Il cristiano e il Natale controcorrente
La ragionevolezza della fede cristiana richiede una riflessione sulle ragioni della nostra speranza in un Dio che nasce bambino, mentre nel mondo si diffonde la disperazione degli "adulti"..
Sangue ad Aleppo. Sangue a Berlino. Sangue in Turchia. Se pure volessimo restringere il perimetro della violenza agli eventi delle ultime settimane, tutto parla di sangue. Non ci interessano le analisi politiche, la divisione delle colpe e la moltiplicazione delle ragioni: è sufficiente dire “sangue”, dire “uomo contro uomo”. In questo contesto, fosse anche solo per un minuto, giusto il tempo di uscire un po’ dai fatti nostri, sentiamo tutti salire un senso di disperazione, di paura verso il futuro e l’ignoto. Sentiamo la realtà del mondo vacillare di senso, anche se ci illudiamo di trovarlo con le nostre interpretazioni, le analisi raffinate, le previsioni dell’ultima ora. Sarà una disperazione di circostanza, occasionale, almeno fino a quando di certi eventi siamo solo spettatori, privilegiati in quanto tali, eppure sempre di disperazione si tratta.
E mentre quest’aria fosca ci intimidisce diffondendosi, il cristiano – noi, cristiani – ci prepariamo a festeggiare il Santo Natale. Mentre la disperazione si fa largo nel presente, la nascita di Cristo, come una forza controcorrente, apre la speranza verso il futuro. Contempliamo, questo miracolo di “carne”:
«Colui che sostiene il mondo intero giaceva in una mangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo di una sola donna portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo (cfr. At 17, 28), allattava colui che è il nostro pane (cfr. Gv 6, 35). O grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità! Sorreggeva con la sua potenza la madre dalla quale dipendeva in quanto bambino, nutriva di verità colei dal cui seno succhiava. Ci riempia dei suoi doni colui che non disdegnò nemmeno di iniziare la vita umana come noi; ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell’uomo» (Sant’Agostino, Sermo 184/A).
La Natività è la festa della speranza. «Con l’incarnazione del figlio di Dio, la speranza è entrata nel mondo», perchè facendosi uomo fino a spogliarsi della divinità – come ha ricordato papa Francesco nell’Udienza Generale del 21 dicembre scorso –, «Dio inaugura un Regno nuovo che dona una nuova speranza all’umanità»: la speranza nella vita eterna, nella pienezza della vita. Incarnandosi, il Bambino, ci ha donato la speranza di una meta, di una destinazione: noi siamo peregrini su questa terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Se questa è la nostra speranza, dovremo anche saper rendere ragione di ciò in cui diciamo di credere. Se vogliamo che la ragionevolezza della fede non sia, solo, questione accademica su cui discettare, se fede e ragione non sono estranee e antagoniste come insegnano i Padri della chiesa, allora, qui e adesso, in un mondo che dispera di senso, in un deserto di morte e sangue, dovremmo saper spiegare come sia possibile per il cristiano festeggiare la speranza, il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Nel mondo che dispera, come riescono i cristiani a festeggiare la speranza?
Se papa Francesco ha indicato – sempre durante l’Udienza Generale – nel “presepe”, nella Natività, il simbolo della speranza cristiana, papa Benedetto XVI, a dispetto di quanti si ostinino ancora a leggere nel segno della discontinuità il magistero dei due papi, durante il suo pontificato indicò lo stesso simbolo, meditando il mistero dell’Incarnazione di Dio. [Cfr. Benedetto XVI, La mia eredità spirituale, a cura di Giuliano Vigini, Ed. San Paolo, Milano 2013, pp. 17-44].
A Natale nelle nostre chiese risuona più volta il termine “Incarnazione” di Dio, per esprimere la realtà che celebriamo: «Il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). La parola “carne”, secondo l’uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l’uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dire che la salvezza portata da Dio fattosi carne in Gesù di Nazareth tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Nelle Briciole di Filosofia (Copenhagen 1844) Kierkegaard scrive: «Cristo non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrarvi con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore». Dunque la speranza cristiana viene dal sapere che Dio, entrando nel nostro tempo e nella nostra storia con l’umiltà di un bambino, ha percorso le nostre strade come uomo, e cammina ancora oggi con noi, per condurci verso il Padre che ci attende. La speranza è sapere che Cristo è sempre in cammino con noi, e ci fa camminare offrendo a chiunque si affidi la salvezza: una destinazione buona al presente, anche quando sul presente incombono morte e sangue.
Se l’iniziativa parte da Dio con l’Incarnazione, al cristiano si chiede il “coraggio di partire” oggi come ai Magi un tempo: spinti dalla ricerca di Dio e della salvezza del mondo, i Magi sfidarono anche la derisione dei “realisti” del tempo, che dovevano ritenere folli dei saggi in pellegrinaggio dietro una stella, proprio come oggi appaiono folli al mondo, apparentemente intelligente, tutti i cristiani che festeggiano la speranza mentre la disperazione dilaga. Coraggiosi furono anche i pastori che, come leggiamo nel Vangelo di Luca, dicevano l’un l’altro: «Orsù, passiamo di là, a Betlemme, e vediamo questa parola che è accaduta per noi» (cfr. Lc 2,15). I “pastori” rappresentano tutti quei “piccoli” che osano “attraversare”, “andare di là” (trans-eamus traduce la Bibbia latina): compiono quella “traversata” con cui si oltrepassano le “sicurezze” mondane, che non ci salveranno, per andare verso quel Dio dal quale si spera giunga la salvezza di ognuno. Così il cristiano di oggi: oltrepassando le sicurezze, specialmente se materiali, le abitudini di pensiero, le opinioni e la disperazione del mondo, spera invece in Dio.
In questi giorni di sangue e guerra, «passiamo di là, a Betlemme» anche con la preghiera per tutte le persone che oggi vivono e soffrono nei luoghi in cui il Signore ha vissuto. Speriamo nella preghiera: per gli israeliani, i palestinesi, per i paesi circostanti, anche per il Libano, per l’Iraq, e la Siria con il suo turpe genocidio. Preghiamo affinché si affermi la pace; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace.
Come fanno i cristiani a festeggiare la speranza mentre il mondo si muove in senso contrario? Perché con l’Incarnazione Dio ci ha permesso di vivere il presente in modo controcorrente, pur essendo faticoso: viviamo nella certezza di essere in cammino, con Cristo che cammina con noi, verso il Padre che ci attende. Sta ad ognuno riflettere sulla propria capacità di sentire la speranza, riuscendo a vedere, nella ricorrenza annuale del Natale, l’amore di Dio che viene a salvare l’intera umanità dalla morte e dal peccato.
Celebrando Cristo, seme di speranza entrato nella storia di ognuno e di tutti, porgiamo a voi gli auguri con le parole di papa Francesco: «Buon Natale di speranza a tutti».
* Immagine Dipinto:”L’adorazione dei pastori”, di Gerard van Honthorst (1622)