La felicità non si misura dal Pil
Non basta il Pil, Prodotto interno lordo, ad indicare il livello di qualità della vita di un popolo e la felicità di una persona. Lo dice Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Ue, nella Giornata internazionale della felicità stabilita dall’Onu (che si celebra il 20 marzo), pubblicando una guida sugli “Indicatori della qualità di vita”.
Se dunque il Pil misura il livello di sviluppo economico e spesso sociale, elementi come la salute e l’istruzione sono importanti fattori per la qualità di vita dei singoli, a volte correlati al Pil, ma non sempre.
Per esempio: i Paesi del nord Europa hanno il più alto Pil, ma la loro attesa di vita è uguale a quello dei Paesi del sud del continente, che invece hanno un Prodotto interno lordo inferiore. Così come non c’è correlazione stretta tra Pil e abbandono scolastico precoce, fattore spesso all’origine di un più alto rischio di esclusione sociale e povertà. Infatti, i più bassi tassi di abbandono scolastico si registrano nell’Europa centro-orientale con una ricchezza media non così alta come altri Paesi occidentali, che hanno però un più alto tasso di abbandoni.
Secondo Eurostat, oltre al Pil, vanno considerati contestualmente otto aspetti: condizioni di vita materiali, attività produttiva, salute, istruzione, interazioni sociali, sicurezza economica e fisica, diritti fondamentali, ambiente di vita. A tutto ciò va aggiunta la percezione dell’esperienza globale di vita, cioè la propria soddisfazione personale.