“Il sogno è accogliere e custodire il Signore come mai avremmo pensato”
"Il sogno missionario - ricorda Roberta Fioravanti, referente diocesana del cammino sinodale - legittima e legittimerà tutte le nostre scelte future, quelle che abbiamo chiamato le sperimentazioni. Quindi il sogno missionario diventerà vita della nostra comunità e sarà quell'orizzonte che dà senso ai passi che faremo insieme. Siamo tutti insieme in un processo di apprendimento, stiamo imparando facendo"

Si sono riuniti lo scorso venerdì 31 gennaio, presso il salone della chiesa della Visitazione della Beata Vergine Maria a Pescara, i delegati delle 35 “parrocchie esploratrici” della Chiesa di Pescara-Penne che hanno scelto di vivere da protagoniste il Cammino sinodale della Chiesa italiana, impegnandosi a individuare e fissare nella mente e nel cuore un sogno missionario da realizzare a lungo termine. Queste parrocchie hanno così intrapreso un percorso, guidati dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, dai referenti diocesani del cammino sinodale Roberta Fioravanti, Massimiliano Petricca e Loredana Reitano, nonché dal Centro studi Missione Emmaus, che le ha portate a focalizzare gli obiettivi al fine di dar vita ad una pastorale rinnovata e adeguata alle esigenze del nostro tempo, da portare avanti attuando prassi altrettanto rinnovate da sperimentare nel tempo.

Così le comunità parrocchiali, alcune delle quali hanno già messo nero su bianco il proprio sogno missionario, si sono ritrovate per fare il punto della situazione, a pochi giorni dall’Assemblea sinodale diocesana che si terrà sabato 15 febbraio a Silvi Marina: «Questo sogno – ricorda Massimiliano Petricca, referente diocesano del Cammino sinodale – ci aiuta a uscire dalle prassi cristallizzate, altrimenti da soli non ce la facciamo. Rimotiva tutti quelli coinvolti e ci obbliga a ripensare il percorso, a non dare nulla per scontato. Io una domanda me la sono fatta, ma penso che ve la siete fatta anche voi… È possibile che serva un sogno per uscire da una vecchia pastorale e vedere nascerne una nuova? Non sarebbe meglio qualcosa di scientifico, studiato, teologicamente perfetto? In realtà, se ci riflettiamo bene, la categoria del sogno è molto presente nella Bibbia».
Lo ha dimostrato l’arcivescovo Valentinetti, leggendo e approfondendo due passi biblici tratti dal Vangelo di Matteo. Il primo è quello che racconta la nascita di Gesù (Mt 1, 18-21): “Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù. Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati’”: «Che cosa cambia? – s’interroga il presule – La vita di Giuseppe. La sua era una vita normalissima, come tante altre. Promesso sposo di una ragazza, tutto doveva andare secondo quello che la prassi normale. La consuetudine era nei fatti, eppure ad un certo punto c’è qualcosa di diverso. C’è una presenza ineludibile, conosciuta probabilmente attraverso le scritture che forse Giuseppe conosceva. Ma una presenza che, a questo punto, si impone e gli chiede di andare oltre ciò che sempre era stato, oltre il fatto di ripudiare la propria sposa che era una consuetudine. Lo voleva fare in segreto, lo voleva fare di nascosto, ma lo doveva e lo voleva fare. Invece, attraverso il sogno, gli viene chiesto di andare al di là, di andare nell’impossibile o in quello che non si sarebbe mai immaginato. Il sogno, di fronte alla nostra realtà, è prendere coscienza innanzitutto che c’è una presenza, che è il Signore Gesù, la quale va accolta e custodita in una maniera totalmente diversa da come si sarebbe potuto pensare. È chiaro che il sogno spariglia le carte, spariglia le carte di quest’uomo, così come l’apparizione dell’angelo aveva sparigliato le carte di Maria. Ma certamente quest’uomo è capace, attraverso questo sogno, di accogliere una Parola, di accogliere una promessa e di andare ad afferrare l’impossibile. Perché accogliere una donna che partorisce senza opera umana è accogliere l’impossibile. Alle volte i nostri sogni ci chiedono di andare ad accogliere l’impossibile, cioè dove non avremmo mai immaginato di poter stare, di pot

