Ultime notizie

Parabola di una parabola: la virata sinistra!

Dalla problematicità insolubile dei Padri a una disinvoltura teologica mozzafiato. In pochi secoli.

È chiaro che non stiamo seguendo che una scia delle innumerevoli tracce che il testo della nostra parabola ha lasciato dietro di sé: tanto per dare un’idea, rinunciamo qui ad addentrarci nel panorama specifico di quanto a partire dal nostro testo s’è prodotto in Oriente – e ci sarebbe moltissimo da dire, ma l’Occidente ha avuto da un certo punto in poi delle vicende molto distinte e differenti da quelle orientali. Divisioni funzionali di questo grosso Impero s’erano già viste prima di Costantino, ma l’imperatore cristiano aveva poi provveduto (coi mezzi che sappiamo) a ripristinare la monarchia assoluta: sparito il personaggio nato per governare, quelli che semplicemente sembrano essere i meno inadatti per provare a sostituirlo sono al punto di partenza, e l’Impero sembra non avere più la coesione necessaria per resistere alle regolari pressioni esterne (quegli spostamenti etnici epocali che sono generalmente richiamati sotto il nome di “invasioni barbariche”). A Oriente, però, l’apparato statale teneva molto meglio che in Occidente, e se l’avanzata degli arabi, dopo quella dei persiani, avrebbe eroso la periferia dell’Impero, l’Occidente sarebbe già stato completamente dissolto, in una miriade di “regni romano-barbarici”, in qualche modo destinati a raccogliersi nuovamente in unità nel “Sacro Romano Impero”.

La differenza è sostanziale, e non è marginale per il nostro percorso (del resto, non è neppure tale da meritare un’attenzione superiore a quella che le stiamo dando): l’Imperatore continuava, in Oriente, a fare quello che faceva Costantino, ossia il capo dello stato e il capo della Chiesa (e le donne, da Pulcheria a Irene, avrebbero fatto altrettanto, con le rispettive nuances); in Occidente il vuoto imperiale era stato rapidamente riempito dal prestigio e dall’autorità del Vescovo di Roma, che già da tempo mostrava intraprendenza e forte tendenza alla leadership. Che cambia? Che in Oriente i gusti personali di questo o quell’imperatore avrebbero fatto fluttuare le opinioni dottrinali di regno in regno, mentre in Occidente la persuasione circa il ruolo speciale della sede romana imponeva a questa di osservare (e far osservare) una sostanziale continuità con la tradizione “dei Santi Padri”. Così la parabola tornò buona, in Oriente, per ogni sorta di scaramucce teologiche: i teologi si davano reciprocamente della “zizzania”, dell’“eretico”, dell’“eresiarca” e del “seminatore di zizzania”, senza che nessuno mostrasse un qualche imbarazzo in quel riutilizzo polemico di un simile testo.

La continuità occidentale, del resto, che andava concretandosi nel crescente peso del papato romano (almeno da Leone I – † 461 – a Gregorio VII – † 1085), garantiva sicurezza di dottrina e chiarezza d’insegnamento, ma di fatto il concetto di “fede” subì una graduale diminuzione che lo portò a indicare semplicemente “il deposito delle dottrine della fede”, e queste nella versione della chiesa di Roma. Del resto il “fattore-Chiesa” non è l’unico attore sul palcoscenico dell’epoca, né i nomi “Papato” e “Impero” si possono ragionevolmente risolvere nelle due persone del “Papa” e dell’“Imperatore”: se anche la cosa stesse in termini così poveri, la varietà delle situazioni ci obbliga ad ammettere che non è vero che “i due” sono sempre tranquillamente andati a braccetto (Gregorio VII ed Enrico IV sono paradigmatici piuttosto in senso inverso). Ma per di più un impero è fatto di conti, baroni, marchesi, cavalieri, duchi, più o meno grandi feudatarî e tanta plebe; la gerarchia ecclesiastica (che non identifica in toto la Chiesa, evidentemente) consta a sua volta di cardinali, vescovi, preti, religiosi, monaci, abati, eremiti, monache e beghine, nonché anch’essa di tanta plebe. Ora, che cos’è che spinge un Robert Moore a parlare di una “persecuting society” [“società persecutrice”]? Ma chiaramente il fatto che a poco dopo l’anno Mille risalgono i primi documenti in cui si può parlare di esecuzioni capitali di alcuni eretici di Orléans senza che si avverta il bisogno di dover giustificare tale linea con il supporto di qualche passo evangelico: li si trova accusati perfino di cose “generiche” (ma non innocenti!) come l’essere pazzi – ma non era, questa, una delle tipiche accuse che i pagani sferravano contro i cristiani perseguitati? Come siamo arrivati a questo incredibile quiproquo?

