Giovani: “Non perdenti da proteggere, ma risorse per cambiare il mondo”
"È una generazione che non vorrebbe chiudersi - osserva il Rapporto Giovani -, ma aprirsi al futuro e al mondo con un’Europa politicamente più forte verso l’esterno e socialmente più solida all’interno. Ma anche consapevole delle difficoltà, disillusa nei confronti delle istituzioni, timorosa – soprattutto nelle sue componenti culturalmente e socialmente più fragili – di trovarsi abbandonata di fronte ai rischi di aperture e cambiamenti, senza poter davvero accedere a nuove opportunità"

«Una generazione in equilibrio precario tra rischi da cui difendersi e opportunità a cui tendere, con freni culturali e istituzionali alla messa pienamente in campo di tutto il proprio potenziale, troppo spesso misconosciuto e sottoutilizzato». È la fotografia del mondo giovanile italiano consegnata dal Rapporto giovani 2017 dell’Istituto Toniolo, in libreria nel volume “La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2017” (Il Mulino).
L’indagine si concentra in particolare sugli snodi principali della transizione alla vita adulta, ovvero la formazione, il lavoro, l’autonomia e le scelte di vita a partire dalla scuola: «Oltre tre quarti del campione complessivo – riporta l’indagine – concorda nel sostenere che l’istruzione scolastica serva in primo luogo ad attrezzare la persona, accrescendone le abilità e le conoscenze (80,5%), promuovendo la capacità di ragionamento (75,9%) e di stare con gli altri (75,3%). Sei intervistati su dieci sono convinti che l’istruzione sia anche una risorsa utile per affrontare la vita (60,5%)».
Dal Rapporto emerge, inoltre, come il percorso formativo sia determinante sia sulla carriera lavorativa, sia sulle pratiche di partecipazione sociale e politica: «In tale contesto – prosegue – il 31% dei giovani con licenza media o titolo inferiore e il 31,6% dei qualificati ha dichiarato di aver svolto volontariato, la percentuale sale al 41,4% tra coloro che hanno concluso gli studi con il diploma di scuola superiore e al 51,7% nei laureati».
Invece per quanto riguarda la partecipazione ad attività di pressione pubblica (petizioni, raccolte firme, manifestazioni di piazza, campagne di sensibilizzazione sui social network ecc.), il 61 % degli intervistati con la laurea ha dichiarato di avere preso parte, contro il 49,7% di quelli con licenza media o inferiore: «È una generazione che non vorrebbe chiudersi – osserva il Rapporto Giovani -, ma aprirsi al futuro e al mondo con un’Europa politicamente più forte verso l’esterno e socialmente più solida all’interno. Ma anche consapevole delle difficoltà, disillusa nei confronti delle istituzioni, timorosa – soprattutto nelle sue componenti culturalmente e socialmente più fragili – di trovarsi abbandonata di fronte ai rischi di aperture e cambiamenti, senza poter davvero accedere a nuove opportunità».
È questa la fotografia scattata ai “millennials” (coloro che sono nati fra gli anni ’80 e i 2000) dal Rapporto giovani 2017. Tra i dati, l’indagine riferisce che il 70,8% dei giovani italiani lavorerebbe all’estero con una percentuale più elevata rispetto ai coetanei delle altre nazioni. Il rapporto punta l’attenzione in particolare su due tappe cruciali del processo di transizione alla vita adulta, come l’autonomia dai genitori e la formazione di una propria famiglia: «I dati – riporta la presentazione dell’indagine – mostrano come rispetto ad aspettative e progettualità i giovani italiani non si distinguano in modo rilevante rispetto ai coetanei degli altri Paesi europei, mentre più ampio che altrove è il divario tra ciò che vorrebbero fare e quello che riescono effettivamente a realizzare. Lavoro e situazione economica rappresentano, infatti, per oltre il 70% degli intervistati un elemento che ha pesato abbastanza o molto nell’impedire l’uscita dalla casa dei genitori».
La categoria più penalizzata è quella dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Al “non” studio e lavoro tendono ad associarsi anche altri ‘non’, secondo l’indagine, sul versante delle scelte di autonomia, di formazione di una famiglia, di partecipazione civica, di piena cittadinanza: «Se vogliamo ancora sperare in un futuro migliore – conclude Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica e curatore dell’indagine -, non dobbiamo considerare i giovani come i “perdenti” da proteggere in un mondo diverso dal passato, ma le risorse principali per contribuire a cambiare il mondo nella direzione auspicata. Di fronte alle grandi trasformazioni è cruciale, anzi vitale, aiutare le nuove generazioni a produrre nuove mappe della realtà che muta e individuare i percorsi più promettenti per raggiungere obiettivi condivisi. Il rischio è, altrimenti, quello per i giovani di perdersi e per la collettività di impoverirsi e veder aumentare diseguaglianze generazionali e sociali».