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“Dal terremoto dell’anima si è passati subito alla prossimità”

Lo ha affermato lo scorso sabato l’arcivescovo Valentinetti, partecipando a L’Aquila al convegno nazionale “Il terremoto dell’anima”

L'intervento di monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne e delegato Ceam alla Carità

Come delegato della Conferenza episcopale abruzzese e molisana alla Carità anche l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, lo scorso sabato nella sala Ipogea di Palazzo dell’Emiciclo a L’Aquila, è intervenuto al convegno nazionale “Il terremoto dell’anima”, organizzato dalla Chiesa dell’Aquila a dieci anni dal sisma 6.3 Richter che sconvolse il capoluogo regionale e l’Abruzzo il 6 aprile 2009: «Il terremoto – ricorda il presule – si è verificato alle 3.32, alle 3.45 mi hanno telefonato e, non lo dico per piaggeria, alle 4 avevo telefonato al nostro direttore della Caritas diocesana don Marco Pagniello dicendogli che bisognava partire, per poi contattare l’allora responsabile regionale della Caritas don Alberto Conti, e alle 7 loro erano già qui accolti dal parroco di Pettino don Dante. E dal terremoto dell’anima, si è passati subito alla prossimità. Non c’è stato un vuoto, lo devo dire per onestà. I modelli c’erano, erano già stati sperimentati a San Giuliano di Puglia in Molise. I famosi centri di comunità erano già stati sperimentati in altre circostanze. Si è trattato di rimettere in piedi quei modelli, riposizionandoli su questo territorio».

Un messaggio di saluto, quello dell’arcivescovo Valentinetti, partito dai ricordi dei primi giorni seguiti al terremoto del 6 aprile: «Mi potrei limitare a portare i saluti dei miei confratelli vescovi e arcivescovi abruzzesi e molisani – afferma il delegato alla Carità della Ceam -, in primis del presidente monsignor Bruno Forte, e ricordare la presenza del nostro episcopato regionale che in quei giorni si riunì in una tenda a Pettino, anche perché molti di noi si sono avvicendati sul territorio aquilano. Ricordo la prima visita che feci all’allora arcivescovo Molinari, ricoverato in una tenda nel giardino di casa della sorella. Ricordo che le prime cose che gli portati furono un anello e una croce pettorale, perché col terremoto aveva perso tutto e non aveva più neanche i simboli pastorali da indossare per poter vivere il suo ministero episcopale».

Quindi una riflessione sul tema del convegno: «Ma c’è stato un terremoto dell’anima – osserva monsignor Tommaso Valentinetti – e chi vi parla non l’ha sperimentato direttamente a L’Aquila, anche se a Pescara lo avvertimmo distintamente, ma l’ha sperimentato col terremoto nel 2002 quando 27 bambini e la loro maestra sono morti nella scuola di San Giuliano di Puglia. E arrivare su quel territorio, così come arrivare sul territorio dell’Aquila, e vedere la difficoltà e la fatica dei soccorritori, lo smarrimento dei superstiti, di chi aveva perso qualcuno, significa il terremoto dell’anima. È il terremoto dell’anima di cui serenamente, in questa occasione, possiamo parlare. È un terremoto che non si può interpretare e comprendere nel momento in cui lo si vede. Era negli occhi dei genitori che avevano perso i figli, era negli occhi di quel sacerdote che aveva paura. Ma la paura è di tutti, non c’è chi non ha paura ed è questo il terremoto dell’anima. Il terremoto dell’anima che sconvolge le persone, le comunità, la mente, che crea dipendenze e disaffezione, anche alla fede, perché in quei giorni i 27 bambini di San Giuliano e le 309 vittime dell’Aquila ci hanno fatto ripetere la domanda “Perché? Qual è il mistero di Dio di fronte al mistero della sofferenza e al mistero della morte? E al mistero di una natura che forse in questo caso, più di altri casi, è stata incontrollabile, imprevedibile e indomabile?”».

Il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila

Nelle successive tavole rotonde del convegno, è poi intervenuto l’arcivescovo dell’Aquila: «La Ricostruzione, per essere autentica e permanente – sottolinea il cardinale Giuseppe Petrocchideve essere integrata ed integrale. Integrata perché è una impresa da condursi al plurale, cioè, come Noi-Aquilani. La ricostruzione di una città è impresa di popolo. Tutti gli organismi, a livello centrale e periferico, sono chiamati a coordinarsi a servizio del bene comune, che è bene di tutti e di ciascuno. Nessun soggetto istituzionale, da solo, può dichiararsi abile a condurre in porto quest’opera immane. Integrale perché si tratta non solo di ricostruire le strutture architettoniche, ma anche la comunità civile ed ecclesiale. In questa prospettiva sarà fondamentale che tutti gli attori istituzionali trovino forme di raccordo e di intesa, che consentano di scambiare idee e strategie capaci di favorire dinamiche sananti e processi migliorativi per la vita delle persone e della popolazione. Occorre mobilitare, in forme di buona sinergia, la dimensione religiosa, culturale, sociale e politica».

