Povertà educativa: li chiamano nativi digitali, ma non sanno inserire un link
"Nell’ultimo anno - spiega Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the children - a causa dell’isolamento che i minori hanno vissuto, chiusi in casa, senza le necessarie esperienze relazionali e un tempo-scuola tradizionale vissuto in presenza, sono emersi tutti i limiti delle loro conoscenze e competenze nel mondo digitale. Occorre pertanto agire non solo per garantire ai bambini e agli adolescenti l’accesso alle reti e agli strumenti tecnologici, ma anche e soprattutto per consentire loro l’acquisizione delle competenze digitali necessarie"

Gli studenti e le studentesse italiane sembrano non avere le competenze necessarie per affrontare il mondo digitale che li attende, nonostante abbiano trascorso oltre un anno di pandemia davanti agli schermi di pc e tablet per seguire la didattica a distanza o per collegarsi con gli amici. È l’allarme lanciato ieri da Save the children che ha puntato il dito contro la chiusura e l’apertura a singhiozzo delle scuole, la mancanza di strumenti e di abitazioni idonee a seguire la didattica a distanza, come principali cause di un aumento della povertà educativa e della dispersione scolastica. Così, per rimettere al centro i giovani e le loro esigenze, l’organizzazione non governativa ha rilanciato la campagna “Riscriviamo il futuro” – mediante un manifesto realizzato con il supporto dei ragazzi del Movimento Giovani sottosopra che si può firmare sul sito di Save the children – con cui viene chiesto agli adulti di provare finalmente a guardarli: «Mettetevi questi occhiali e guardateci! – si legge nel manifesto – Siamo stati invisibili, sfocati agli occhi di chi ci ha guardato fino ad oggi. Abbiate il coraggio di aprirvi al nostro punto di vista, per vedere sia le nostre capacità che le nostre difficoltà e fragilità. Dal valore che darete loro, dipenderà il presente e il futuro di tutti noi. Indossate questi occhiali e guardate il futuro, guardate noi».

E gli occhiali rossi diventano il simbolo della campagna di Save the Children, che chiede a tutti di indossarli per veder finalmente meglio i bisogni e i desideri dei ragazzi: «È proprio dalle bambine, dai bambini e adolescenti che abbiamo voluto partire – spiega Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children -, ascoltando le loro esigenze e amplificando la loro voce, per farli uscire dall’invisibilità in cui si sono sentiti relegati nell’ultimo anno e fare in modo che diventino protagonisti della ricostruzione del tessuto sociale del Paese. Ora è il momento di agire in maniera decisa per rilanciare il futuro dell’Italia ripartendo dalle giovani generazioni. L’ascensore sociale che fino a qualche anno fa era fermo, ora sembra addirittura avere invertito la rotta e rischiamo che i nostri ragazzi debbano abdicare al loro domani. Non possiamo permettere che questo accada e per invertire la rotta è necessario partire dal sistema educativo e dalle diseguaglianze che contribuisce a generare. Oggi non possiamo perdere l’occasione del Piano nazionale ripresa e resilienza, che deve mettere al centro il diritto all’educazione di qualità per tutti, portando a sistema le migliori esperienze realizzate sul campo e che tenga conto della trasformazione digitale in atto. Nell’ultimo anno, infatti, a causa dell’isolamento che i minori hanno vissuto, chiusi in casa, senza le necessarie esperienze relazionali e un tempo-scuola tradizionale vissuto in presenza, sono emersi tutti i limiti delle loro conoscenze e competenze nel mondo digitale. Occorre pertanto agire non solo per garantire ai bambini e agli adolescenti l’accesso alle reti e agli strumenti tecnologici, ma anche e soprattutto per consentire loro l’acquisizione delle competenze digitali necessarie».
