Raddoppiati gli italiani in stato di povertà assoluta
Tra il 2007 e il 2012 è raddoppiato in Italia il numero di quanti vivono in condizioni di povertà assoluta, essendo passati da 2 milioni e 400 mila a 4 milioni e 800 mila, corrispondenti all’8% della popolazione. Lo ha rilevato il Rapporto sui diritti globali intitolato “Dopo la crisi, la crisi”, a cura di Associazione società informazione onlus e promosso da Cgil con ActionAid, Antigone, Arci, Cnca, Fondazione Basso-sezione internazionale, Forum ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente, presentato ieri a Roma.
Secondo la ricerca, il tasso di occupazione nel 2013 è tornato ai livelli del 2002: al 59,8%, mentre all’inizio della crisi nel 2008 era al 63%. Peggio di noi, stanno soli i greci (con il 53,2%), i croati (53,9%) e gli spagnoli (58,2%). Tra il 2012 e il 2013 sono stati persi 424 mila posti di lavoro. Dall’inizio della crisi, tra l’altro, hanno perso il lavoro oltre 980 mila persone e, nel nostro Paese, il tasso di disoccupazione tra i giovani in età compresa fra i 15 ed i 24 anni è arrivato al 42,4%: «Muoiono le piccole imprese – evidenzia il rapporto -: dal 2008 ne sono scomparse 134 mila».
E muoiono le persone: «Per quanto sia difficile – prosegue l’indagine – stabilire nessi causali univoci e certi, alcuni studi indicano in 149 le persone che si sarebbero tolte la vita per motivazioni economiche nel 2013, quasi il doppio rispetto al 2012». Si tratta di catastrofe umanitaria, non solo economica, secondo i curatori del rapporto che accusano: «Non è una realtà inevitabile. Nessun serio investimento è stato fatto per promuovere l’occupazione e sostenere il lavoro. La rotta non è stata invertita e nemmeno corretta».
Basterebbe imporre una piccola tassa e controlli seri sulle transazioni che avvengono nelle società di clearing o compensazione – Euroclear, Clearstream, Swift ecc. – e la crisi diventerebbe solo un lontano ricordo. Non sarebbe più necessario imporre ulteriori tasse ai ceti medio-bassi o tagliare i servizi. E soprattutto, che si ridiscutano i parametri di Maastricht e il Fiscal Compact, oppure sarebbe meglio per l’Italia uscire dall’euro e ritornare alla situazione pre-1981 (prima del “divorzio” fra la Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro).
Ecco il risultato di anni di tagli alla spesa pubblica causati dalla crisi (economica e finanziaria) indotta dalle politiche neoliberiste degli USA e mercantiliste della Germania. Il vero problema non è la riduzione del debito pubblico, bensì la creazione di nuova ricchezza e posti di lavoro, attraverso il taglio del cuneo fiscale, agevolazioni alle imprese e politiche di sostegno alla spesa delle famiglie, alla digitalizzazione del Paese, alla ricerca, alla sanità, all’istruzione…