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Mohammed: la storia di uno, la storia di tanti

Il venerdì santo di senza fissa dimora e le prospettive di resurrezione

Mohammed è un uomo di mezz’età e viene dal Nord Africa. A causa di problemi di salute ha perso il lavoro – è sì perché Mohammed era un immigrato che si dava da fare – e si è ritrovato senza tetto. Oltre che sull’aggravarsi delle condizioni mediche la strada ha influito anche sul suo morale: Mohammed ha perso la speranza in un futuro sereno e il tumore diagnosticato ha distrutto totalmente qualsiasi tipo di aspettativa. Mohammed è chiuso nella sua disperazione eppure il calore di una tazza di latte e delle mani accoglienti di chi quel po’ di cibo glielo porge ogni sera sembra scalfire quel rigido muro nero: pian piano una piccola fessura si apre tra lui e il mondo lasciando spazio ad una flebile fiducia. I suoi problemi non sono svaniti, restano, ma non è più solo ad affrontarli: così Mohamed può ricominciare a camminare.
La storia di Mohammed è quella di tanti altri Senza fissa dimora che vogliamo presentarvi nel giorno in cui la Chiesa ricorda la morte del Signore. Un dolore lancinante, estremo, che appartiene a tanti, a troppi, ma che sempre si apre ad un terzo giorno di Risurrezione. Da quel venerdì Santo Mohammed non ha più interrotto il suo cammino di “cambiamento”: accompagnato dai nuovi amici dell’unità di strada, è riuscito ad affrontare visite mediche e interventi e a lasciarsi aiutare da operatori e, volontari presenti nella città. Mohammed ora ha un tetto, vive nella Cittadella dell’Accoglienza “Giovanni Paolo II”, da quella sera del mese di ottobre, quando ha superato la resistenza timorosa di una casa e ha chiesto di essere accompagnato in un dormitorio.
Mohammed è la storia di uno, ma è simile a quella di Assan, di Lyubomir ma anche a quella di Mario, di Antonio, di Virgilio, di Annamaria, che sono nomi di fantasia ma ci raccontano delle 27 persone che hanno iniziato un percorso di cambiamento offerto da “Servizi di prossimità”, progetto portato avanti dalla Caritas diocesana Pescara-Penne e dall’Associazione “On the road” e che nasce dalla sinergia con il Comune di Pescara e in particolare con l’assessorato alle Politiche Sociali e la rete di associazioni che agiscono su realtà sociali sensibili perché possano essere conosciute, affrontate e aiutate a costruire un reinserimento o condizioni di vita migliori, vincendo il degrado e non alimentando condizioni di marginalità, com’è accaduto a Mohammed.
Sono state circa 240 le persone incontrate nell’arco di 7 mesi di attività e che sono passate per il capoluogo adriatico, crocevia di storie di marginalità, ma sono solo 30 – per fortuna – quelli che si incontrano ogni notte per le strade della città. Un numero meno eclatante di quelli gridati a sconforto dei cittadini, ma un numero troppo elevato per una società organizzata che stenta a giocare sull’accoglienza. 70 le persone rimpatriate, 16 quelli accolti nelle strutture di altre associazioni e 7 quelli ospitati, oggi, nel dormitorio cittadino con progetti individualizzati. Non mancano i fallimenti di uomini incontrati e finiti in carcere o tornati sulle strade della prostituzione, ma Mohammed è di insegnamento, innanzitutto, per noi, perché con la sua esistenza ci invita a non arrenderci e a sperare in un mondo migliore.