Ed è stato un altro sogno a modificare i piani di Giuseppe, in occasione della visita dei Magi (Mt 2,13-14): “Essi si erano appena ritirati – i magi – quando ecco un angelo del Signore si manifestò in sogno a Giuseppe, dicendo ‘svegliati, prendi con te il Bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché te lo dirò io. Erode, infatti, sta per ricercare il Bambino per farlo morire. Egli allora, svegliatosi, prese con sé il Bambino e sua madre durante la notte e si ritirò in Egitto”: «Che cosa porta questo ulteriore sogno? – domanda ancora l’arcivescovo di Pescara – Penne -. Che questa avventura non è finita, ma ha un proseguo, un’ulteriore manifestazione. E viene chiesto anche qui l’impossibile, ciò che era impensabile. Prendere questo bambino e andarlo a custodire in un posto diverso da dove, probabilmente, doveva essere custodito, perché c’era qualcuno che attentava alla vita del Bambino. La realtà delle nostre comunità è quella dove, molte volte, ci sentiamo stretti da situazioni che ci interpellano, spesso, in senso negativo. Allora bisogna avere il coraggio di andare oltre, ma non per fuggire, non per continuare a tenere le mani in mano o per avere un’alzata di spalle e dire “ma tanto non ci posso fare niente”. No, il nostro andare oltre è per continuare a custodire il tesoro che è stato messo nelle nostre mani. Andare oltre, “andare anche in Egitto”. Si potrebbe discutere all’infinito per individuare quello che per noi rappresenta l’Egitto, ma non voglio entrare in ulteriori applicazioni. Ciò che è importante capire che il sogno mi deve spingere al di là, mi deve spingere dove forse nessuno mai ha tentato prima e solo quando sarà il momento, quando questo processo sarà maturato, forse tornare a vivere secondo quello che il Signore ci indicherà così come è stato per Maria e Giuseppe».

Entrando poi nello specifico del sogno missionario, esso deve possedere alcune caratteristiche peculiari: «Lo stile del sogno missionario – spiega Roberta Fioravanti, referente diocesana del Cammino sinodale – deve essere narrativo, empatico, non moralizzante dove c’è un’analisi o addirittura un giudizio. E non dev’essere neanche uno stile esortativo, ma narrativo. Cioè, “noi vediamo, noi sentiamo, noi sogniamo”. La chiarezza è un’altra caratteristica del sogno missionario. Esso deve essere ciò che la comunità vede, ciò che la comunità sente, ciò che la comunità sogna, alla luce del discernimento fatto, e la narrazione dev’essere piena di vita, cioè quello che noi effettivamente abbiamo sperimentato. Lo dobbiamo saper cogliere e lo facciamo insieme proprio per aiutarci a cogliere questo. Il sogno missionario deve essere anche breve, perché la brevità può essere sicuramente un fattore al nostro vantaggio. Ad un sogno ci si avvicina per attrazione, sicuramente non per convinzione o per convincimento. Lo dobbiamo attrarre per la nostra fede. E cosa attrae del sogno missionario? La bellezza. Quest’ultima attrae sempre. Anche del sogno missionario deve attrarre, può attrarre la bellezza di condividere la passione che ognuno riscopre in se stesso, facendo insieme questo percorso. La bellezza di una visione di un futuro che illumina già il nostro presente. E attrae la bellezza di una missione che diventa un impegno non solo di uno, cioè non solo un impegno personale, ma un impegno condiviso, un impegno di molti. Il comune denominatore di questi tre aspetti del sogno, attrazione poi declinato in passione, visione e missione, è la condivisione. Quello che stiamo facendo è un cammino insieme, è un percorso condiviso. E per concludere, il sogno missionario non è per noi, ma è il sogno missionario per le nostre comunità. E quindi va restituito alla comunità, che è il passaggio successivo che ci attende adesso. Abbiamo indicato queste quattro azioni di restituzione del sogno missionario alla comunità. La celebrazione del sogno, l’annuncio, la comunicazione, la vita».
Un invito è stato poi rivolto ai presbiteri: «Il sogno missionario lo dovremo celebrare – esorta la referente diocesana del cammino sinodale -. Il sogno missionario deve entrare nel vocabolario delle vostre omelie, deve entrare nelle nostre liturgie, nei nostri momenti di preghiera. Può entrare, per esempio, in un ritiro spirituale della comunità. In Quaresima condividiamo, riflettiamo, facciamo risuonare il sogno missionario nella nostra comunità. Il sogno missionario va annunciato, deve entrare in tutti i nostri incontri e nella nostra catechesi. Va comunicato secondo questo slogan che ormai anche l’arcivescovo ci ripete spesso, “Tutti devono sapere tutto”. Così come voi siete delle parrocchie “esploratrici” dentro la comunità diocesana e dentro le vostre comunità ci sono alcuni esploratori, ma non è che tutta la parrocchia si è messa in moto. Ma tutti devono sapere tutto e questa comunicazione avviene in questo tempo di restituzione del sogno missionario». Quindi ancora una sottolineatura: «Cosa volevamo dire con “vivere”? – si domanda Roberta Fioravanti – Il sogno missionario legittima e legittimerà tutte le nostre scelte future, quelle che abbiamo chiamato le sperimentazioni. Quindi il sogno missionario diventerà vita della nostra comunità e sarà quell’orizzonte che dà senso ai passi che faremo insieme. Siamo tutti insieme in un processo di apprendimento, stiamo imparando facendo».

