Consacrati: “Se viene meno lo slancio, le nostre braccia non stringono Gesù”
"Apriamo le braccia, a Cristo e ai fratelli! – lo sprono di Bergoglio -. Rinnoviamo oggi con entusiasmo la nostra consacrazione! Chiediamoci quali motivazioni muovono il nostro cuore e il nostro agire, qual è la visione rinnovata che siamo chiamati a coltivare e, soprattutto, prendiamo fra le braccia Gesù. Dopo tanti anni di vita consacrata, abbiamo perso la capacità di stupirci. E se l’abbiamo persa, chiedere la grazia di riaverla"
Ieri sera, celebrando la Santa messa nella Giornata per la vita consacrata nella basilica di San Pietro, Papa Francesco ha scosso le coscienze dei credenti con una domanda: «Da chi ci lasciamo principalmente muovere, dallo Spirito Santo o dallo spirito del mondo? – interroga – È una domanda su cui tutti dobbiamo misurarci, soprattutto noi consacrati. Lo Spirito Santo rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità».
Da qui il monito: «Mentre lo Spirito porta a riconoscere Dio nella piccolezza e nella fragilità di un bambino – ammonisce -, noi a volte rischiamo di pensare alla nostra consacrazione in termini di risultati, di traguardi, di successo. Ci muoviamo alla ricerca di spazi, di visibilità, di numeri. È una tentazione. Lo Spirito invece non chiede questo. Desidera che coltiviamo la fedeltà quotidiana, docili alle piccole cose che ci sono state affidate». A tal proposito, il Papa ha citato un esempio: «Com’è bella la fedeltà di Simeone e Anna! – esclama -. Ogni giorno si recano al tempio, ogni giorno attendono e pregano, anche se il tempo passa e sembra non accadere nulla. Aspettano tutta la vita, senza scoraggiarsi e senza lamentarsi, restando fedeli ogni giorno e alimentando la fiamma della speranza che lo Spirito ha acceso nel loro cuore».
Partendo da questo presupposto, il Pontefice ha rivolto una domanda ai consacrati: «Che cosa muove i nostri giorni? – domanda ancora – Quale amore ci spinge ad andare avanti? Lo Spirito Santo o la passione del momento? Come ci muoviamo nella Chiesa e nella società? A volte, anche dietro l’apparenza di opere buone, possono nascondersi il tarlo del narcisismo o la smania del protagonismo. In altri casi, pur portando avanti tante cose, le nostre comunità religiose sembrano essere mosse più dalla ripetizione meccanica – fare le cose per abitudine, tanto per farle – che dall’entusiasmo di aderire allo Spirito Santo. Verifichiamo oggi le nostre motivazioni interiori, discerniamo le mozioni spirituali, perché il rinnovamento della vita consacrata passa anzitutto da qui».
Quindi il Santo Padre – è tornato sull’esempio di San Simeone: «Gli occhi anziani di Simeone, pur affaticati dagli anni – osserva -, vedono il Signore, vedono la salvezza. Ognuno può domandarsi “Che cosa vedono i miei occhi? Quale visione abbiamo della vita consacrata?”. Il mondo spesso la vede come uno spreco, una realtà del passato, qualcosa di inutile; ma noi, comunità cristiana, religiose e religiosi, che cosa vediamo? Siamo rivolti con gli occhi all’indietro, nostalgici di ciò che non c’è più o siamo capaci di uno sguardo di fede lungimirante, proiettato dentro e oltre? Avere la saggezza del guardare, guardare bene, misurare le distanze, è la saggezza dello Spirito. A me fa tanto bene vedere consacrati e consacrate anziani, che con occhi luminosi continuano a sorridere, dando speranza ai giovani. Pensiamo a quando abbiamo incontrato sguardi simili e benediciamo Dio per questo. Sono sguardi di speranza, aperti al futuro».
