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2011: Un anno di ribellioni e violenze

Lo conferma il Rapporto 2012 di Amnesty International, che ha denunciato l’inadeguatezza del Consiglio di sicurezza Onu nel mantenere la pace. Preoccupazione per l’Italia

Christine Weise, presidente Amnesty Italia

Il 2011 verrà ricordato come l’anno delle rivolte della “primavera araba” e del fallimento delle leadership, ma il Consiglio di sicurezza dell’Onu mostra sempre maggior inadeguatezza in contesti nei quali si compiono crimini contro l’umanità, come sta accadendo in Siria. È questo il giudizio che Amnesty International ha espresso nel suo cinquantesimo Rapporto annuale 2012, diffuso giovedì: «Il fallimento delle leadership è diventato globale nel 2011 – ha spiegato Christine Weise, presidente di Amnesty international Italia, presentando a Roma l’edizione italiana -, anno in cui i dirigenti politici hanno risposto alle proteste con brutalità o indifferenza. I governi devono dimostrare di possedere una leadership legittima e combattere l’ingiustizia, proteggendo chi è senza potere e limitando l’azione di coloro che il potere ce l’hanno. È giunto il momento di mettere le persone prima delle aziende e i diritti prima dei profitti».

Amnesty, tra l’altro, critica il Consiglio di sicurezza Onu per la mancata azione sullo Sri Lanka e sui crimini contro l’umanità in Siria, dove sono state uccise almeno 9200 persone dal Marzo 2011 ad Aprile 2012 tanto da renderlo, a detta dell’organizzazione, un organismo superfluo come guardiano della pace globale. Inoltre, le potenze emergenti di India, Brasile e Sudafrica sarebbero state troppo spesso complici, con il loro silenzio. Amnesty ha infatti chiesto per tre volte, per Libia, Siria e Gaza, l’intervento della Corte penale internazionale. In 91 Paesi del mondo, nel 2011, vi sono poi state restrizioni alla libertà d’espressione e, in almeno 101 Paesi sono stati riscontrati casi di maltrattamenti e torture, specialmente nei riguardi dei manifestanti.

Carlotta Sami, direttrice generale Amnesty Italia

Ma lo sguardo dell’organizzazione umanitaria si è rivolto anche sull’Europa mettendo in guardia sulle migliaia di casi di tortura e repressione del dissenso in Ucraina, dove si svolgeranno i prossimi Europei di calcio. L’Europa, inoltre, viene anche ritenuta responsabile di una crescente retorica xenofoba contro rom e migranti e dell’assenza di una normativa comunitaria contro le discriminazioni. Resta poi significativo il numero di esecuzioni capitali compiute: «Il Rapporto 2012 – ha precisato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty international Italia – ne denuncia l’aumento spropositato, insieme alla repressione del dissenso in Iran e in Cina, le proteste stroncate nel sangue in Arabia Saudita e Bahrein, l’orribile situazione dei campi di prigionia in Corea del nord».

Aung San Suu Kyi

Sono state quindi ridotte al silenzio le proteste dell’opposizione in Russia. E ancora in Asia, Amnesty segnala l’assassinio di due politici, tra cui il cattolico Shahbaz Batti, per aver espresso una posizione contro la legge sulla blasfemia. Una svolta si è quindi registrata in Myanmar, con la liberazione di 300 prigionieri di coscienza e la candidatura di Aung San Suu Kyi alle elezioni, ma continuano le violenze contro le minoranze etniche e gli attivisti. In Africa, invece, proteste sociali sono state soffocate in Angola, Senegal e Uganda, mentre molte violenze hanno contrassegnato il periodo successivo al voto in Sud Sudan. Nelle Americhe soprattutto Brasile, Colombia e Honduras sono stati minacciati e uccisi indigeni o difensori dei diritti umani che lottavano per difendere le proprie terre dallo sfruttamento.

