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«Ero straniero, e mi avete ospitato»

Nel mondo pagano, i primi cristiani introdussero una concezione rivoluzionaria dell'ospitalità: l'idea che in ogni bisognoso che incontriamo c'è Dio.

Ventimiglia, gli immigrati avvolti nei teli termici luccicanti giacciono sugli scogli: sono in bilico tra la vita e la morte, il presente e il futuro, la salute e la malattia, la fame e la sazietà. In bilico, comunque. Chi è, in fondo, uno straniero? È uno strano, estraniato, uno che non ha un suo posto e non ha relazioni come gli immigrati, in bilico su uno scoglio, camuffati l’uno all’altro prima ancora che al mondo intero. Che rapporto abbiamo con loro, abbiamo qualche responsabilità nei loro confronti? Il politico risponde per slogan; le agenzie dei servizi sociali parlano di procedure e protocolli; ciascuno di noi si sente sopraffatto da compassione o paura, ma alla fine passa – perché, dopo tutto, cosa posso farci? Rapportarsi allo straniero è veramente un problema di distanze: la distanza tra questa società moderna complessa e le mille sfaccettature del bisogno umano, da una parte, e le risorse di ciascun individuo, dall’altro, è veramente troppo grande per noi.

In tanto disorientamento almeno i cristiani dovrebbero avere le idee chiare sull’accoglienza degli stranieri, se ricordassero come per le prime comunità cristiane l’ospitalità fosse un dovere sacro e primario. Nel mondo pagano in cui nacque la chiesa, l’ospitalità era un mezzo utile per consolidare lo status quo e fortificare le relazioni socialmente significative; si ospitavano coloro dai quali si pensava di poter ricevere aiuto. I primi cristiani, invece, cominciarono a concepire e praticare l’ospitalità in un modo completamente antitetico a quello del mondo pagano perché non potevano prescindere dalle parole di Gesù. Nella parabola di Matteo (25, 31-46) sulle pecore e sui capri Gesù parla del Figlio dell’Uomo che accoglie nel Regno coloro i quali, dice, gli hanno dato da mangiare quando aveva fame, lo hanno visitato quando era infermo, o lo hanno accolto quando era straniero, e scaccia quelli che lo hanno respinto. E quando domandano «Quando ti abbiamo visto affamato? Quando ti abbiamo incontrato come straniero?», Gesù spiega loro: «In verità vi dico, quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me». L’idea che in ogni bisognoso che incontriamo c’è Dio era una rivoluzione, perché era in contrasto con la cultura pagana dominante, e la chiesa primitiva dovette lottare per difenderla. Giacomo non solo rimprovera aspramente i cristiani che avevano permesso alle distinzioni sociali e ai favoritismi verso i ricchi, tipici del mondo pagano, di inquinare le proprie comunità, ma dichiara che quel modo di comportarsi metteva in dubbio la loro stessa fede perché è con i poveri che Gesù si identifica: «Voi con i vostri favoritismi credete davvero nel nostro glorioso Gesù Cristo?» (Cfr. Lettera di Giacomo 2, 1-12). Poi arrivarono i Padri della Chiesa – Clemente Alessandrino, Ambrogio, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Girolamo –, omelia dopo omelia, a ricordare ai cristiani che l’ospitalità è un dovere sacro e un atto di obbedienza alla parola del Signore,  per costruire le comunità in vista dell’avvento del Regno più che della realizzazione della sola giustizia sociale: «Torna a tuo vantaggio tutto ciò che dedicherai al bisognoso: crescerà per tutto ciò che diminuirai; nutrirai te stesso con quel cibo che avrai dato al povero, perché chi ha misericordia del povero nutre se stesso e il frutto è già in queste cose. La misericordia viene seminata sulla terra e germoglia nel cielo; viene piantata nel povero e si sviluppa presso Dio. «Non dire, dice Dio, ti darò domani » (Prv 3,28). Colui che non sopporta che tu dica: «Ti darò domani», in che modo sopporta che tu dica: «Non darò»? Al povero non dai del tuo, ma gli restituisci del suo. Infatti, ciò che è stato dato in uso a tutti, te lo appropri solo per te. La terra è di tutti, non dei ricchi; però coloro che ne possono usufruire sono molto meno di coloro che ne usufruiscono. Perciò restituisci il dovuto, non distribuisci il non dovuto. Perciò la Scrittura ti dice: «Piega la tua anima al povero e rispondi amichevolmente con mansuetudine» (Sir 4,8) [Sant’Ambrogio – La storia di Nabot e Jzreel (53)]

Il modo di concepire l’ospitalità come dovere sacro, lo abbiamo già detto, era una sfida radicale lanciata dai cristiani a quel mondo pagano che presto cominciò a sentirsi minacciato dai mutamenti sociali generati dalla fede in Cristo, perchè mietevano consenso e ammirazione verso l’operato dei cristiani. «È una vergogna», diceva l’imperatore pagano Giuliano, che, siccome «gli empi galilei danno sostegno non solo ai loro, ma anche ai nostri poveri, tutti riconoscono che la nostra gente non riceve aiuto da noi», e così l’imperatore ordinava di istituire strutture pagane per la cura degli stranieri e dei bisognosi [1]. Il progetto di Giuliano fallì e con esso l’Impero romano si sgretolò sotto l’invasione dei barbari, mentre la chiesa lavorò alacremente per intensificare le pratiche d’accoglienza soprattutto attraverso i monasteri. La Regola redatta da Benedetto da Norcia intorno al 540 per il monastero di Monte Cassino, modello imperituro di vita religiosa, si pronuncia chiaramente riguardo all’accoglienza degli stranieri, dei poveri e dei malati; ogni monastero dovrebbe avere una foresteria con un numero sufficiente di letti perché chi arriva possa essere ricevuto come Cristo, «perché Egli dirà “sono venuto come ospite e mi avete ricevuto”» [2].

Le strutture che derivano da queste pratiche monastiche esistono tutt’ora, così come la chiesa di oggi – in Italia e nel mondo – continua attraverso varie istituzioni a farsi carico di poveri, malati e stranieri. Insieme alla chiesa operano istituzioni che si ispirano ai principi laici della giustizia e della solidarietà sociale, gestite da persone anche indifferenti ed ostili al cristianesimo ma che condividono alcuni dei valori fondamentali perseguiti dai cristiani. In questo non possono esserci che aspetti positivi. A differenza degli altri, i cristiani di oggi hanno ereditato la sfida – con loro stessi prima che con il mondo pagano – di ricordare che l’ospitalità non è solo un servizio sociale ma un dovere sacro che dà pienezza e concretezza al comandamento che esprime l’essenza e la novità del Vangelo: «In verità vi dico, quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me».

Davanti agli immigrati sugli scogli di Ventimiglia, il cristiano dovrebbe avere le idee – almeno quelle – chiare, e ricordare che «Caritas Christi urget nos». Altrimenti detto, con le parole di Francesco: «Chiediamo perdono per le persone e le istituzioni che respingono i migranti».

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[1] Citazione in Maria Poggi Johnson, Amor m’accolse. L’ospitalità al cuore della vita, Marietti, Genova 2014, p.88.

[2] Cfr. Ivi, p. 89.