La gioia grande del Natale
La terza domenica d’Avvento (gaudete) introduce in un clima propriamente natalizio, caratterizzato da un atteggiamento di attesa gioiosa, alimentata dalla certezza che il Signore è vicino. La liturgia si apre appunto con un’antifona tratta dalla lettera di san Paolo agli Efesini:
«Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino» (Fil 4,4.5).
Alle parole di Paolo fanno eco nell’Anno A quelle del profeta Isaia e dell’apostolo Giacomo, entrambi impegnati, anche se in tempi diversi, a infondere coraggio nel popolo di Dio che attende di essere salvato. Il primo parla ai deportati di Israele, che hanno davanti agli occhi la desolazione dell’esilio e la distruzione di Gerusalemme e del Monte Sinai. Bisogna risvegliare in quegli animi addolorati e ormai sfiduciati la speranza di un’imminente venuta del Signore, il quale vendicherà le ingiustizie subite e porterà la giusta ricompensa al suo popolo: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”» (Is 35,4). Il profeta descrive in termini piuttosto concreti gli effetti della venuta imminente del Signore: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto» (Is 35,5.8.10). La gioia e la felicità quali effetti della venuta del Signore sono l’argomento centrale della profezia di Isaia; tali sentimenti sono destinati a sostituire e a mettere in fuga la tristezza e il pianto che schiacciano i deportati di Israele, il popolo di Dio che si trova ora a «camminare nelle tenebre» ma che è destinato a vedere presto «una grande luce» (Is 9,1).
I segni preannunciati da Isaia si realizzano nella figura e nelle azioni compiute da Gesù di Nazaret durante il suo ministero. Non a caso Egli agli inviati del Battista, che lo interrogano circa la sua identità, risponde con immagini molto simili a quelle del profeta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,4-5).
Ma la liturgia odierna ci propone anche un passo tratto dalla lettera di san Giacomo, in cui l’apostolo (o chi per lui: l’opera fu scritta probabilmente a Gerusalemme intorno al 60 d.C., cioè dopo la sua morte) si rivolge ai giudeo-cristiani dispersi nelle regioni pagane per incoraggiarli nelle persecuzioni, perché rimangano saldi nell’attesa dell’imminente venuta del Signore: «Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina» (Gc 5,7-8). Giacomo si riferisce evidentemente alla seconda venuta di Cristo, al suo ritorno nella gloria; ad essa si riferisce anche Paolo in Fil 4 e in molti altri passi. Questa seconda venuta, promessa dal Risorto prima di ascendere al cielo, era attesa come imminente dagli apostoli e dalle comunità da loro fondate e guidate; ma, man mano che il tempo passava, tendeva a sorgere una certa scontentezza (o persino sospetto) per il protrarsi dell’attesa: per questo il Nuovo Testamento (specialmente nelle epistole) contiene frequenti richiami alla vigilanza e alla costanza in vista dell’imminente ritorno del Signore.
Così nella storia dell’umanità si trovano almeno due attese, due venute e due gioie diverse. La prima ha riguardato quanti sono vissuti prima di Gesù (e riguarda ancora quanti non lo hanno riconosciuto come Messia): la loro è un’attesa gioiosa, protesa verso il futuro e fondata sulla certezza che il Signore sarebbe venuto presto a salvare il suo popolo e a stabilire la giustizia. La seconda riguarda quanti sono vissuti (e vivono e vivranno) dopo Gesù: essi da una parte hanno sperimentato la gioia di vedere in Lui il compimento delle antiche profezie, dall’altra attendono di sperimentare una gioia nuova, quando Egli tornerà nella gloria per instaurare il suo Regno eterno. Così, se il profeta Isaia ci parla di una gioia promessa e annunciata, Gesù ne presenta il compimento, mentre gli apostoli Paolo e Giacomo esprimono le circostanze in cui noi stessi ci troviamo a vivere. Agli uomini di oggi il tempo di Avvento e Natale offre la possibilità di rivivere l’attesa e la gioia della prima venuta, e contemporaneamente protendersi verso la seconda, nell’attesa vigilante di una gioia promessa eppure già in parte compiuta e sperimentata e che si rinnova di anno in anno nella festa del Natale.
Per questa ragione, il tema della gioia, che è proprio di questa domenica, permea tutto il tempo di Avvento e Natale. Nel Vangelo dell’Immacolata (liturgia di domenica 8 dicembre e venerdì 20 dicembre) l’angelo si rivolge a Maria invitandola a rallegrarsi perché il Signore è con lei e in lei compirà cose grandi (su questo testo ci siamo già soffermati in “Gaudete in Domino semper”). Dopo l’annunciazione, Maria si mette in viaggio per visitare Elisabetta, e basta il suo saluto a far «sussultare di gioia» il piccolo Battista da poco concepito nel suo grembo (Lc 1,39ss.; liturgia di sabato 21 dicembre). Ai pastori che fanno la guardia alle greggi nella notte santa, l’angelo annuncia «una grande gioia che sarà di tutto il popolo»: la nascita del Signore nella città di Davide (Lc 2,8ss.; liturgia di mercoledì 25 dicembre, notte). Con questi sentimenti, ci prepariamo a vivere il Santo Natale, aprendo la mente e il cuore alla gioiosa trepidante attesa del Signore che è venuto, e viene, e ancora verrà a salvare il suo popolo.
Ok attenderemo con interesse le tue documentate riflessioni.
In tempi nei quali, giustamente, ci si duole del precariato diffuso, queste belle riflessioni sul Natale ci fanno ricordare che la gioia del Cristiano si fonda sulla consapevolezza della propria fragilità, in viaggio verso qualcosa (la venuta di Cristo) che neppure si sa come possa avvenire: alla felicità del possesso, il Cristiano contrappone la gioia di ciò che non conosce se non nell’esperienza interiore della fede.che consola.
…certo che..le origini del natale…..sono discutibili.
Ti riferisci alle origini pagane della festa? Giovanni Marcotullio ne ha offerto un utile ragguaglio tempo fa in un articolo intitolato “Il Natale: radici pagane del cristianesimo” (http://www.laporzione.it/2012/01/04/25dicradicipaganecristianesimo/).
Grazie del rif Sabrina
Dizionario Ecclesiastico UTET (1953-1958) vol II pag 1102, Dionario Enciclopedico Treccani (1955-1961) vol 8° pag 242 ecc: ..non è “Focus”…
Saprebbe scendere più nel dettaglio?
Citi pure i documenti riportati da queste voci di dizionario: non crederà che io cambi opinione in forza di una copertina…
Sabrina, dimenticavo… Potrebbe essere utile a Giovanni “curatore” dell’argomento, consultare la Grande Enciclopedia De Agostini Vol. XIII pag 412
…è solo una riflessione…..senza voler urtare la sensibilità di nessuno.
Certo, l’argomento è molto interessante (avevo in programma anch’io di scrivere qualcosa), ma non è il caso di essere tanto agguerriti! E’ Natale: siamo tutti più buoni!
Nessuno ne sarà urtato, se oltre al riferimento vorrà citarne per esteso gli argomenti.