Nonostante i giovanissimi vengano definiti nativi digitali, dunque, in base all’indagine pilota di Save the children la realtà sarebbe ben altra: «Una percentuale significativa di studenti intervistati – si legge nel report – mostra evidenti lacune nella conoscenza e l’utilizzo degli strumenti tecnologici». Infatti, un quinto dei ragazzi che hanno partecipato alla nuova “Rilevazione sulla povertà educativa digitale” di Save the Children «non è ancora in grado di eseguire semplici operazioni utilizzando gli strumenti informatici, come condividere uno schermo durante una chiamata con Zoom (11%) o scaricare un documento condiviso da un insegnante sulla piattaforma della scuola (29,3%)». Si delinea così un nuovo livello di povertà educativa: «La povertà educativa digitale – spiega l’organizzazione -, cioè la privazione delle opportunità per apprendere, ma anche sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni, attraverso l’utilizzo responsabile, etico e creativo degli strumenti digitali».
Dai risultati dello studio, viene fuori come circa un quinto (20,1%) dei minori che hanno partecipato all’indagine, non sia in grado di rispondere correttamente a più della metà delle domande proposte per valutare le competenze di base nell’utilizzo degli strumenti digitali, come identificare una password sicura, condividere lo schermo durante una videochiamata (1 su 10), inserire un link in un testo, scaricare un file da una piattaforma della scuola (29,3%), utilizzare un browser per l’attività didattica (32,8%). Un risultato che non dovrebbe sorprendere, considerando che l’82% ha dichiarato di non aver mai utilizzato prima della pandemia il tablet a scuola, una percentuale che si ferma al 32,5% per la lavagna interattiva multimediale (Lim). Tra gli studenti che hanno partecipato allo studio, coloro che dichiarano di non avere a disposizione nessun tablet a casa sono il 30,4%, mentre il 14,2% afferma di non avere un personal computer. Più della metà (54%) vive in abitazioni dove ciascun membro della famiglia ha a disposizione meno di un dispositivo. Come per le altre dimensioni della povertà educativa, dall’analisi svolta sul campione emerge che la condizione socioeconomica delle famiglie influisce sul livello di competenze alfabetiche digitali. Dalla ricerca pilota, emerge anche come un’ampia fetta degli studenti che hanno partecipato allo studio non conosca le regole relative all’utilizzo della propria immagine da parte dei social o, all’età minima per avere un profilo, non sia in grado di eseguire semplici passaggi per rendere il proprio profilo social accessibile soltanto agli amici, di far fronte all’uso improprio della propria immagine da parte di altri. Più della metà, inoltre, non conosce le implicazioni legali relative alla condivisione di contenuti offensivi sui social o non è in grado di reagire in modo corretto di fronte all’uso improprio delle immagini altrui.

Infine, quasi la metà degli studenti non è in grado di riconoscere una fake news riguardante l’attualità: «Raccogliamo continui segnali di allarme sull’allontanamento dei ragazzi dalla scuola e sui drammatici effetti dell’impoverimento delle famiglie – denuncia Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children -. Le bambine, i bambini e gli adolescenti rischiano di pagare il prezzo più alto di questa crisi che ha enormemente acuito le disuguaglianze educative e oggi blocca le loro aspirazioni per il futuro. Con il Manifesto della campagna, chiediamo con forza alle istituzioni di mettere al centro della ripresa un’educazione di qualità per tutti i bambini, con interventi concreti e immediati: dagli asili nido alla riqualificazione di scuole insicure e prive di manutenzione; dall’estensione del tempo pieno alle mense scolastiche che vogliamo gratuite per tutti i bambini in povertà, per i quali spesso la mensa assicura l’unico pasto completo della giornata». Quindi la richiesta rivolta alle istituzioni: «Vogliamo – conclude la Milano – una tabella di marcia del Piano Next Generation, che parta dai territori privi di servizi per l’infanzia e per le famiglie e chiediamo che i ragazzi e le ragazze – rimasti troppo a lungo invisibili durante la crisi – siano protagonisti della ripartenza, con l’apertura di spazi di partecipazione e di dialogo con le istituzioni ad ogni livello».