Il carcere di Guantanamo

Gli Usa, dal canto loro, nonostante le promesse di chiudere il carcere di Guantanamo entro il 2010, non hanno ancora rispettato l’impegno: «Dopo 10 anni – ha confermato Sami – a Guantanamo sono recluse ancora 170 persone». Cuba ha invece liberato alcuni prigionieri di coscienza, ma ancora soffoca il dissenso. E anche su Internet, in alcuni paesi, la repressione è ancora forte: perfino l’India ha pianificato restrizioni sull’uso dei social media. Progressi sono stati fatti verso l’abolizione della pena di morte e la fine dell’impunità totale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia. Nello specifico, parlando dei dati, condanne a morte sono state eseguite in 21 Paesi ed emesse in 63 Paesi, mentre sono almeno 18.750 i prigionieri rinchiusi nei bracci della morte.

Giusy D'Alconzo, Amnesty Italia

Va detto poi che almeno il 60% delle violazioni dei diritti umani è legato all’utilizzo di armi di piccolo calibro e ad armi leggere, mentre almeno 55, tra gruppi armati e forze governative, arruolano bambini come soldati o ausiliari. Solo 35 Paesi, inoltre, pubblicano rapporti nazionali sui trasferimenti di armi convenzionali. Ogni anno, comunque, sono 500mila le persone che muoiono per atti di violenza armata. Ma a spaventare gli osservatori di Amnesty International è anche la politica estera italiana: «Gli accordi tra Italia e Libia del precedente governo – ha richiesto Giusy D’Alconzo, di Amnesty international – che hanno causato i respingimenti dei migranti in mare, vanno cancellati immediatamente. Ci aspettiamo che il nuovo governo chiarisca la sua posizione in materia e ci dia rassicurazioni».

Sbarchi a Lampedusa

L’anno scorso, infatti, oltre 50mila persone sono sbarcate a Lampedusa in seguito alle rivolte nel Maghreb, soprattutto da Libia e Tunisia: «Anni di respingimenti sono stati archiviati in un colpo – ha riflettuto la D’Alconzo -. Eppure la risposta umanitaria dell’Italia, di fronte a eventi così importanti, è stata misera e inadeguata, a causa della mancata pianificazione dell’accoglienza e la definizione di uno status giuridico chiaro». Così Amnesty, a questo punto, si chiede in che misura il nuovo governo voglia marcare una differenza netta in materia di diritti dei migranti: «I rapporti con la Libia – ha suggerito D’Alconzo – sono un ottimo test. Si può fare la scelta di proteggere le persone o di rinviarle nei luoghi di tortura. Essere un governo tecnico non lo esime da responsabilità e obblighi in questo campo». Tra l’altro, lo scorso 3 Aprile, l’Italia ha firmato un nuovo accordo con la Libia, ma nonostante le rassicurazioni i contenuti non sono stati resi noti, provocando non poca apprensione.

Un campo rom

Del resto, secondo il Rapporto di Amnesty, l’Italia è a rischio violazione dei diritti umani in tutti i casi che riguardano gli sgomberi dei rom e negli episodi di intolleranza e discriminazione nei loro confronti. Quanto accaduto a Pescara nei giorni scorsi, a seguito dell’omicidio del giovane Domenico Rigante e della cattura del presunto omicida rom, da questo punto di vista ha rappresentato un esempio lampante: «Abbiamo apprezzato la nuova strategia di inclusione dei rom da parte del governo – ha precisato Giusy D’Alconzo – ma a Roma e Milano gli sgomberi sono ancora in atto. Odio e intolleranza colpiscono in Italia anche i gay, mentre una grave e dannosissima lacuna è la mancanza del reato di tortura nel codice penale, che provoca effetti giudiziari su tanti processi che riguardano gli abusi delle forze dell’ordine».

Amnesty, infine, denuncia le politiche energetiche dell’Eni nel delta del Niger, in Nigeria, dove le attività estrattive danneggiano l’ecosistema e avvelenano la popolazione, chiedendo la bonifica della zona e la consultazione delle popolazioni: «Finora – concludono da Amnesty International – Eni è stata disponibile a dialogare, ci aspettiamo quindi un passo positivo».

About Davide De Amicis (4555 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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