Onu: “Sono 820 milioni le persone che soffrono la fame nel mondo”
"L’umanità – osserva monsignor Fernando Chica Arellano, intervistato da Vatica News - non ha fatto sufficientemente il suo dovere per i fratelli più poveri. La fame continua ad aumentare. Questo evidenzia la grandezza della sfida di raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile ‘Fame zero’ entro il 2030. Vuol dire che dobbiamo lavorare di più per fare meglio il nostro dovere come comunità internazionale e soprattutto come persone, anche a livello individuale"

Sono ancora 820 milioni le persone che soffrono la fame nel mondo, pari all’11% della popolazione (dati riferiti al 2018). Dopo decenni di miglioramento, dal 2015 il trend positivo si è invertito. Anche se rimane stabile a livello globale, il numero assoluto è in continuo, lieve peggioramento. La fame continua a crescere soprattutto in Africa e, in misura minore, in America Latina e Asia occidentale. Questo rende ancora più difficile raggiungere gli obiettivi che la comunità internazionale si è data per eliminare la fame nel mondo entro il 2030. Inoltre 2 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso a cibo sicuro, nutriente e sufficiente, compreso l’8% della popolazione dell’America del Nord e dell’Europa.
È quanto emerge dal nuovo rapporto su “Lo stato della sicurezza alimentare e nutrizione nel mondo 2019. Salvaguardarsi dai rallentamenti e dalle recessioni economiche”, presentato ieri a New York nel corso del Forum politico di alto livello, dalle cinque agenzie delle Nazioni Unite: Fao, World food/Pam (Programma alimentare mondiale), Unicef, Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), Oms/Who (Organizzazione mondiale della sanità). La fame acuta aumenta soprattutto nei Paesi dell’Africa sub-sahariana, dove il livello di malnutrizione raggiunge il 20%. Ma cresce anche in America Latina e nei Caraibi, con una percentuale del 7%. In Asia aumenta nei Paesi più occidentali, con il 12% della popolazione malnutrita. Secondo il rapporto delle agenzie Onu 1 bambino su 7, pari a 20,5 milioni di bambini, è sottopeso alla nascita. E sono ancora 149 milioni i bambini con un ritardo nella crescita dovuto alla malnutrizione, un dato ancora lontano dall’obiettivo che ci si è dati per il 2030.
Di contro, continuano a crescere in tutto il mondo i problemi dovuti a obesità e sovrappeso, in particolare tra bambini in età scolare e adulti. Nel 2018, almeno 40 milioni di bambini sotto i 5 anni erano sovrappeso. Il report ricorda che la fame è dovuta a conflitti e cambiamenti climatici sottolineando inoltre la responsabilità dei mercati finanziari, che sottopongono a forte stress le economie più deboli: «La fame – sottolinea l’Onu – è aumentata in molti Paesi dove l’economia rallenta o è in recessione, principalmente in quelli a medio reddito. Inoltre, gli choc economici stanno contribuendo a prolungare e peggiorare la severità delle crisi alimentari, causate principalmente dai conflitti e da eventi climatici estremi».

Mons. Fernando Chica Arellano Arellano, Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao, l’Ifad e il Pam
Non sono mancate le reazioni al preoccupante rapporto, a partire da quella dell’Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao, l’Ifad e il Pam: «L’umanità – osserva monsignor Fernando Chica Arellano, intervistato da Vatica News – non ha fatto sufficientemente il suo dovere per i fratelli più poveri. La fame continua ad aumentare. Questo evidenzia la grandezza della sfida di raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile ‘Fame zero’ entro il 2030. Vuol dire che dobbiamo lavorare di più per fare meglio il nostro dovere come comunità internazionale e soprattutto come persone, anche a livello individuale».
Il problema non è soltanto di denutrizione, ma anche di malnutrizione: «Il rapporto – spiega l’alto prelato – ci sta dicendo che le persone che stanno dietro a questi numeri non hanno né un presente sereno né un futuro luminoso. La comunità internazionale veramente dovrebbe fare di più. Manca la volontà, soprattutto nel togliere le cause dovute all’uomo, come i conflitti, la crisi economica e i cambiamenti climatici. Questi tre continuano a essere i fattori che producono questi flagelli».
Da questa premessa è scaturito un forte invito: «Tutti – esorta – possiamo fare qualcosa per lottare contro la fame. Prima di tutto, non sprecare il cibo; poi, non passare, come ha fatto il sacerdote o il levita, davanti al povero chiudendo gli occhi o non ascoltando il grido degli affamati. Questo a livello personale. A livello parrocchiale e di altre ong, si stanno facendo veramente tante belle cose, si trovano delle iniziative bellissime. Ma si può fare di più».