È stato poi il vicario per la Pastorale dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne don Valentino Iezzi a fornire alcuni esempi di sogno missionario, consigliando ad esempio di scriverlo evitando preamboli e andando direttamente al punto, come hanno fatto diverse parrocchie della Chiesa di Pescara-Penne che i loro sogno missionario l’hanno già elaborato. Tra queste spicca la parrocchia di San Giovanni Apostolo a Montesilvano: «È stata un’esperienza davvero eccezionale – racconta il parroco don Emilio Lonzi -, perché partiti con quei tavoli sinodali, con i gruppi iniziali dove abbiamo chiamato tante persone anche molto lontane dalla Chiesa, poi pian piano la cosa si è evoluta e quindi siamo riusciti veramente a lavorare in maniera sinodale. A questo punto, non sono stato più io il protagonista di tutto, ma solo uno con loro ascoltandoli e cogliendo tutte quelle esigenze che venivano fuori. Sto vivendo l’idea di un sogno che ha degli elementi antichi, però anche nuovi come quando il Vangelo dice quella persona che, dal suo tesoro, prende cose antiche e cose nuove. È uscita fuori fortissima la consapevolezza di una celebrazione eucaristica, l’ascolto della Parola, che sono i caposaldi della nostra fede riletti in una maniera attuale. Cioè, oggi come vogliamo fare questo? Che cosa vogliamo vivere veramente? Quindi diciamo che questi capisaldi della nostra fede sono veramente l’esigenza più profonda di tante persone, che non sono nemmeno così avvezze alla frequenza della Chiesa. Non è stato un lavoro difficile, perché è progredito lentamente, senza fretta. A volte, tra un incontro e un altro, sono passati anche uno o due mesi. Nessuno si è lamentato, non si sono preoccupati, come se tutto avesse avuto il tempo di decantare per prendere l’essenziale, che non si coglie se presi dall’entusiasmo o dalla fretta. A noi questa lentezza ha aiutato e ci aiuterà ancora. Infatti non ho alcuna fretta di correggere alcuni elementi del mio sogno, anche se ho capito – abbiamo già capito insieme – che c’è qualcosa da correggere. Ma sempre insieme, sinodalmente, passo dopo passo perché, probabilmente, lasciarsi guidare dallo Spirito significa anche dargli il tempo di lavorare in noi».
Da qui il consiglio a quelle parrocchie che, invece, il sogno missionario dovranno ancora redigerlo: «Non si preoccupino, non abbiano fretta e si lascino guidare dallo Spirito perché ogni incontro che si fa insieme, anche in quei confronti che potrebbero essere un po’ più animati – perché c’è stato un incontro molto animato quando abbiamo verificato insieme il sogno, c’è l’azione dello Spirito. Non bisogna rimanere amareggiati, ma anzi capire la ricchezza di quei confronti i quali dimostrano che c’è ancora da conoscersi, ancora da capire, ancora da armonizzare tutte le esigenze che logicamente in parrocchia sono la realtà».

Nell’entroterra anche la parrocchia di Sant’Andrea Apostolo di Collecorvino – guidata dal parroco don Roberto Goussot – ha portato a termine la scrittura del proprio sogno: «Più che altro – racconta il sacerdote – abbiamo un po’ aperto gli orizzonti. Ci siamo guardati intorno e ci siamo resi conto che anche le persone che erano un po’ alla periferia della parrocchia erano proprio quelle persone che, in realtà, in qualche modo ci potevano aiutare. Il fulcro del nostro sogno è un po’ la collaborazione, quindi abbattere gli steccati, abbattere quelle forme che ci rinchiudono nel nostro chiuso, creando legami di fraternità più ampi nella parrocchia, tra le contrade, tra le persone». Sono stati poi altri tre componenti dell’equipe parrocchiale, Monia Gentile, Machita Graziani e Roberto Mergiotti, a dare un consiglio alle altre comunità parrocchiali che si cimenteranno più avanti nella scrittura del sogno missionario: «Non fatevi intimorire dalle prime difficoltà – incoraggiano i tre laici – anche perché, essendo questa una ventata di novità questa, spesso si ha paura di essere giudicati, di non avere l’effetto sperato, che tutto resti solo un sogno e non venga attualizzato. Come diceva l’arcivescovo, bisogna spingersi veramente oltre».