E in occasione della campagna “Riscriviamo il futuro” e del nuovo rapporto di ricerca, Save the Children ha elaborato il nuovo strumento “Abcd – Autovalutazione di base delle competenze digitali”, in collaborazione con il Centro di ricerca sull’educazione ai media all’innovazione e alla tecnologia (Cremit) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con Monica Pratesi del Dipartimento di Economia e management dell’Università di Pisa. L’obiettivo è stato quello di misurare l’assenza, da parte dei minori, delle competenze di base per ciascuna delle quattro dimensioni della povertà educativa digitale, quali: “apprendere per comprendere”, “apprendere per essere”, “per vivere assieme” e, infine, “per vivere una vita attiva e autonoma”. Così come la povertà educativa è fortemente condizionata dalla povertà materiale, anche la povertà educativa digitale ne è una conseguenza diretta. Inoltre, «i bambini hanno minori probabilità di rispondere correttamente alla maggior parte delle domande del questionario Abcd, rispetto alle bambine».
Ad esempio, «il 22% dei tredicenni che hanno partecipato all’indagine pilota non è in grado di rispondere correttamente a più delle metà delle domande relative alla conoscenza degli strumenti e delle applicazioni, le loro caratteristiche e funzionalità, contro il 17% delle ragazze. Il divario si estende a circa 8 punti percentuali per le dimensioni relative alla capacità di creare e salvaguardare la propria identità digitale e comprendere conseguenze delle proprie azioni su se stessi e il proprio benessere, nonché quella di accedere ad una conoscenza vasta e globale e alle opportunità di partecipazione attiva nel mondo digitale, arrivando a ben 13 punti percentuali per la dimensione relativa alla comprensione e rispetto la diversità delle identità, degli stili di vita, delle culture altrui nel mondo digitale». La povertà educativa digitale non è soltanto associata alla presenza di strumenti digitali a casa, ma anche al loro utilizzo, in termini di ore. Maggiore è il tempo dedicato all’utilizzo degli strumenti digitali per fare i compiti, migliori sono i risultati in termini di competenze relative all’alfabetizzazione digitale di base. Al contrario, invece, minore è il tempo che i tredicenni impiegano per stare sui social o giocare online, maggiore il livello di competenze riguardanti l’uso consapevole dei nuovi media in relazione all’identità digitale, le implicazioni sociali, culturali ed etiche e le conseguenze delle proprie azioni online.
Questo è un altro frutto della campagna “Riscriviamo il futuro”, che Save the Children ha lanciato nel maggio del 2020 coinvolgendo fino ad oggi – complessivamente – circa 160mila bambine, bambini e adolescenti, le loro famiglie e docenti in 89 quartieri deprivati di 36 città e aree metropolitane. “Riscriviamo il futuro” è un programma di intervento integrato per il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, che vuole garantire un sostegno di medio e lungo periodo alle famiglie e ai minori maggiormente in difficoltà nelle periferie e nei quartieri più deprivati delle città, sia attraverso un sostegno di tipo materiale, sia tramite un supporto educativo in ambito scolastico ed extrascolastico. L’organizzazione non governativa ha così rinnovato il proprio impegno, proponendosi «entro il 2023 – ribadisce l’organizzazione – di raggiungere e garantire un sostegno continuativo alle famiglie con bambini più colpite dalla crisi, sia come risposta materiale ed economica immediata, sia come accompagnamento di lungo periodo verso il recupero dell’autonomia, continuando ad assicurare un sostegno educativo e psicosociale sia in ambito scolastico sia extrascolastico a tutti i bambini e gli adolescenti raggiunti nei primi mesi di intervento e intercettando i minori e i nuovi studenti più a rischio, attraverso la propria rete di centri e scuole diffuse su tutto il territorio nazionale».
La campagna “Riscriviamo il futuro” è ripartita ieri con una prima settimana dedicata alla sensibilizzazione sui canali Rai – grazie al sostegno di Rai per il Sociale – e andrà avanti con iniziative e partnership che hanno come obiettivo «quello di rendere i bambini protagonisti dei mesi che verranno». Testimonial d’eccezione, a dare voce ai ragazzi, l’ambasciatore di Save the Children Cesare Bocci, che in un video spot della campagna ha intervistato e ascoltato il loro pensiero e accolto la richiesta di essere guardati e ascoltati. L’aspetto fondamentale della campagna è «proprio il fatto che sia stata costruita insieme con i ragazzi, ascoltandoli e rendendoli parte del processo di creazione della campagna stessa, con l’obiettivo di dare in maniera autentica il loro punto di vista e amplificare la loro voce».