E, secondo il cardinale Petrocchi, il terremoto dell’anima rappresenta l’altra faccia del sisma: «Manifesta – precisa – un volto sociale non meno devastato rispetto alle case lesionate ed evidenzia fratture spirituali ancora più gravi in confronto alle “rovine” materiali. Ma, a differenza del terremoto geologico, quello dell’anima non risulta immediatamente visibile e misurabile. Proprio perché avviene nella interiorità delle persone e della comunità sociale, richiede “occhi” particolarmente attrezzati per captarlo e interpretarlo correttamente. In genere, lo scuotimento del suolo provoca sussulti sismici limitati nel tempo, mentre gli sciami problematici che si scatenano nell’anima possono prolungarsi e amplificarsi per decenni, come anche le scienze umane evidenziano».

Quindi il porporato ha posto l’attenzione sul fatto che il terremoto dell’anima è un fenomeno difficile da registrare: «Occorrono – ricorda – “sismografi” spirituali, psicologici, sociali ben attrezzati. Non bastano “sensori” occasionali, ma bisogna organizzare “stazioni permanenti” di rilevamento per seguire l’andamento della situazione. Chi adotta sistemi intermittenti di analisi non può approntare forme di soccorso e di solidarietà adeguate. Alcune dissonanze comportamentali tendono a comparire dove il trauma del terremoto non è stato sufficientemente focalizzato e metabolizzato». Il riferimento è stato all’aumento della irritatività e dell’aggressività, all’abbassamento della soglia di sopportazione, all’incremento della litigiosità sociale. Anche l’inagibilità delle chiese provoca non solo un abbassamento della pratica religiosa, ma anche un più generale disorientamento aggregativo». Così, secondo l’arcivescovo dell’Aquila, per uscire dal terremoto dell’anima occorrono percorsi spirituali, psicologici e comunitari adeguatamente calibrati e attrezzati: «È urgente, perciò – sollecita il cardinale Giuseppe Petrocchi -, mettere in atto sistemi ed esperienze di accompagnamento che aiutino le persone a dialogare con le tensioni che covano dentro, per imparare ad integrarle positivamente nella propria esistenza».

Gli intervenuti alla sala Ipogea di Palazzo dell’Emiciclo

E anche l’arcivescovo dell’Aquila ai tempi del sisma, oggi emerito, monsignor Giuseppe Molinari a freddo ha rivissuto quei giorni drammatici: «Quella tragedia – riconosce il presule – ha portato devastazioni nelle anime e nei cuori. Devastazioni delle quali vediamo ancora oggi le dolorose conseguenze. So di essere vivo per miracolo». Poi monsignor Molinari ha posto una serie di domande: «Perché il terremoto? Perché Dio permette il terremoto? Perché non siamo morti noi al posto di quei 309 fratelli e sorelle?». L’arcivescovo emerito ha anche sottolineato la difficoltà di vivere da sopravvissuti sotto il peso del lutto e di vedere la sua salvezza come un dono ma anche come un compito. Una seconda vita che per monsignor Molinari significa anche paura, ancora oggi: «Per la quale – precisa – l’esorcismo migliore sono le parole di Gesù agli apostoli sulla barca durante la tempesta “Perché avete paura? Perché non avete ancora fede?”».

E gli effetti del terremoto dell’Aquila sono stati considerati anche da un punto di vista psicologico: «Il trauma del terremoto di L’Aquila – approfondisce Alessandro Rossi, direttore della Scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università dell’Aquila – è da considerare grave perché non rimanda alla morte ma al nulla». Dicendo ciò l’esperto ha evidenziato l’importanza del perdono come metodo terapeutico che aiuta la guarigione. Una cura dell’anima che per Edoardo Allese, rettore dell’Università di L’Aquila, è passato anche attraverso l’investimento fatto proprio sull’ateneo del capoluogo: «Prima superando l’emergenza con un piano sostenuto anche dallo Stato italiano attraverso dei contributi specifici – conclude -, e poi attraverso una specializzazione e impegno personale che ha portato l’Università oggi alla terza fase che la pone come punto di riferimento non solo per la città, per la quale è in atto un progetto per renderla una ‘smart city’, ma anche verso l’esterno del territorio con ricerche in campo tecnologico e medico».

About Davide De Amicis (4357 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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