Sul Gange, la diversità religiosa è una ricchezza
Contro il tentativo nazionalista di conversione forzata all'induismo, leaders di diverse religioni si ritrovano uniti.
In queste ore convulse, mentre le religioni sembrerebbero configurarsi come fattori di divisione piuttosto che di unione, una notizia positiva giunge dall’India. Nella cattedrale di Varanasi, città nota anche come Benares, a sud del Gange, monsignor Salvatore Pennacchio, da cinque anni nunzio apostolico in India, ha incontrato leaders buddisti, indù, musulmani, sikh, jain e bahai radunati per un incontro interreligioso, ispirato alla Giornata mondiale di preghiera per la pace tenutasi ad Assisi con la partecipazione di Giovanni Paolo II nel 1986. L’occasione è stata data dalla celebrazione del cinquantesimo anno di promulgazione di Nostra Aetate, il documento del Concilio Vaticano II sulla relazione della Chiesa cattolica con le altre religioni che Papa Paolo VI promulgò il 28 ottobre 1965. L’incontro – pensato dall’Ufficio per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale indiana (Cbci) e dall’Ufficio per gli Affari ecumenici e interreligiosi della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc) – è stato organizzato per rispondere a una tendenza nazionalista che vorrebbe trasformare l’India in un paese indù, convertendo a forza cristiani e musulmani all’induismo, con tutte le conseguenze che questo potrebbe avere per la pace dell’India e non solo. La scelta di Varanasi non è un caso: da una parte, infatti, è la Città sacra degli Induisti, i quali, almeno una volta nella vita, devono recarsi a Varanasi e immergersi nel sacro fiume Gange dove verranno sparse le loro ceneri; dall’altra parte, la città è nota per l’armonia con cui indù, buddisti, cristiani e credenti di altre religioni vivono insieme praticando da generazioni tolleranza, comprensione e accettazione reciproca. Contro l’ipotesi, sempre più temuta, della conversione coatta di cristiani e musulmani all’induismo, tutti i leaders presenti, intervenuti in rappresentanza delle diverse religioni, hanno voluto sottolineare come l’India sia – e tale debba restare – un esempio di convivenza virtuosa tra religioni diverse. Swami Maharaj Yogatrayanand, del movimento spirituale indù Sanatan Dharma (religione eterna), ha spiegato che l’essenza di tutte le religioni è la verità dell’esistenza: «C’è del vero nella nicchia dei nostri cuori. Per conoscere questa verità ci si deve incamminare in un viaggio interiore e lì, oltre il nostro io, trovare la pace. La pace è l’esigenza fondamentale di ogni essere umano». Sumedha Thero, monaco e presidente dell’Associazione buddista internazionale Indo-Sri Lanka, ha elogiato l’India come la «confluenza di molte religioni» e ha aggiunto che Varanasi è stata e resta uno dei modelli per l’unità nella diversità. Allo stesso tempo, Maulana Abdul Batin Nomani, capo del Mufti-e-Banares e l’Imam Shahi Jama Masjid Gyanvapi, di Varanasi, hanno condannando i tentativi nazionalisti di conversione coatta, definiti come “attività profane” orchestrate in nome della religione, e hanno detto che la crisi di oggi è contro lo spirito di armonia religiosa. Monsignor Salvatore Pennacchio, in rappresentanza dei cristiani cattolici, ha ribadito come Varanasi, e l’India tutta, siano e debbano restare un esempio di autentico ecumenismo: «Persone che professano diverse religioni hanno vissuto fianco a fianco nel rispetto e nell’amore reciproco, plasmando insieme il paese e arricchendosi reciprocamente di esperienze di fede vissute».
Dalle rive del Gange arriva una speranza di pace interreligiosa, concreta e non arrendevole.