“Il Signore non ci ha scelti perché siamo santi, ma perché siamo peccatori”
"Mi ha fatto particolarmente effetto – commenta Daniele al termine della liturgia eucaristica – quando l’arcivescovo mi ha guardato negli occhi dicendomi “Prometti a me, e ai miei successori, filiale rispetto e obbedienza?” In quelle parole ho visto l’obbedienza a Cristo. L’obbedire al vescovo come affidarsi a Cristo, affidarsi al Signore"
Una grande partecipazione di fedeli, familiari, amici, compaesani e parrocchiani, ieri pomeriggio ha fatto da sfondo alla santa messa solenne di ordinazione diaconale dell’accolito 35enne Daniele Partenza, presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella bella cornice del Parco di Villa Acerbo a Caprara, frazione di Spoltore (Pescara), località di origine del seminarista che il prossimo anno verrà ordinato presbitero.
La liturgia eucaristica, concelebrata dal vicario generale dell’arcidiocesi monsignor Francesco Santuccione e da una delegazione di sacerdoti diocesani, ha avuto inizio con l’introduzione dell’aspirante diacono presentato dal rettore del Seminario regionale San Pio X di Chieti don Luigi Primiano e poi con la liturgia della parole e l’omelia del presule che hanno anticipato il rito di ordinazione: «La prima lettura, il Libro dei numeri – introduce l’arcivescovo di Pescara-Penne -, ci ha fatto prendere coscienza che sia nell’economia dell’antico testamento e oggi sappiamo bene anche nell’economia del nuovo, ci sono stati degli uomini e delle donne che sono stati scelti per il servizio. In particolare, nell’antico testamento, è la tribù di Levi che viene chiamata al compito del servizio nel tempio, nella tenda del convegno. Sappiamo bene che nel nuovo testamento il servizio, in modo particolare, è stato chiesto inizialmente, poi nel cammino della Chiesa e nel cammino della comunità cristiana, anche in molti modi e in molte maniere, a quelli che furono chiamati diaconi. Questa sera si ripete questo gesto di affidamento di un fratello al servizio per il Signore, per la casa di Dio, per i poveri, per gli ultimi, per gli abbandonati. E aggiungerei, alla luce della Parola che abbiamo ascoltato, anche per i peccatori. Anche se – aggiunge rivolgendosi all’aspirante diacono – non ti è conferito ancora la possibilità di dare il sacramento della riconciliazione e del perdono. Ma per poter esercitare con verità e coerenza il servizio, e questo lo dico a te questa sera, ma lo ripeto prima di tutto a me stesso e lo ripeto ai tuoi fratelli diaconi e lo ripeto ai miei confratelli presbiteri, occorre avere una coscienza, la stessa coscienza che ci è stata narrata dalla seconda lettura (la prima lettera di San Paolo apostolo a Timoteo). Cioè quando Paolo riconosce in maniera chiara che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto in me, per primo, dimostrare la sua magnanimità. E io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui, per avere la vita eterna».
Una verità, quella di Paolo, che consacrati e laici operanti nella Chiesa devono fare propria: «Perché il nostro servizio – spiega l’arcivescovo di Pescara-Penne – abbia una coscienza di grande umiltà. Il Signore non ci ha scelti perché siamo bravi, non ci ha scelti nemmeno perché siamo santi, non ci ha scelti perché siamo i perfettini della situazione. Il Signore ci ha scelti perché siamo peccatori e ci ha usato misericordia, ci ha usato amore, ci ha usato magnanimità, perché dentro questo amore, questa magnanimità, noi trovassimo quasi il nostro ambiente vitale dove poter esercitare il servizio che ci viene affidato. Dunque un servizio non nella presunzione, un servizio non nell’orgoglio, un servizio non nel pensiero che possiamo essere i primi, ma un servizio con la coscienza che probabilmente siamo gli ultimi, gli ultimi degli ultimi. Ma proprio perché questa coscienza ci possa essere, direi consolata, si è la parola giusta, consolata dall’amore del Signore, la pagina del Vangelo ci ha fatto vedere l’atteggiamento di Dio nei confronti dei peccatori, ma ci ha fatto anche vedere l’atteggiamento di chi non sa o da o di chi non pensa di essere peccatore nei confronti degli altri peccatori. Il padre buono che lascia andare il suo figlio, che non lo ferma, che non lo blocca, che non gli fa la morale, che non gli dice “No, resta a casa perché tuo dovere restare a casa”, ma che lo lascia andar via. E che poi vigilante si mette in attesa e quando lo rivede da lontano, non gli fa nemmeno pronunciare “la filastrocca” che il figlio aveva preparato, ma gli butta le braccia al collo e lo restituisce nella sua dignità di figlio. Che poi è lo stesso atteggiamento di quel pastore che lascia le 99 pecore nell’ovile per andare alla ricerca di quella pecora smarrita e fa festa, fa festa senza riserve, fa festa in ogni momento».
