“Cari sacerdoti, la nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre”
"Il popolo fedele - sottolinea il Papa - non ci lascia senza impegno diretto, salvo che uno si nasconda in un ufficio o vada per la città con i vetri oscurati. E questa stanchezza è buona, è sana. È la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini"
«La nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al cielo. La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre. La stanchezza della gente, delle folle, per il Signore, come per noi, era spossante, ma è una stanchezza buona».
Lo ha detto ieri Papa Francesco, pronunciando l’omelia della messa crismale nella Basilica di San Pietro analizzando le tre stanchezze dei sacerdoti, ovvero la stanchezza delle folle, la stanchezza dei nemici e la stanchezza di sé stessi: «La gente che lo seguiva – spiega il Papa -, le famiglie che gli portavano i loro bambini perché li benedicesse, quelli che erano stati guariti, che venivano con i loro amici, i giovani, non gli lasciavano neanche il tempo per mangiare. Ma il Signore non si seccava di stare con la gente. Al contrario: sembrava che si ricaricasse. Questa stanchezza in mezzo alla nostra attività è una grazia che è a portata di mano di tutti noi sacerdoti».
Dunque, a detta del Pontefice, la gente ama, desidera e ha bisogno dei suoi pastori: «Il popolo fedele – sottolinea il Santo Padre – non ci lascia senza impegno diretto, salvo che uno si nasconda in un ufficio o vada per la città con i vetri oscurati. E questa stanchezza è buona, è sana. È la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini».
Insomma, niente a che vedere con quelli che sanno di profumi cari e ti guardano da lontano e dall’alto: «Non possiamo – ammonisce Papa Bergoglio – essere pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati: odore di pecore e sorriso di padri».
Occorre, poi, chiedere una grazia importante: «Quella – osserva il Sommo Pontefice – di imparare a neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere».
Ne è convinto il Papa, che a proposito della stanchezza dei nemici ha ricordato che il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla: «Qui – constata Papa Francesco – la stanchezza di affrontarli è più ardua: non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta, bensì bisogna difendere il gregge e difendere sé stessi dal male. Il maligno è più astuto di noi ed è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo».
La grazia di imparare a neutralizzare il male, però, aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi: «La parola del Signore – ricorda il Papa – per queste situazioni di stanchezza è: “Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!”. E questa parola ci darà forza».
La terza stanchezza dei sacerdoti, forse la più pericolosa a detta del Santo Padre, è la stanchezza di sé stessi: «Le altre due – sostiene il Pontefice – provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi per ungere e darsi da fare. Questa stanchezza, invece, è più auto-referenziale: è la delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti».
Si tratta della stanchezza che dà il volere e non volere: «L’essersi giocato tutto – aggiunge Francesco – e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro. E quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire: qui può esserci una stanchezza cattiva».
Ed è il libro dell’Apocalisse ad indicare la causa di questa stanchezza: «Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore». Ribadisce Papa Bergoglio: «Solo l’amore dà riposo: Ciò che non si ama, stanca male e, alla lunga, stanca più male».
Una chiave della fecondità sacerdotale, a detta di Papa Francesco, sta invece nel come riposano e nel come sentono che il Signore tratta la nostra stanchezza. Affermandolo il Pontefice ha, tuttavia, messo in guardia dalla tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio: «Com’è difficile imparare a riposare! – esclama il Papa – In questo si gioca la nostra fiducia e il nostro ricordare che anche noi siamo pecore».
Quindi le domande del Papa rivolte ai sacerdoti: «So riposare ricevendo l’amore, la gratuità e tutto l’affetto che mi dà il popolo fedele di Dio? O dopo il lavoro pastorale cerco riposi più raffinati, non quelli dei poveri ma quelli che offre la società dei consumi? Lo Spirito Santo è veramente per me “riposo nella fatica”, o solo Colui che mi fa lavorare? So chiedere aiuto a qualche sacerdote saggio? So riposare da me stesso, dalla mia auto-esigenza, dal mio auto-compiacimento, dalla mia auto-referenzialità? So conversare con Gesù, con il Padre, con la Vergine e san Giuseppe, con i miei Santi protettori amici? So riposare dai miei nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me e me, rimuginando più volte la mia difesa, o mi affido allo Spirito che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo riposo dicendo: “So in chi ho posto la mia fede?”».
Questo l’esame di coscienza posto dal Santo Padre ai sacerdoti, per poi ripassare i loro proclamati dalla liturgia del giorno: «Portare ai poveri – rilancia il Papa – la Buona Notizia, annunciare la liberazione ai prigionieri e la guarigione ai ciechi, dare la libertà agli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Isaia dice anche curare quelli che hanno il cuore spezzato e consolare gli afflitti».
Non sono compiti facili, esteriori, come ad esempio le attività manuali – costruire un nuovo salone parrocchiale, o tracciare le linee di un campo di calcio per i giovani dell’oratorio in quanto: «Gli impegni menzionati da Gesù – puntualizza il Pontefice – implicano la capacità di compassione, sono impegni in cui il nostro cuore è mosso e commosso».
Infine gli esempi pratici: «Ci rallegriamo – conclude il Papa – con i fidanzati che si sposano, ridiamo con il bimbo che portano a battezzare; accompagniamo i giovani che si preparano al matrimonio e alla famiglia; ci addoloriamo con chi riceve l’unzione nel letto di ospedale; piangiamo con quelli che seppelliscono una persona cara… Tante emozioni e tanto affetto, se noi abbiamo il cuore aperto, che affaticano il cuore del Pastore».