pagina, il tuo registro stilistico cambia spesso, adeguandosi al tipo di storia narrata e soprattutto all’epoca in cui è ambientata. Quanto c’è di semplice coerenza e quanto di tentativo artistico? Penso anche a “L’anticonformista”, che tu stesso hai definito un esperimento.
È vero, alcuni racconti sono più sperimentali e nascono anche dalla voglia di confrontarmi con tematiche e stili meno vicini al mio. In generale però credo che ricorra l’idea e la volontà di impersonare i protagonisti ed entrare quanto più possibile nel loro mondo. Il linguaggio di “Bianchina” non può essere quello de “L’anticonformista”, così come i messaggi che i racconti sottendono sono estremamente diversi tra loro. Non c’è un tentativo artistico a priori, probabilmente è effetto di quel che volevo rappresentare con le diverse storie.
4) I racconti sono portatori di messaggi immediati, a quale pensi di aver affidato la sfumatura di significato più importante?
Questione complicata. Direi forse uno di quelli che “racconta” meno e riflette di più, “Quand’è che è tardi”, semplicemente perché nelle mie intenzioni parla di come ci approcciamo (mi approccio?) al tempo che passa ed alla sensazione che ci sia sempre tempo per fare o aggiustare qualcosa. Ad un certo punto però diventa tardi, e allora forse è meglio non tirarla troppo per le lunghe e fare della propria vita ciò che si vuole o si può.
5) Dal tuo balcone, di città o provincia che sia, si scorge qualche progetto in arrivo?
Si scorgono ma i contorni non sono ancora ben definiti. In ambito narrativo ho un paio di idee in mente, su una sto già lavorando nonostante sia complessa dal punto di vista realizzativo. L’altra rappresenterebbe il passo dai racconti al romanzo e necessita di una preparazione non scontata. Per ora porto avanti le mie “storie delle Cese” (storiedellecese.com) con piccole ricostruzioni storiche sul mio territorio e mi tengo sempre buoni tre puntini di sospensione sul futuro…