La filosofia come ricerca del senso
Non c’è quindi nulla di strano, se la sapienza non appare utile né vantaggiosa, poiché non diciamo che essa è utile, ma che è buona né è giusto desiderarla per causa di altro, ma per se stessa (Aristotele, Protrettico)
Le prime domande che una persona si pone, iniziando lo studio della filosofia, sono queste: com’è nata la filosofia? E perché interessa?
Quanto alla prima domanda la risposta è relativamente semplice: la filosofia nasce dalla meraviglia, cioè da quello che possiamo chiamare un “sentimento” metafisico. L’uomo, non pago delle risposte dei miti, ha cominciato in Grecia a studiare la realtà per trovare una spiegazione razionale della stessa. Occorre specificare che quando dico “sentimento” non intendo nulla di irrazionale, mi riferisco semplicemente a quello che i greci hanno ben descritto parlando del principio del filosofare. Ecco cosa dicono Platone (428/427 a. C.-348/347 a. C.) e Aristotele (384/383 a. C.-322 a. C.) a tal proposito:
«È proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia, né altro cominciamento ha il filosofare che questo» (Teeteto, 155 d).
«Chi è nell’incertezza e nella meraviglia pensa di essere nell’ignoranza, perciò anche chi ha propensione per il mito è, in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose; e quindi, se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di fuggire all’ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico» (Metafisica, I, 2, 982 b, 17-21).
In questo senso la meraviglia è un sentimento che nasce dinanzi alla realtà e alla sua misteriosa presenza: l’uomo si stupisce e cerca di rendere ragione delle cose che vede. Questo “rendere ragione” è il passaggio dall’ignoranza alla sapienza. La meraviglia è dunque ciò che stimola, per così dire, l’uomo a porsi determinate domande e fuggire in tal modo lo stato d’incertezza e di non-sapere in cui si trova. Alla base del filosofare c’è dunque questo sentimento che, ripetiamolo, non ha nulla di irrazionale, anzi è l’esatto contrario: «Gli uomini – dice ancora Aristotele – sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, si trovarono di fronte a maggiori difficoltà, quali le affezioni della luna, del sole e delle stelle, e l’origine dell’universo» (Metafisica, I, 2, 982 b, 13-17). Proprio questo ci permette di rispondere anche alla seconda domanda, “perché interessa la filosofia?”. Rispondere significa mostrare la radicalità dell’indagine filosofica e il suo fine. È possibile quindi capire la ragione dell’interesse per questa nobile disciplina, solo comprendendo il suo carattere problematico e il fine. Purtroppo il nostro tempo è poco incline alla meraviglia di cui abbiamo detto e spesso le questioni ultime della vita sono alquanto trascurate. Oggi si è sempre meno stupiti, ci si meraviglia sempre meno, quindi parlare della filosofia come domanda radicale sul senso della totalità del reale può sembrare a molti piuttosto anacronistico. In realtà il richiamo a una tale concezione risponde sia all’aspirazione del cuore che alla sete della ragione; e non è certo la presenza di testi che celebrano la morte della filosofia a far tacere nel cuore di ognuno le domande fondamentali della vita, “chi sono?”, “da dove vengo?”, “verso dove vado?”, insomma non è certo il pensiero debole a eliminare l’impellenza della questione forte circa il perché della nostra esistenza. La filosofia è tale esigenza, si nutre di tali domande, domande che non si possono evitare, pena è il venir meno alla nostra propria natura di esseri razionali e fare dell’attività filosofica stessa una semplice chiacchiera. L’attività filosofica, quindi, non è una elucubrazione mentale, una costruzione di un sistema senza alcun presupposto, una costruzione arbitraria insomma, ma essa parte e non può non partire dall’essere delle cose, dall’esperienza concreta.
Questa indagine razionale senza alcun dubbio non verrà mai meno, ci sarà sempre qualcuno che si stupirà delle cose che sono, che farà esperienza di quella antica e sempre nuova meraviglia, e cercherà di rispondere a questo stupore, aspirando sinceramente alla verità. Questa aspirazione fa della filosofia una delle attività più nobili dell’uomo, una vita dedicata alla ricerca del senso della nostra esistenza che nessun sapere tecnico potrà mai darci. Come scriveva il poeta inglese Eliot:
«Anche se vi imbattete in mille vigili che dirigono il traffico, nessuno di loro vi saprà dire perché siete arrivati lì e qual è la vostra meta finale» (Cori da «La Rocca», III).