La produzione aveva perso di originalità, attestandosi soprattutto sulla raccolta e sulla rielaborazione di testi precedenti: così con Ilario, Ambrogio, Agostino e Girolamo il quadro dei riferimenti è un po’ più che abbozzato (nelle grandi linee); ma come si passa dalla sapiente tensione e dalla problematicità insolubile dei Padri ai drastici rovescî operati da una parte (quantunque non esigua) della cristianità medievale? È ben pensabile che il passaggio sia stato molto graduale. Ricordiamo che Agostino ammetteva che «le pratiche della giustizia [ma la parola latina è “vindicta”, ndr] possono adempierle i buoni con buon cuore, ad esempio un re, oppure un giudice; mentre le pratiche della misericordia i malvagî non possono adempierle» (Questioni sugli evangelisti, I,10). Quel venerabile monaco inglese che fu Beda († 735) aveva imparato bene la lezione, e prudentemente esortava a non giudicare «le azioni che possono essere state performate sia con buono sia con cattivo animo», ma anzi a leggerle «nel modo più positivo possibile» (Su Luca, I,3,17,81-82). Era però lo stesso autore che ammetteva il ricorso a immagini cruente per spaventare gli ascoltatori e per impedire che andassero a cacciarsi con leggerezza in situazioni più vischiose di quelle in cui il solo terrore bastava a gettarli. E che dire poi delle fatali responsabilità degli ecclesiastici, pur se in buona fede? Basta leggere le sue pagine: «Spesso i responsabili, volendo neutralizzare tutte le insidie dei demonî e – se fosse possibile – estirpare dal campo di questo mondo la sopraggiunta zizzania additivata dolosamente al buon seme, non trovano tramite le Scritture un responso del Signore per il quale questo possa farsi; cercando poi la causa non trovano nient’altro che la fragilità umana e l’ignoranza, visto che neanche gli stessi chiarissimi dottori e condottieri dei credenti riescono a conservarsi – nelle cose buone che compiono – immuni dalla prevaricazione del peccato, bensì errano in molto» (Sulla prima parte di Samuele, II,14,36,123-124).

Beda muore tre anni dopo la leggendaria battaglia di Poitiers, e sei anni prima della morte dello stesso condottiero – Carlo Martello. Pochi decennî dopo splenderà la stella di Carlo Magno, e con lui le schiere di pensatori, amanuensi, monaci, che di nuovo tenteranno di sintetizzare e “normalizzare” lo straordinario fermento dei Padri. Uno di questi, Rabano Mauro († 856), sosteneva che fosse compito della gerarchia ripulire la Chiesa dai peccatori manifesti, ossia dalla zizzania, rimandando al giudizio divino, pensato dopo la morte di ciascuno, quello che non era abbastanza chiaro da poter essere distintamente giudicato (cf. Su Matteo, II 58,218). Pascasio Radberto († 865), invece, insisteva sull’indistinguibilità di grano e zizzania, e rispondeva seccamente anche a quelli che cercavano le ragioni dell’accondiscendenza di Dio al mistero dell’iniquità (ossia al dormire del padrone mentre il nemico spargeva il cattivo seme): come tanti altri anche lui si rifà a un tormentato versetto paolino (1Cor. 11,19) per diffidare tutti dal voler cocciutamente ricercare oltremodo le modalità della prescienza divina e le ragioni della sua sapienza (Su Matteo, VII, 13,28).

Davanti al persistere di molteplici resistenze alla fede, dunque, il silenzio di Dio si carica di gravi domande sulla giustizia divina e la giustificazione degli uomini: se da un lato si torna ad accentuare gli aspetti più schiettamente “morali” del testo evangelico, dall’altro le prassi semplificate e “sbrigative” non hanno mai convinto questi fini teologi e uomini di fede. Così il grande Alcuino († 804) aveva già confidato in una lettera le sue riserve sulla sospetta rapidità con cui si procedeva al battesimo di centinaia di migliaia di Sassoni: «La fede viene dalla volontà, non può venire dalla necessità» (Lettera 113). C’è qualcosa di fondamentale che il monaco di York non condivide con l’impostazione e le aspirazioni più particolari del suo “nuovo Davide”, e riguarda proprio l’idea di Chiesa che Carlo Magno pareva avere: «Il potere dei prelati deve risiedere nella salvezza di quanti hanno in affido. È meglio condonare ai trasgressori che espellere chi pecca, perché – se devono rimanere soltanto i giusti e i sani – magari resterà il solo pastore, senza gregge; e poi perché se quello stesso pastore pecca, chi resterà nel luogo consacrato?» (Lettera 223).

È intervenuto qualcosa che, di qui, porterà all’epoca in cui Cesario di Heisterbach († 1240) riporterà senza fare una piega le parole con cui l’abate Arnaldo Amalrico († 1225) avrebbe giustificato la strage di Béziers (1209): proprio per l’impossibilità di un discernimento lucido, si passarono a fil di spada praticamente tutti, rinviando a Dio (con disinvoltura teologica mozzafiato) ulteriori e più fini giudizî.

Qualcosa è intervenuto. Che cosa?

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
Contact: Website