La comunità internazionale, secondo Arellano, deve crescere in solidarietà: «Perché la solidarietà – approfondisce l’Osservatore permanente della Santa sede -, l’investimento nella pace sono un modo di lottare contro la fame. Se noi non sconfiggiamo la fame, tutti gli altri obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 credo non potranno essere raggiunti».
Dal punto di vista delle ong si è espressa l’Oxfam, ritenendo gli 820 milioni di persone che soffrono la fame nel mondo uno “uno status quo inaccettabile” e lanciando un appello urgente alla comunità internazionale e all’Italia: «Affinché – auspica l’organizzazione non governativa – smettano di ignorare un tema centrale per il futuro del pianeta e al contrario, intervengano con maggiori e immediati aiuti nei Paesi più colpiti, con politiche efficaci in grado di eliminare nel medio periodo le cause che sono all’origine di quest’emergenza globale».
Oxfam ha poi rivolto un’accusa precisa alle istituzioni: «Il tema della sicurezza alimentare è vergognosamente scomparso dall’agenda politica globale – afferma Giorgia Ceccarelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia –. Sono passati ben dieci anni dalle due consecutive crisi alimentari, che hanno avuto impatti devastanti sulle persone più povere del mondo e sulla loro capacità di nutrirsi adeguatamente, eppure nulla è cambiato. I dati di oggi ci confermano che fin quando non si affronteranno le cause strutturali, fame e povertà continueranno ad aumentare».
Per contrastare la crescita della fame a livello globale, secondo l’organizzazione umanitaria, è quindi necessaria una chiara inversione di marcia. Mettere al centro i diritti umani e costruire un sistema alimentare equo e sostenibile: «La fame non è un fenomeno casuale, ma è figlia di un sistema alimentare globale che mette sempre di più gli interessi commerciali, davanti ai bisogni delle comunità più povere e vulnerabili – prosegue la Ceccarelli -. Un trend che colpisce in primis i piccoli agricoltori che sono i primi produttori di cibo al mondo e soprattutto sono i promotori di un modello di agricoltura sostenibile per l’uomo e il pianeta».
Per l’Italia la promozione della sicurezza alimentare, dell’agricoltura e dello sviluppo rurale rappresenta da molti anni uno dei pilastri della politica di cooperazione italiana allo sviluppo. Ma il livello di impegno finanziario del nostro Paese risulta costantemente inadeguato. Nel 2017, l’Italia, stando ai dati Ocse, ha destinato solo l’1,7% dell’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) alla cooperazione bilaterale, a sostegno dell’agricoltura e dello sviluppo rurale: «È prioritario che il governo italiano – aggiunge il policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia -, così come la comunità internazionale faccia molto di più, mantenendo le promesse con maggiori investimenti e politiche mirate a sostegno dei piccoli produttori agricoli del Sud del mondo».
In particolare, dal nostro Paese, arrivano altri dati anch’essi allarmanti: «Anche in Italia – rileva Coldiretti nella sua analisi, diffusa in coincidenza con quella dell’Onu – ci sono 2,7 milioni di persone che sono state costrette a chiedere aiuto per il cibo da mangiare. Ad avere problemi per mangiare ci sono oltre la metà dei 5 milioni di residenti in Italia che, secondo l’Istat, si trovano in una condizione di povertà assoluta sulla base dei dati sugli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). La stragrande maggioranza di chi è stato costretto a ricorrere agli aiuti alimentari lo ha fatto attraverso la consegna di pacchi alimentari, che rispondono maggiormente alle aspettative dei nuovi poveri (pensionati, disoccupati, famiglie con bambini), che per vergogna prediligono questa forma di sostegno piuttosto che il consumo di pasti gratuiti nelle strutture caritatevoli».
Infatti, secondo l’associazione di categoria, sono appena 113 mila quelli che si sono serviti delle mense dei poveri, a fronte di 2,36 milioni che invece hanno accettato l’aiuto delle confezioni di prodotti: «Ma ci sono anche 103 mila persone – aggiunge l’associazione – che sono state supportate dalle unità di strada, gruppi formati da volontari che vanno ad aiutare le persone più povere incontrandole direttamente nei luoghi dove trovano ricovero».
Nel 2018 si segnala inoltre il nuovo fenomeno degli empori sociali, veri e propri negozi dove gli indigenti possono fare la spesa gratuitamente attraverso delle tessere, di cui hanno beneficiato in circa 84 mila. Non manca chi viene assistito direttamente a casa (24 mila): «Tra le categorie più deboli degli indigenti si contano – conclude la Coldiretti – 453 mila bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi 197 mila anziani sopra i 65 anni e circa 103 mila senza fissa dimora».