“Ringrazio Dio perché la mia fedeltà alla Chiesa continua a superare ogni prova”
"In questi giorni - ricorda monsignor Valentinetti - più volte ho detto che il Signore ci interpellava per non essere una Chiesa del fare, ma una Chiesa dell’essere. Sì, forse questa è la grande conversione a cui siamo chiamati. Se siamo e saremo riconoscibili realmente, per la nostra identità sacerdotale e per la nostra identità di Chiesa, sicuramente potremo donare quel cammino di evangelizzazione che il popolo santo di Dio attende"
Buona parte dei sacerdoti diocesani, ieri mattina, hanno preso parte alla messa crismale presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella Cattedrale di San Cetteo, nel giorno in cui il presule ha anche celebrato i suoi primi 20 anni di episcopato. Un’occasione, questa, con la quale la Chiesa di Pescara-Penne ha scelto ufficialmente di ripartire dopo la pandemia di Coronavirus Covid-19, nella settimana in cui tutte le parrocchie hanno riaperto alle messe con il popolo, per recuperare un rito liturgico imprescindibile, saltato nella Settimana santa proprio a causa della pandemia, qual è la consacrazione degli olii sacri (l’olio per l’unzione degli infermi, l’olio per ungere i catecumeni che stanno per ricevere il battesimo e infine il sacro crisma usato nei sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine sacro).
Un rito celebrato nell’ambito di una liturgia eucaristica rigorosissima dal punto di vista del rispetto delle norme igienico-sanitario, con l’arcivescovo Valentinetti che ha presieduto l’intera funzione indossando la mascherina, togliendola solo per pronunciare l’omelia essendo completamente solo sull’altare. Per la stessa ragione la consacrazione degli olii non è stata sugellata, come da tradizione, dall’alito del presule, che li ha invece benedetti segnandoli con la croce attraverso il movimento del capo. Così come, per rispettare la norma sul distanziamento fisico dei partecipanti, la stessa messa è stata riservata esclusivamente alla partecipazione dei sacerdoti, seduti in due alle estremità di ogni singolo banco o da soli su sedie poste in fila indiana: «Carissimi fratelli presbiteri – esordisce il presule in avvio della messa -, felice di vedervi soprattutto in buona salute, che è la cosa più importante in questo momento. Nel rendimento di grazie al Signore per il ministero che svolgete nella comunità diocesana di Pescara-Penne in questa celebrazione ridotta quest’anno, ma che sicuramente ci unisce tutti insieme dandoci modo di sperimentare il come stabilirci durante le celebrazioni, specialmente quelle festive. Che il Signore ci accompagni e ci aiuti in questo cammino e ci sostenga perché a Lui, ancora una volta, vogliamo dire il nostro sì e per tutte le volte che, forse, siamo stati un po’ timidi e pavidi, umilmente, riconosciamo i nostri peccati».
Successivamente, nell’omelia, l’arcivescovo Valentinetti si è lasciato interrogare dal versetto “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri un lieto annuncio” e quanto segue: «In questi giorni che abbiamo vissuto – osserva l’arcivescovo di Pescara-Penne – è stata una verità per me prima di tutto. Ho sentito forte in me lo Spirito del Signore che comunque, in forza dell’ordinazione diaconale-presbiterale, continuava ad agire nella mia persona ed è la domanda che rivolgo anche voi (sacerdoti). Anche perché io una risposta me la sono data. Lo Spirito del Signore nonostante il tempo delle catacombe che abbiamo vissuto, il tempo di un grande silenzio, il tempo di un grande ritiro, lo Spirito del Signore è stato presente nella Chiesa e lo è stato soprattutto nel vostro ministero, nonostante tutto e al di là di tutto, negli sforzi compiuti in mille modi e in mille maniere, per non lasciare soli i fedeli affinché non soffrissero di quella terribile assenza che è stata l’assenza sacramentale di tante domeniche e di tanti giorni feriali, in cui non ci si è potuti cibare dell’Eucaristia. E nello scrutare i mezzi di comunicazione, che in qualche modo mi arrivavano, ho scorto quanto questa parola continuasse ad essere vera. Portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e a continuare a proclamare che l’anno del Signore è una verità, che l’anno del Signore non si è allontanato, che l’anno del Signore non si è obnubilato, ma che l’anno del Signore è vero ed è l’anno che, forse, ci ha fatto sperimentare una fatica terribile, comunque nella gioia di poter essere accanto alla gente nei modi e nelle maniere che abbiamo ritenuto più opportuno. A questo si aggiunge lo sforzo della consolazione, soprattutto per i malati, per quelle famiglie che non hanno potuto accompagnare i propri cari al cimitero. Sia accompagnata la carità che non ha avuto un attimo di sosta nella realtà della Caritas diocesana e nella realtà delle singole Caritas parrocchiali, attraverso le vostre mani, a tante persone che hanno bussato ancora una volta e, forse più di prima, alle porte delle nostre parrocchie per essere aiutati, per essere assistiti».