Per questo Papa Bergoglio ha avanzato una proposta ai consacrati: «Ci farà bene fare una visita ai nostri fratelli religiosi anziani – l’invito -, per guardarli, per sentire cosa pensano, credo che sarà una bella, una buona medicina. La fede apre gli occhi, trasforma lo sguardo, cambia la visuale. Come sappiamo da tanti incontri di Gesù nei Vangeli, la fede nasce dallo sguardo compassionevole con cui Dio ci guarda, sciogliendo le durezze del nostro cuore, risanando le sue ferite, dandoci occhi nuovi per vedere noi stessi e il mondo. Occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, su tutte le situazioni che viviamo, anche le più dolorose. Non si tratta di uno sguardo ingenuo, che fugge la realtà o finge di non vedere i problemi, ma di occhi che sanno vedere dentro e vedere oltre; che non si fermano alle apparenze, ma sanno entrare anche nelle crepe della fragilità e dei fallimenti per scorgervi la presenza di Dio».
In seguito Papa Francesco ha rivolto un altro monito ai consacrati: «Il Signore – ricorda – non manca di darci segnali per invitarci a coltivare una visione rinnovata della vita consacrata. Non possiamo fare finta di non vederli e continuare come se niente fosse, ripetendo le cose di sempre, trascinandoci per inerzia nelle forme del passato, paralizzati dalla paura di cambiare. La rigidità è una perversione, e sotto ogni rigidità ci sono grandi problemi». Da qui la richiesta del Papa di fuggire “la tentazione di andare indietro”: «Apriamo gli occhi – esorta ancora -, attraverso le crisi, i numeri che mancano, le forze che vengono meno, lo Spirito invita a rinnovare la nostra vita e le nostre comunità. Lui ci indica il cammino, noi apriamo il cuore, con coraggio e senza paura. Guardiamo a Simeone e Anna. Anche se sono avanti negli anni, non passano i giorni a rimpiangere un passato che non torna più, ma aprono le braccia al futuro che viene loro incontro. Non sprechiamo l’oggi guardando a ieri, o sognando un domani che mai avverrà, ma mettiamoci davanti al Signore, in adorazione, e domandiamo occhi che sappiano vedere il bene e scorgere le vie di Dio».
Nella parte finale della sua omelia, il Pontefice ha messo nuovamente in guardia i consacrati: «A volte – avverte – rischiamo di perderci e disperderci in mille cose, di fissarci su aspetti secondari o di immergerci nelle cose da fare, ma il centro di tutto è Cristo, da accogliere come Signore della nostra vita. Dopo tanti anni di vita consacrata, abbiamo perso la capacità di stupirci? E se l’abbiamo persa, chiedere la grazia di riaverla. Se ai consacrati mancano parole che benedicono Dio e gli altri, se manca la gioia, se viene meno lo slancio, se la vita fraterna è solo fatica, se manca lo stupore, non è perché siamo vittime di qualcuno o di qualcosa. Il vero motivo è perché le nostre braccia non stringono più Gesù. Quando le braccia di un consacrato o una consacrata non stringono Gesù, stringono il vuoto. Allora il cuore si chiude nell’amarezza – è triste vedere quei consacrati amari – nella lamentela per le cose che puntualmente non vanno, in un rigore che ci rende inflessibili, in atteggiamenti di pretesa superiorità. Invece, se accogliamo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri con fiducia e umiltà. Allora i conflitti non inaspriscono, le distanze non dividono e si spegne la tentazione di prevaricare e di ferire la dignità di qualche sorella o fratello».
Da qui l’invito conclusivo del Santo Padre: «Apriamo le braccia, a Cristo e ai fratelli! – lo sprono di Bergoglio -. Rinnoviamo oggi con entusiasmo la nostra consacrazione! Chiediamoci quali motivazioni muovono il nostro cuore e il nostro agire, qual è la visione rinnovata che siamo chiamati a coltivare e, soprattutto, prendiamo fra le braccia Gesù. Anche se sperimentiamo fatiche e stanchezze, delusioni, facciamo come Simeone e Anna, che attendono con pazienza la fedeltà del Signore e non si lasciano rubare la gioia dell’incontro. Andiamo verso la gioia dell’incontro. Rimettiamo lui al centro e andiamo avanti con gioia. Dopo tanti anni di vita consacrata, abbiamo perso la capacità di stupirci. E se l’abbiamo persa – ribadisce -, chiedere la grazia di riaverla».