“Occorre una rinnovata alleanza tra Chiesa e università”
"I vescovi - sottolinea don Michele Falabretti, responsabile nazionale del Servizio di Pastorale giovanile Cei - hanno intuito che l’università è un luogo strategico; ora si tratta di capire come costruire e sviluppare meglio questa presenza"
Nell’incontro del primo ottobre scorso con gli studenti e il mondo accademico bolognese, Papa Francesco aveva espresso l’auspicio che le aule universitarie diventassero cantieri di speranza. Lo ha ricordato giovedì mattina Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Conferenza episcopale italiana, introducendo i lavori del Convegno nazionale di pastorale universitaria “Chiesa e università, cantieri di speranza” – promosso dallo stesso Ufficio in collaborazione con il Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei – il cui titolo prende spunto proprio dal discorso di papa Francesco al mondo accademico di Bologna lo scorso ottobre: «Vogliamo cercare – premette Diaco – di costruire o contribuire ad alimentare luoghi – università, cappellanie, collegi – in cui la prospettiva di speranza sia la nostra guida. Non possiamo pensare di costruire la società e di occuparci di educazione dei giovani chiusi ciascuno nel proprio ambito. Occorre una sempre rinnovata alleanza tra Chiesa e università».
Con riferimento alla riunione presinodale in programma a fine mese, il direttore dell’Ufficio Cei afferma: «Scuola e università verranno probabilmente inserite bell’Instrumentum laboris. Questo è un bel segno. Il nostro obiettivo è che si prenda sempre più coscienza del valore della pastorale universitaria e di questa necessaria alleanza tra università e Chiesa». Un’alleanza che si concretizza attraverso la presenza dei cappellani che, negli atenei italiani, incontrano gli studenti: «In una relazione di accompagnamento e aiuto – spiega Padre Giulio Parnofiello, cappellano dell’Università La Sapienza di Roma – non bisogna chiedersi che cosa stia chiedendo una persona ma chi è la persona che abbiamo davanti».
Prendendo parte alla sessione “L’età delle scelte: orientamento e discernimento in Università”, Padre Parnofiello si è soffermato sul discernimento proposto da sant’Ignazio negli Esercizi, ma prima ha offerto la “fotografia” degli studenti emersa da un questionario somministrato nella cappella de “La Sapienza”: «Per gli intervistati – racconta – la scelta universitaria risulta qualcosa di slegato da un progetto di vita più ampio e organico; nelle relazioni con gli altri l’asse centrale resta sempre l’io “perché le relazioni servono a stare bene e a non sentirsi soli”, dunque “sono mezzi e non fini”. Oltre alla solitudine, il timore più grande è quello di fallire rispetto alle aspettative nei loro confronti. Dal punto di vista della fede, la maggior parte degli intervistati si dichiara credente, ma rivela una molteplicità di paradigmi ecclesiologici e di visioni teologiche discordanti che esprime la mancanza di un linguaggio comune. Inoltre, la sensazione è che la missione della Chiesa sia soprattutto di tipo sociale. Di qui il bisogno di senso e di una storia in cui riconoscersi».
Un bisogno di senso che può essere trovato, compiendo un profondo discernimento: «Che – ricorda Padre Giulio Parnofiello – aiuta a trovare equilibrio e insegna a desiderare e a scegliere; è certamente un carisma perché è un insieme di doni e di grazia ma è anche un’arte che va coltivata. Il discernimento – a cui è stata dedicata, insieme all’orientamento, la prima sessione dell’incontro – non è una tecnica consistente nell’applicazione di criteri, pur necessari. L’ambito dii riferimento è la volontà di Dio, che rappresenta la pienezza di un’esistenza autenticamente umana alla quale giungere mediante l’esercizio di una responsabile libertà».
Il discernimento, dunque, aiuta a trovare un equilibrio rispetto a tutte le cose create: «Si tratta – precisa il cappellano dell’Università La Sapienza di Roma – di imparare a desiderare a scegliere. Prima si sceglie Dio, poi lo stato di vita che aiuta a servire meglio Dio liberando il campo degli affetti disordinati. Questo è un passaggio importante. È una dinamica attraverso la quale si procede dalla conoscenza e dalla distinzione tra il bene e il male al passaggio dal bene al meglio, ma non esiste discernimento senza preghiera, ossia senza relazione esplicita con Dio».
