“Lottare per il lavoro: nessuno può tirarsi indietro”
«Il 1° maggio resta una giornata di lotta, non contro, ma pro, tutti insieme, sempre necessaria, per la tragedia crescente di questa crisi». È quanto si legge nel messaggio perla giornata del primo maggio diffuso oggi dalla Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, sul tema “Nella precarietà, la speranza”.
Al centro del documento, quel “lottare per il lavoro”, che ha indicato papa Francesco nella sua visita in autunno in Sardegna: “Signore Gesù – disse il Santo Padre -, a te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi!”. Secondo i vescovi, la Veglia che ieri si è celebrata in tante diocesi, come quella di Pescara-Penne, e parrocchie assume, oggi, un significato particolare. Si fa invocazione, ma anche impegno. Per tutti: «Nessuno, oggi, in questo momento, può tirarsi indietro – ammonisce il messaggio della Conferenza episcopale italiana -. Nessuno può scaricare la croce sulle spalle dell’altro, ma come Cirenei della speranza, chiediamo a tutti, come vescovi della pastorale sociale, una particolare empatia, davanti ai tantissimi drammi sociali».
Empatia, si legge nel messaggio, è il condividere, lo star vicino, nella capacità di aiutarci reciprocamente, per dimenticare un po’ l’egoismo e sentire nel cuore il ‘Noi’, “come popolo che vuole andare avanti”, come scrive sempre Papa Francesco dandoci il tono, il coraggio, la forza in questa delicata situazione storica che viviamo: «Senza lavoro – si legge ancora nella nota dei vescovi italiani, per il primo maggio – nessun giovane e nessun padre di famiglia ha dignità né sicurezza. Senza il lavoro, non c’è umanesimo. È un costruire sulla sabbia la nostra civiltà: perché non rispetta la persona. Vittime come siamo di un’economia che ci vuole rubare la speranza, per i sistemi ingiusti che crea, perché spesso il denaro governa invece di servire! È una sudditanza agli idoli – avvertono i vescovi, ricordando che rifiutando satana e abbracciando invece Cristo, ci siamo impegnati a dire di no alla nuova idolatria del denaro che esclude e non include».
Ma in tutto questo, viene in aiuto la riflessione acutissima della Evangelii gaudium, quando descrivendo l’attuale situazione di aperta ingiustizia, diffusiva, va ben oltre le tradizionali analisi di natura marxista: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo – spiega infatti Papa Francesco -: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono sfruttati, ma rifiutati, avanzi!».
Formazione, coraggio e solidarietà reciproca. Sono queste, per la Cei, le tre parole d’ordine per costruire un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, percorrendo strade di solidarietà, che non portino allo scarto ma all’incontro solidale con i giovani e i fragili. Il metodo è quello di Gesù, che vede i pescatori affannati, intenti a lavare le reti, delusi nel cuore per una notte perduta e un lavoro inutile: «Come per tanti ragazzi – osservano il messaggio sul lavoro della Conferenza episcopale italiana – delle nostre parrocchie e dei nostri paesi. Reti vuote. Come le giornate perdute nella ricerca sfibrante e deludente di un’occupazione. Il metodo di Gesù è acuto, penetrante, coinvolgente: non indica strade comode, risolutive, né, tanto meno, scorciatoie clientelari o sbrigative. Ma si siede sulla barca e dalla barca insegna alle folle.
È un vero Maestro. Un autentico educatore. Promuove, non si sostituisce. Punta sulla qualità, sull’innovazione, sulla formazione. Su un apprendistato che introduca realmente nel mondo del lavoro, con dignità. E soprattutto con qualità! Perché la crisi attuale non è povertà di mezzi ma carenza di fini – come ci ricorda don Lorenzo Milani, con il suo diuturno impegno nella scuola di Barbiana -. Una scuola esigente, esemplare, durissima, perché animata da un cuore che ama: “I care!”. Per questo poteva chiedere tanto, tutto ai suoi ragazzi».