“Gesù ci restituirà tutti i nostri cari”
"I nostri cari - ricorda Papa Francesco - non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte. Per questo, la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno"

«Se ci lasciamo sostenere dalla fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza».
Lo ha affermato ieri Papa Francesco, pronunciando la catechesi all’interno dell’udienza generale del mercoledì dedicata al tema drammatico dei lutti che colpiscono la famiglia, partendo dalla citazione della commovente scena del Vangelo di Luca che narra di Gesù con una vedova che ha perso l’unico figlio: «Nascere e rinascere nella speranza – aggiunge il Papa, esortando i 15 mila fedeli presenti in piazza San Pietro a soffermarsi sull’ultimo versetto del Vangelo di Luca, letto oggi: “Gesù lo restituì a sua madre” -, questo ci dà la fede. Questa è la nostra speranza: tutti i nostri cari che se ne sono andati, il Signore ce li restituirà a noi e noi ci incontreremo insieme con loro. E questa speranza non delude».
Dunque, come narra il Vangelo, “Gesù lo restituì a sua madre”: «Così – insiste il Pontefice – farà il Signore con tutti i nostri cari della nostra famiglia. Questa fede ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna».
Da qui l’esortazione del Santo Padre: «Oggi – sollecita Papa Bergoglio – è necessario che i Pastori e tutti i cristiani esprimano in modo più concreto il senso della fede nei confronti dell’esperienza famigliare del lutto. Non si deve negare il diritto al pianto, dobbiamo piangere nel lutto».
Del resto, anche Gesù scoppiò in pianto e fu profondamente turbato per il grave lutto di una famiglia che amava: «Possiamo attingere – ricorda il Sommo Pontefice – dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti: il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte. È di quell’amore che dobbiamo farci complici operosi, con la nostra fede».
E ancora il Papa ha ricordato quel gesto di Gesù, citando ancora una volta il versetto del Vangelo di Luca “E Gesù lo restituì a sua madre”: «Così farà – rassicura Papa Francesco – con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi: Gesù ci restituirà in famiglia tutti!».
La morte, dunque, fa parte della vita: «La morte – riflette il Papa – è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna, eppure quando tocca gli affetti familiari, essa non riesce mai ad apparirci naturale».
Affermando ciò, il Pontefice ha poi fatto notare che per i genitori sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa: «La perdita di un figlio o di una figlia – osserva il Santo Padre – è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte che si porta via il figlio piccolo o giovane è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tante volte vengono a Messa a Santa Marta genitori con la foto del figlio, della figlia del ragazzo, della ragazza e mi dicono che se ne è andato: lo sguardo è tanto addolorato, la morte di un figlio tocca profondamente».
Insomma, quando muore un figlio tutta la famiglia rimane come paralizzata, ammutolita: «E qualcosa di simile – aggiunge il Pontefice – patisce anche il bambino che rimane solo, per la perdita di un genitore, o di entrambi, in quanto il vuoto dell’abbandono che si apre dentro di lui è tanto più angosciante per il fatto che non ha neppure l’esperienza sufficiente per dare un nome a quello che è accaduto».
“Ma dov’è papà? Dov’è mamma? Sta in cielo, ma perché non lo vedo?” Questo chiedono i bambini: «Questa domanda – sottolinea Papa Bergoglio – provoca angoscia nel cuore di un bambino che rimane solo. Quando torna papà, quando torna mamma? – le sue domande -: Cosa si risponde? E il bambino soffre. E così è la morte di un figlio. In questi casi la morte è come un buco nero che si apre nella vita delle famiglie e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione».
E a volte si giunge persino a dare la colpa a Dio: «Quanta gente – rileva Francesco – si arrabbia con Dio, bestemmia: perché mi hai tolto il figlio, o la figlia? Ma Dio non c’è, non esiste, perché ha fatto questo? Tante volte abbiamo sentito questo. Questa rabbia viene dal cuore per un dolore grande: la morte di un figlio, di una figlia, di un papà, di una mamma, è un grande dolore e questo accade continuamente nelle famiglie».
Eppure nel popolo di Dio, con la grazia della sua compassione donata in Gesù, tante famiglie dimostrano con i fatti che la morte non ha l’ultima parola. Ne è convinto il Papa, che nella catechesi di ieri ha definito questo atteggiamento un vero atto di fede: «Tutte le volte – denota il Sommo Pontefice – che la famiglia nel lutto, anche terribile, trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora alla morte di prendersi tutto».
Il buio della morte, secondo il Papa, va dunque affrontato con un più intenso lavoro di amore: «Nella luce della Risurrezione del Signore – rassicura il Papa -, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo “pungiglione”, come diceva san Paolo: possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio. In questa fede, possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte».
I nostri cari, dunque, non sono scomparsi nel buio del nulla: «La speranza – ribadisce il Pontefice – ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte. Per questo, la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno».
Ma la morte fisica ha dei complici, peggiori della morte stessa: «Si chiamano – avverte il Santo Padre – odio, invidia, superbia, avarizia: insomma, il peccato del mondo che lavora per la morte e la rende ancora più dolorosa e ingiusta. Gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo. Pensiamo all’assurda normalità con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani: il Signore ci liberi dall’abituarci a questo!».
Quindi, in conclusione dell’udienza generale, Papa Francesco si è espresso sulla drammatica situazione che stanno vivendo centinaia di migranti respinti alla frontiere che separano l’Italia dagli altri Paesi europei: «Invito tutti – esorta Bergoglio – a chiedere perdono per le persone e le istituzioni che chiudono le porte a questa gente che cerca una famiglia, che vuole essere custodita».
Sabato prossimo, tra l’altro, ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite: «Preghiamo – invita il Pontefice – per i tanti fratelli e sorelle che cercano rifugio lontano dalla loro terra, che cercano una casa dove poter vivere senza timore, perché siano sempre rispettati nella loro dignità. Incoraggio l’opera di quanti portano loro un aiuto e auspico che la comunità internazionale agisca in maniera concorde ed efficace, per prevenire le cause delle migrazioni forzate».
Quello di oggi, poi, è il grande giorno in cui verrà pubblicata l’Enciclica sulla cura della “casa comune” che è il creato: «Questa nostra casa – ha proseguito – si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Di qui l’appello del Pontefice alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: «Coltivare e custodire – conclude – il giardino in cui lo ha posto». Papa Francesco, inoltre, ha invitato ad accogliere con animo aperto questo documento che si pone nella linea della dottrina sociale della Chiesa.