Da questa premessa è poi giunto un primo invito ai sacerdoti diocesani: «“Sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti”. Siatelo ancora di più, sempre, in ogni momento, in ogni circostanza, ma soprattutto la riflessione che questa mattina mi viene da fare rispetto alla nostra Chiesa è che questa vicinanza con il popolo di Dio, che abbiamo dovuto sperimentare nella lontananza, sia una vicinanza affettiva ed effettiva. In questi giorni, anche attraverso le trasmissioni che ho fatto attraverso l’emittente Rete 8, più volte ho detto che il Signore ci interpellava per non essere una Chiesa del fare, ma una Chiesa dell’essere. Sì, forse questa è la grande conversione a cui siamo chiamati. Se siamo e saremo riconoscibili realmente, per la nostra identità sacerdotale e per la nostra identità di Chiesa, sicuramente potremo donare quel cammino di evangelizzazione che il popolo santo di Dio attende. “E allora canterò per sempre l’amore del Signore”».
Quindi un riferimento all’anniversario di ordinazione episcopale: «Questa mattina, con voi – ricorda monsignor Tommaso Valentinetti -, rinnoverò le mie promesse sacerdotali per continuare a cantare per sempre, con voi e per voi, l’amore del Signore. Avevo certamente pensato che in questo ventesimo anniversario del mio episcopato, potessimo stare anche insieme nella gioia della condivisione di un pasto fraterno, ma per questo ci sarà tempo perché “Ciò che è rimandato non è tolto”. Quindi la promessa che possiamo godere ancora un momento di gioia e di condivisione, ma l’avevo pensato anche come un rendimento di grazie al Signore perché, nonostante le tante fatiche, nonostante forse le tante difficoltà degli ultimi tempi, la mia fedeltà a questa sposa che mi è stata data continuasse ad essere a tutta prova, al di là di tutto e nonostante tutto, perché questo è quello che conta. E forse il tempo delle catacombe, come ho detto all’inizio, mi ha dato una maggiore forza, un maggiore coraggio, un maggiore slancio per poter dire il mio sì e perché la Chiesa santa di Dio continui a camminare nel tempo e nella stessa disponibilità e nella stessa gioia. “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà”».