Questo è l’atteggiamento di Dio verso di noi: «Il Signore fa festa per noi – sottolinea monsignor Tommaso Valentinetti -, fa festa per la nostra vita, perché forse qualche volta, o forse più di qualche volta, o forse anticamente, ci siamo allontanati dalla casa del Padre, ma Lui è venuto a cercarci, così come viene a cercarci in continuazione. Perché dobbiamo sempre pensare che queste parabole non sono dette per gli altri, è molto facile applicarle agli altri, ma è molto più veritiero applicarle a noi stessi. E allora l’atteggiamento di grande consolazione del pastore che ci cerca, del padre che ci riabbraccia e del padre che ci fa festa e ci mette l’anello al dito e ci riveste dell’abito della festa, dell’abito nuziale. Ma se questo è vero del padre nei nostri riguardi, noi come trattiamo i peccatori? Siamo forse spaventati da loro? Forse facciamo fatica a cercarli? Forse facciamo fatica a mescolarci alla loro storia? Forse molto spesso li abbiamo giudicati, li abbiamo allontanati, forse abbiamo avuto anche paura di accostarli. Quante volte “Non andare con quelle persone che quelle persone sono di malaffare!” Si sono di malaffare, ma se nessuno lo va a cercare, se nessuno va a proporre un mistero d’amore, se nessuno va a proporre un sorriso nuovo, se nessuno va a scovare la radice del peccato, è la radice della fatica e della lontananza, non continueremo forse a vedere tante pecore che escono dall’ovile e noi forse a continuare, come dice Papa Francesco, a custodire e pettinare le poche pecore che sono rimaste?».
Una domanda, quest’ultima, che il presule ha posto direttamente all’aspirante diacono Daniele e, indirettamente, a tutti i concelebranti: «Queste cose chiaramente sono per te oggi in premessa – ricorda l’arcivescovo -, perché il diaconato per te una premessa, per i diaconi permanenti è una storia. Per noi presbiteri dovrebbe essere la vita, ma siccome grazie a Dio – e spero che possa essere così – al più presto tu possa indossare la casula della veste nuziale, del vivere il tuo servizio presbiterale, già da adesso comincia a prepararti ad essere cercatore instancabile di misericordia per te e di misericordia per i fratelli. Di amore per gli ultimi, per i peccatori, per i lontani, per gli oppressi. È una strada sicuramente molto particolare, forse tante volte tortuosa e tante volte faticosa, ma è la strada su cui ci ha preceduto Gesù, che è venuto non per essere servito, ma per servire e per dare la vita in riscatto di tutti. La tua famiglia, che è qui presente, ha fatto un grande sacrificio donandoti alla Chiesa (Daniele è figlio unico), ma sono sicuro che riceverà una grande benedizione nella tua vita e nella tua presenza, così come la tua comunità parrocchiale che ti ha custodito e le comunità di della diocesi di cui sei stato tanto pellegrino che ti hanno visto crescere, crescere, crescere, crescere fino ad arrivare a questo punto. Lodato sia il Signore per il bene che hai saputo raccogliere, che hai già cominciato a seminare e che grazie a Dio spero se minerai ancora tanto con la tua vita. Amen».
Quindi, come previsto dal rito di ordinazione, il giovane accolito si è dapprima disteso a terra dapprima per l’invocazione della litania dei santi, per poi ricevere l’imposizione delle mani sul suo capo da parte dell’arcivescovo Valentinetti che l’ha proclamato diacono. Infine la vestizione del neo diacono Daniele Partenza, che si è unito entusiasta alla concelebrazione eucaristica: «Mi ha fatto particolarmente effetto – commenta Daniele al termine della liturgia eucaristica – quando l’arcivescovo mi ha guardato negli occhi dicendomi “Prometti a me, e ai miei successori, filiale rispetto e obbedienza?” In quelle parole ho visto l’obbedienza a Cristo. L’obbedire al vescovo come affidarsi a Cristo, affidarsi al Signore. Un’obbedienza non solo personale, ma legata a quella che è la vita in Cristo. Nel mio diaconato, stando in comunione col vescovo, sono chiamato ad essere in comunione con Cristo. Spero che sia questo il sentimento, la spinta, con cui il Signore vuole pascermi durante quest’anno».
Un anno, quello che separerà il neo diacono dal sacerdozio, che il giovane trascorrerà prestando servizio nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova a Montesilvano, continuando il servizio pastorale già svolto anche negli anni scorsi come seminarista: «Si riparte con slancio – conferma Daniele -. Sono coinvolto anche con il gruppo famiglie, che è una bellissima esperienza per sperimentare la Chiesa a partire dalla sua cellula base, la chiesa domestica. Ma sono altrettanto desideroso di imbattermi anche nelle altre realtà parrocchiali in quest’anno pastorale».