G8 di Genova: l’Italia… che tortura!
"La sentenza della Corte europea dei diritti umani - commenta Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia - che ha qualificato come tortura le violenze compiute la notte del 21 luglio 2001 alla scuola Diaz di Genova, è un monito alle istituzioni italiane a fare presto e bene, dopo oltre un quarto di secolo di ritardo nell‘introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano"
«In base alle circostanze esposte, i maltrattamenti compiuti dalle Forze dell‘ordine italiane nell’irruzione alla Diaz, il 21 luglio 2001 a conclusione del G8 di Genova, devono essere qualificati come tortura e la risposta delle autorità italiane, di fronte a questi gravi fatti, è stata inadeguata».
Lo ha stabilito ieri la Corte europea dei diritti dell’uomo, condannando l’Italia al pagamento di un risarcimento di 45 mila euro per danni morali al ricorrente Arnaldo Cestaro, un manifestante che ha riferito di essere stato picchiato dalla Polizia così brutalmente da dover essere operato, e da riportare ancora oggi le conseguenze del pestaggio.
In una sentenza di Chambre (pertanto non definitiva giacché le parti possono chiedere entro tre mesi il rinvio del caso alla Grande Chambre), la Corte riconosce all’unanimità nei maltrattamenti operati dalle forze dell’ordine la violazione dell’art. 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: «Tenuto conto della gravità dei fatti – aggiungono i giudici, la risposta delle autorità italiane è stata inadeguata e quindi incompatibile con gli obblighi procedurali derivanti sempre dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
Ma sono anche altre le responsabilità attribuite alla nostra giustizia italiana: «La mancata identificazione – scrive ancora la Corte nella sentenza – degli autori materiali dei maltrattamenti, deriva in parte dalla difficoltà oggettiva di procedere a identificazioni certe, ma anche da mancanza di cooperazione della Polizia».
Secondo i giudici di Strasburgo, inoltre, la legislazione penale italiana applicata al caso di specie si è rivelata inadeguata rispetto all’esigenza sanzionatoria degli atti di tortura in questione, e priva dell’effetto dissuasivo necessario per impedire in futuro altre possibili violazioni dell’articolo 3: «È quindi necessario – concludono i giudici – che l’ordinamento giuridico italiano si doti di strumenti giuridici idonei a sanzionare adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti e ad impedire che essi possano beneficiare di misure in contrasto con la giurisprudenza della Corte».
Una sentenza, questa, che ha riaperto una delle pagine più tristi e vergognose della storia recente italiana, sollevando le reazioni di diverse associazioni pacifiste: «La sentenza della Corte europea dei diritti umani – commenta Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia – che ha qualificato come tortura le violenze compiute la notte del 21 luglio 2001 alla scuola Diaz di Genova, è un monito alle istituzioni italiane a fare presto e bene, dopo oltre un quarto di secolo di ritardo nell‘introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. Del resto, il collegamento tra la violazione dei diritti umani e l‘assenza del reato di tortura emerge con evidenza dalla lettura della sentenza».
Marchesi, tra l’altro, ricorda che dal 1989, quando venne pubblicata sulla Gazzetta ufficiale la legge di ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani chiedono al Parlamento di onorare l’impegno assunto all’epoca: «Che – denuncia il presidente di Amnesty International Italia – ha invece conosciuto rinvii, annacquamenti, emendamenti vergognosi ai vari tentativi, tutti vani, di introdurre il reato di tortura nel codice penale».
Invece, secondo Amnesty, la presenza di tale reato avrebbe fatto la differenza evitando la prescrizione e facendo emergere, anche sul piano della sanzione, la gravità degli atti commessi dai pubblici ufficiali giudicati responsabili: «Il testo all’esame della Camera – ricorda Marchesi – ha certamente qualche limite, ma rappresenta un grande passo avanti rispetto alla situazione attuale».