In conclusione dell’omelia, il presule ha infine voluto dedicare ai sacerdoti una preghiera composta da Paolo VI: “O Signore, da’ a questi Tuoi Ministri un cuore che riassuma tutta la loro educazione e la loro preparazione e che sia cosciente della grande novità che si è prodotta nella loro vita, che si è stampata nella loro anima. E che sia quindi capace di tutte queste operazioni, sentimenti nuovi che Tu domandi a chi hai eletto ad esserti Ministro del Tuo Corpo Eucaristico e del Tuo Corpo Mistico della Chiesa. O Signore, un cuore puro, capace di amare Te solo con la pienezza, con la gioia, con la profondità che solo Tu puoi dare, quando sei l’esclusivo, il totale oggetto dell’amore di un cuore umano; un cuore puro che non conosce il male se non per definirlo, combatterlo e fuggirlo; un cuore puro come quello di un fanciullo, capace di entusiasmarsi e di trepidare. O Signore, da’ a questi Tuoi Ministri un cuore grande, aperto ai Tuoi pensieri e chiuso ad ogni meschina ambizione, ad ogni miserabile competizione umana; un cuore grande, capace di eguagliarsi al Tuo e di contenere dentro di sé le proporzioni della Chiesa, le proporzioni del mondo, capace di tutti amare, di tutti servire, di tutti essere interprete. E poi, o Signore, un cuore forte, pronto e disposto a sostenere ogni difficoltà, ogni tentazione, ogni debolezza, ogni noia, ogni stanchezza, e che sappia con costanza, con assiduità, con eroismo servire il Ministero che Tu affidi a questi Tuoi figli fatti identici a Te. Un cuore, insomma, o Signore, capace veramente di amare, cioè di comprendere, di accogliere, di servire, di sacrificarsi, di essere beato nel palpitare dei Tuoi sentimenti e dei Tuoi pensieri. Amen”.
Al termine della celebrazione eucaristica è stato poi l’abate di San Cetteo e vicario generale dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, monsignor Francesco Santuccione, a rivolgere gli auguri all’arcivescovo Valentinetti in rappresentanza del clero diocesano, donandogli un’icona del Buon pastore: «Lei – sottolinea monsignor Santuccione – è l’uomo che Dio ci ha mandato. Lei ci ha ribadito che l’episcopato e noi, forse, in questi tempi agitati abbiamo mormorato, abbiamo giudicato noi per primi. Perché io, lo dico chiaramente, sono un povero prete, un peccatore, ma amato dal Signore, al servizio. Perché io penso che questa celebrazione, come sarà per tutti, per lei il ventesimo anniversario di ordinazione episcopale, rappresenta un po’ quello che per le automobili è il “tagliando”. Un’occasione per rivedere le cose e ripartire per fare l’“ultimo sprint”. Dobbiamo gioire perché la Chiesa di Pescara-Penne è bella, perché sono tutti belli i nostri sacerdoti e i nostri fedeli. Allora lei sia forte, perché se lo sarà noi staremo bene e starà bene il popolo di Dio. Papa Francesco, l’altro giorno, mi ha colpito avendo affermato che il vescovo deve fare l’esame di coscienza in riferimento a quante ore al giorno prega per il popolo. Allora eccellenza lei, nei giorni scorsi, ha impartito una bella benedizione dal nostro campanile al popolo, ma deve continuare a impartirla perché fa bene a lei e fa bene a noi. Poi la Parola non le manca, lo spezzare la Parola. Ma lei è anche uomo di comunione, uomo di fraternità, uomo di vicinanza. Abbiamo bisogno di pastore che ci voglia bene. Con il sorriso già lo fa, ma ce lo dica ogni tanto. Con il tagliando nuovo, comunque, lo faremo insieme. Ecco il nuovo popolo di Dio che riparte, perché noi siamo battezzati e dobbiamo convertirci continuamente. Noi siamo pastori, preti per il popolo di Dio. In questi giorni ho visto grandi benedizioni. Servono sacerdoti e vogliamo essere preti liberi, contenti, gioiosi, che gustiamo l’amore di Dio, ce lo comunichiamo, ogni tanto ci perdoniamo e ripartiamo. Allora abbiamo pensato di donarle un’icona che rappresenta il Buon pastore».
L’arcivescovo Valentinetti ha quindi ringraziato per la partecipazione dei sacerdoti e il dono ricevuto: «Ringrazio tutti voi che avete avuto la bontà di venire. Parecchi mi hanno telefonato e scritto che non potevano venire più che altro per prudenza, ma sono contento soprattutto perché possiamo ricominciare bene il nostro cammino, dopo questo momento così intimo e fraterno. Il presule ha annunciato che dopo la celebrazione eucaristica nella solennità dell’Ascensione, la quale presiederà nella Cattedrale di San Cetteo domenica 24 maggio, a partire dalla Pentecoste visiterà le parrocchie più colpite dal Coronavirus Covid-19, iniziando da quelle che hanno fatto parte delle zone rosse.