Se fossimo «Il pellegrino russo»
Se è sempre consigliabile leggere un classico, leggere Il Pellegrino russo durante la guerra in corso lo è di più. Sarebbe un po’ pellegrinare nell'Oriente cristiano; muoversi in pellegrinaggio verso la popolazione russa e ucraina.
Dai Racconti di un pellegrino russo emana il grande segreto spirituale dell’Oriente cristiano: la preghiera del cuore che è custodita nello scrigno mistico della Filocalia. I Racconti appartengono al genere del libro spirituale ma si dipanano a immagine di un poema russo. È una lettura, o rilettura, sapida per tutti. La storia è nota. L’anonimo autore è lo stesso Pellegrino che, sappiamo, nacque agli inizi del XIX secolo in un villaggio della provincia di Orel a sud di Mosca. Le vicende ruotano intorno alla spinta interiore di un uomo che vaga, portando solo una Bibbia e una bisaccia con qualche pane secco, fino a quando uno starec non lo introduce alla pratica della preghiera del cuore, impegnandolo in un addestramento spirituale rigoroso al fine di imparare quella preghiera incessante cui allude l’Apostolo (1Ts 5, 17), quando parla della preghiera che fluisca «sempre, in ogni tempo, in ogni luogo, non solo durante qualsiasi occupazione, non solo vegliando ma persino dormendo».
Se è sempre consigliabile leggere un classico, leggere Il Pellegrino russo durante la guerra in corso lo è di più. Leggere la preghiera del cuore, magari pregarla, sarebbe un po’ pellegrinare nell’Oriente cristiano. Del resto, un pellegrinaggio serve a questo: a muoversi verso un orizzonte di spiritualità. In questo frangente, pregare con la preghiera del cuore sarebbe come muoversi in “pellegrinaggio” verso il popolo russo e ucraino – è chiaro che chi scrive non faccia differenze di parte. E poi c’è il contenuto della preghiera del cuore: il senso delle parole che porteremmo in pellegrinaggio. La guerra russo-ucraina è stata definita in vari modi, tra i quali: “sacrilega”, “crimine”, “disumana”, “infame”. Noi aggiungeremmo una parola latina, per (s)qualificare questo conflitto: “nefaria”. Nefario è ciò che si oppone e viola il diritto, fas, parola latina che deriva da fatum, l’ordine eterno delle cose.
Se questo significa nefario, lasciare cadaveri insepolti a esca di corvi e cani, come accade nelle stragi di questi giorni, non vi sembra rappresenti più violare l’ordine eterno delle cose che il “diritto”? Si creda o meno nel Dio di Gesù, ponendoci davanti a quei corpi trucidati, non ci sale forse un grido di pietas per i morti e di perdono per noi, sì, per noi, fosse solo perché siamo lontani da dove si combatte e si marcisce a terra. Davanti a Dio, o davanti all’Altro, fate voi, siamo tutti “pellegrini”. E Il Pellegrino russo consiglia a tutti di imparare a recitare la preghiera del cuore. Essa si esprime così: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!».
Se quella che abbiamo riportato è la preghiera del cuore, non vi sembrano le parole più adatte per invocare pietas e perdono (per quello che è stato), prima ancora che reclamare pace (in cui si spera)?
Il Pellegrino russo consiglia di pregare incessantemente, senza interruzione, il Nome divino di Gesù Cristo con le labbra, la mente, il cuore, immaginandosi la sua presenza costante e chiedendo il suo perdono, in ogni occupazione, in ogni luogo, in ogni tempo, persino nel sonno.
La Parola, e le parole, sono importanti. Fanno la differenza.