Ma a cosa serve oggi l’università: «Si qualifica – denota Michele Faldi, direttore dell’Offerta formativa, promozione, orientamento e tutorato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – come luogo di ricerca scientifica, di didattica, di preparazione professionale, difficilmente se ne parla come di un luogo di educazione. L’università ha ancora questa pretesa educativa? Oggi il grande rischio che corre l’università, è quello di trasformarsi in un super istituto tecnico annacquando o addirittura smarrendo il suo compito. E la posizione che ha un ateneo nel ranking è una motivazione di scelta sufficiente?».
Dopo il calo significativo delle immatricolazioni su tutto il territorio nazionale degli ultimi anni, Faldi ha poi osservato come nell’anno 2016-2017 (i dati dell’anno in corso non sono ancora definitivi) si sia registrato un leggero rialzo: «Significativo – precisa – che molti si iscrivano anche dopo due o tre anni dall’esame di Stato. Diminuiscono gli abbandoni, più frequenti “nei primissimi anni”, dato che può suggerire come siano più numerosi laddove l’orientamento è meno efficace».
Del resto, tra i ragazzi che escono dalla scuola e si avviano agli studi universitari: «Sono frequenti – illustra direttore dell’Offerta formativa, promozione, orientamento e tutorato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – la difficoltà a conoscere se stessi, l’incapacità di processi decisionali, la scarsa conoscenza del sistema post scolastico, la fortissima tensione derivante dai consigli – ma soprattutto dalle aspettative altrui sulle proprie performance, l’incertezza sociale, economica e politica. Oggi un giovane che entra in università ha bisogno di essere preso sul serio, di essere aiutato a comprendere ciò che è, ciò che ha davanti, a percepire la complessità dell’ambiente in cui si trova e ad essere realista».
È positivo, però, il giudizio sull’alternanza scuola–lavoro: «Un primo interessante esperimento di orientamento per i giovani – commenta Michele Faldi -, un’opportunità per sperimentarsi e vedersi in azione acquisendo quelle soft skill che il mondo del lavoro richiede ma non sono oggetto di corsi universitari». E l’orientamento, non si esaurisce con l’immatricolazione: «È un cammino – ribadisce – che lo studente è chiamato a continuare a compiere durante il percorso universitario e che prosegue anche dopo l’università nell’itinerario verso il mondo del lavoro».
Premesso ciò, il responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei, si è chiesto cosa stiamo cercando di consegnare ai giovani: «I processi di crescita – osserva don Michele Falabretti – non sembrano fallire per la loro incapacità, ma per la fatica degli adulti. Per alcuni versi hanno paura dei giovani, perché avvertono il loro mondo troppo smart; per altri li vorrebbero imitare perché hanno paura di invecchiare e, comunque, li tengono in panchina».
Secondo il presbitero, questo rappresenta un vero e proprio corto circuito: «I giovani – osserva – sono in cerca di guide, ma gli adulti li cercano perché ne vorrebbero trattenere le caratteristiche. Questo si sta sentendo anche in termini di vita della Chiesa. Quando uscì il documento del Sinodo, ci siamo accorti che il discernimento vocazionale è abbastanza sicuro e chiaro per chi sceglie la vita religiosa, ma per un giovane che non ha questo orientamento è molto più complicato. Questo ci deve portare a rileggere tutta la nostra capacità di accompagnare i processi di discernimento vocazionale, quale che sia la vocazione».
Dallo scorso settembre ad oggi sono una sessantina gli incontri nelle diocesi ai quali il sacerdote ha partecipato: «Ho sentito – conclude don Falabretti – la domanda di una presenza della Chiesa nell’università. I vescovi hanno intuito che l’università è un luogo strategico; ora si tratta di capire come costruire e sviluppare meglio questa presenza».