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“Se il servizio non diventa politica e viceversa, la Pasqua può venire invano”

"Ma noi, ancora una volta – auspica l'arcivescovo Valentinetti -, vogliamo credere che questo tempo di deserto ci possa dare speranza. Vogliamo credere ancora una volta che il pane e il vino possano essere ancora una volta misteriosamente benedizione e possano trasformare il cuore, la mente, lo spirito"

Questo il monito espresso ieri dall’arcivescovo Valentinetti alla messa in Coena Domini, presieduta nella Cattedrale di San Cetteo

L'arcivescovo Valentinetti pronuncia l'omelia

«Mangerete con i fianchi cinti, i sandali ai piedi e il bastone in mano. Mangerete in fretta è la Pasqua del Signore». Con questa frase, tratta da Libro dell’Esodo, ieri sera l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha avviato la sua omelia della messa in Coena Domini, presieduta nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara. Una liturgia eucaristica solenne privata, a causa delle disposizioni anti Covid, del rito della lavanda dei piedi, ma non per questo è stata meno sentita dai fedeli.

Mons. Valentinetti prega davanti l’altare della reposizione

La riflessione del presule è stata poi innescata dalla risposta alla domanda “Che cos’è questa Pasqua?”: «Certamente – osserva – per il popolo d’Israele fu un grande passaggio dalla schiavitù al servizio, dall’essere sottomessi a un faraone all’andare sottomessi all’unico Dio, Javhé. Dunque, un passaggio da una vita vecchia a una vita nuova. Un passaggio non indolore, un passaggio molto faticoso soprattutto se guardiamo a ciò che è capitato nella vita del popolo egiziano. “Passerà e ucciderà i primogeniti degli uomini e del bestiame”. Un passaggio non indolore per Israele, che si avventurò nel deserto del Sinai e per 40 anni cercò di trovare la strada per giungere finalmente alla terra promessa. E di anno in anno rinnovavano questo gesto di memoria “Il Signore è il nostro Signore, Javhè è l’unico Dio, il nostro Signore”».

Partendo da questa premessa, l’arcivescovo Valentinetti ha successivamente fatto un paragone con il tempo attuale: «Mi sono detto – riflette il presule – che anche noi siamo in un momento di grande passaggio. Forse non ce ne stiamo rendendo conto abbastanza o fino in fondo, ma siamo in un momento di passaggio anche noi, in un tempo non indolore nel quale attraversiamo fatiche, difficoltà, incongruenze, modi non corretti di affrontare le situazioni, ma soprattutto la sofferenza delle famiglie, la morte. Siamo in un tempo di passaggio, ma la Pasqua del Signore ancora una volta è tempo di passaggio non per rimanere nella disperazione, ma per percorrere sia pure con fatica il deserto per giungere poi alla terra promessa. E la terra promessa c’è, non è lontana. Questa sera di realizza ancora una volta per noi, in questa memoria della cena del Signore, e noi vogliamo avvinghiarci con tutte le nostre forze nel rinnovare una fede, ma soprattutto nel far sorgere da questa mensa una speranza “Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me. Questo è il calice di una cosa nuova, di una nuova alleanza nel mio sangue, fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me”. Ci vogliamo tuffare in questo in questo calice e immergere in questo pane. E mangiando e bevendo il corpo e il sangue del Signore, sperimentare che la terra promessa c’è, che la consolazione del Signore non è lontana, che la consolazione del Signore poi – nella nostra vita – si deve tradurre in gesti d’amore, in gesti di condivisione, in gesti di servizio reciproco. Quanto servizio d’amore in questi giorni, in questi tempi! Quanto servizio d’amore in questi giorni, in questi tempi, di tanti volontari che hanno dato la loro disponibilità per tante situazioni nella Caritas, nelle associazioni di volontariato. Quanta disponibilità anche nel personale medico-sanitario. Quanta disponibilità nel cercare di trovare le strade, le soluzioni, per le famiglie che rimanevano senza lavoro».

I fedeli presenti nella Cattedrale di San Cetteo

Da qui la lezione che, dal Vangelo, possiamo trarre per tempo che stiamo vivendo: «Ebbene – sottolinea l’arcivescovo di Pescara-Penne – il servizio reciproco, il lavarci i piedi gli uni gli altri, così come la pagina del Vangelo ci ha narrato che Gesù ha fatto per i suoi discepoli. “Avete capito quello che io ho fatto? Se dunque io, il Signore, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io”. Ecco la Pasqua che si profila davanti a noi, che si dovrebbe profilare davanti a noi. È questo servizio reciproco, servizio d’amore, servizio disinteressato. Direi una parola un po’ complicata, ma direi una parola forte a questo proposito. Se il servizio non diventa politica e se la politica nel senso ampio del termine, cioè il servizio agli uomini e alla città, non diventa servizio, fratelli, la Pasqua può venire invano. Se invece questa Pasqua ci insegna, ancora una volta, dove dobbiamo tornare ad attingere la forza per essere realmente un cuore solo e un’anima sola, per essere un solo popolo che è capace di servirsi reciprocamente, noi avremo capito la grande lezione del Signore. E il servizio non è facile, perché Pietro – avete ascoltato bene nella pagina del Vangelo – non si vuole far lavare i piedi. Pietro, infatti, era furbo e intelligente. Aveva già capito la conclusione “Non mi laverai mai i piedi, perché sono sicuro che poi lo devo fare anch’io”. E il Signore gli dice una frase terribile “Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me”. Se il Papa non lava i piedi ai suoi figli, se i vescovi non lavano i piedi ai loro figli, se i presbiteri non lavano i piedi ai loro figli, se i diaconi non incarnano in pienezza il servizio del lavare i piedi agli altri, e così tutti i ministri della Chiesa, ma oserei dire tutti gli uomini di buona volontà che si mettono dentro le storie nei gangli vitali della società, per essere realmente d’aiuto agli altri. Se non lo fanno per servizio ma solo per potere, la Pasqua ancora una volta è venuta invano».

Da qui l’auspicio finale espresso da monsignor Tommaso Valentinetti: «Ma noi, ancora una volta – ribadisce -, vogliamo credere che questo tempo di deserto ci possa dare speranza. Vogliamo credere ancora una volta che il pane e il vino, “il calice che è dono di salvezza” così come abbiamo cantato nel versetto del salmo responsoriale, possano essere ancora una volta misteriosamente – per noi che sediamo attorno a questa mensa, per chi vorrebbe sederci e questa sera è impedito e per chi forse si è allontanato da questa mensa e chi la rinnega – benedizione e possano trasformare il cuore, la mente, lo spirito. “Vi do un comandamento nuovo, amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Grazie Signore, lava ancora una volta i piedi a noi. Tu, il Signore, purificaci ancora una volta dai nostri peccati, lava i piedi a questo mondo oppresso e affaticato. Lava i piedi alla tua Chiesa, lava i piedi a chi ha il potere politico ed economico e tutti converti al tuo amore». Al termine della celebrazione eucaristica, l’arcivescovo ha quindi deposto sull’altare della reposizione il Santissimo sacramento, lasciando infine spazio al silenzio e alla preghiera.

About Davide De Amicis (4377 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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