“Dio è in quel Bambino che ci dice ‘Imparate ad amare'”
"Non si conosce prima Dio e poi sia ama - precisa monsignor Valentinetti -, ma prima si ama e poi si conosce Dio, perché l’amore dentro di noi è Lui che l’ha stampato, è Lui che l’ha reso fecondo. Dunque, questo amore ci porta a riconoscere Dio. E allora, dove lo cerchiamo questo Dio e dove lo troviamo? Lo troviamo in quei gesti feriali d’amore nella storia di ognuno di noi, nella storia delle nostre famiglie, nella storia del nostro lavoro e della dedizione al lavoro, nella storia delle nostra onestà, nella storia delle nostre ricerche di verità, nella storia delle nostre ricerche di fraternità"
Con il tradizionale canto della Kalenda, l’annuncio liturgico del Natale del Signore, ieri sera nella chiesa dello Spirito Santo a Pescara l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha aperto la solenne messa della notte di Natale. Un liturgia eucaristica che ha aperto le celebrazioni liturgiche del Natale, per la seconda volta in un difficile tempo di pandemia. E proprio per questo il presule, nell’omelia, ha riflettuto sulla domanda che tutti si pongono quando avvengono delle sciagure: “Dov’è Dio?”: «In questi ultimi tempi, settimane e giorni, da più parti ho ascoltato questo interrogativo. La situazione complessa che stiamo vivendo, non solo noi ma tutto il mondo, e forse ancor di più i popoli che non hanno i mezzi scientifici e le risorse economico-sanitarie, per rispondere adeguatamente a una perniciosa pandemia. Sicuramente stiamo attraversando un tempo molto particolare. È una domanda che nei momenti difficili della storia risuona sempre, “Dov’è Dio?”. È la stessa domanda che fu fatta dopo eventi terribili dovuti al secondo conflitto mondiale o dovuti alle grandi calamità naturali che si abbattono, a scadenze quasi ripetitive, sulla faccia della terra. Dov’è Dio? La risposta, questa sera (ieri per chi legge) ce la dà la liturgia natalizia che puntualmente torna ogni anno, che puntualmente annuncia quell’evento il quale è il compimento di tutte quelle promesse che abbiamo ascoltato all’inizio della celebrazione».
A questo punto l’arcivescovo Valentinetti, facendo un riferimento alla società attuale, ci ha definito citando l’espressione usata dal profeta Isaia “un popolo che cammina nelle tenebre”: «Ma questa sera – precisa – ci ha detto che possiamo vedere una grande luce. “E su chi abita in questa terra tenebrosa, una luce può rifulgere”. E la luce è il Bambino. Il Bambino di Betlemme, ancora una volta, è la risposta alla domanda “Dov’è Dio?”. Dio è il Bambino di Betlemme, perché Dio si è fatto bambino. Dio è entrato dentro la storia dell’umanità attraverso la via più normale dell’umanità. Dio è nell’uomo. Dio è in quell’uomo che, cresciuto, è venuto a raccontare chi è veramente Dio. Così, come ci dirà il prologo della pagina di San Giovanni, “Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio unigenito che è rivolto nel seno del Padre, Lui ce ne ha fatto la spiegazione”. E la spiegazione è la sua umanità. Attraverso quell’umanità, attraverso quella ferialità, attraverso quella realtà che è una famiglia. Attraverso quei pastori, uomini dediti al lavoro, dediti molto probabilmente al sacrificio… Lì il Bambino ha manifestato Dio e ha preso l’itinerario per manifestare Dio in tutta la sua esistenza. Manifestarlo in opere e in parole».
Quindi l’arcivescovo di Pescara-Penne ha posto un nuovo interrogativo “Se Dio è lì, se Dio è in quella umanità che ci ha spiegato chi è veramente Dio, con la sua misericordia, con il suo perdono, con la sua capacità di accoglienza degli ultimi, dei poveri, dei malati, dei diseredati, noi dove possiamo trovare i mezzi per comprendere ancor di più questa presenza dentro la storia?”: «C’è solo una risposta – sottolinea monsignor Tommaso Valentinetti -, l’amore. Essere capaci di amore, conoscere l’amore, esercitarsi a vivere l’amore, perché bisogna stare molto attenti a non equivocare una verità molto importante. Non si conosce prima Dio e poi sia ama, ma prima si ama e poi si conosce Dio, perché l’amore dentro di noi è Lui che l’ha stampato, è Lui che l’ha reso fecondo. Dunque, questo amore ci porta a riconoscere Dio. E allora, dove lo cerchiamo questo Dio e dove lo troviamo? Lo troviamo in quei gesti feriali d’amore nella storia di ognuno di noi, nella storia delle nostre famiglie, nella storia del nostro lavoro e della dedizione al lavoro, nella storia delle nostra onestà, nella storia delle nostre ricerche di verità, nella storia delle nostre ricerche di fraternità. È lì che troviamo la possibilità di metterci a quella sequela, per poter essere anche noi manifestatori della presenza di Dio nel mondo. È apparsa la grazia di Dio. Ci ha detto l’apostolo Tito “che porta salvezza a tutti gli uomini“. E poi una frase terribilmente importante “Ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”. Di quella manifestazione definitiva non più nel bambino, ma nel ritorno del Cristo nella gloria».
Da qui l’invito del presule: «Fratelli, sorelle – esorta –, è il tempo dell’amore, non è il tempo della divisione, dell’acredine, della ricerca degli interessi particolari. Così come, purtroppo, intorno a noi non vediamo molto spesso anche da chi dovrebbe mostrare molta attenzione verso gli interessi di tutti, gli interessi di quanti ne hanno soprattutto bisogno. Coloro che vogliono cercare Dio nella realtà del potere (l’impero di Cesare Augusto, il quale ordinò che si facesse un censimento). Il potere di Quirinio, governatore della Siria, il potere di Erode e dei sommi sacerdoti, non esiste più. Dio non è da quella parte, è lì, in quel Bambino che ci dice – ancora una volta – imparate ad amare».