“Chiediamo la piccolezza per essere il Regno che Dio prepara per noi”
"Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a portare il Cammino nelle parrocchie - ricorda Eusebio Astasio, catechista itinerante del Cammino neocatecumanale -. Cosa sarebbe stata la nostra vita senza se non avessimo creduto in Gesù Cristo?! Il nostro matrimonio, i nostri figli. Molti non sarebbero nati. Lui ci ha amato, ci ama, ci ama enormemente. Questa sera non solo ringraziamo il Signore, ma Lui viene ad aiutarci. Se abbiamo davanti una croce, una cosa oscura che non capiamo, una situazione che ci fa soffrire, entriamo in questa croce, sapendo che Dio è fedele, che non ci abbandonerà, che ci ha aiutato sempre, anche questa volta ci aiuterà. Che questa Eucaristia sia un’occasione non per guardare indietro, ma per guardare avanti. Il Signore ha fatto ogni cosa, noi siamo tutti servi inutili. Il Signore Gesù è magnifico, è fenomenale, è santo, santo, santo. A Lui La gloria, Amen"
La solennità di un’Eucaristia partecipata e condivisa nello spirito di una grande festa. È stata questo, ieri sera al Pala Dean Martin di Montesilvano, la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti in occasione dei 50 anni di presenza del Cammino neocatecumenale nella Chiesa di Pescara-Penne. La prima in assoluto è nata il 12 novembre 1972 nella parrocchia di San Pietro apostolo a Loreto Aprutino su impulso dell’allora parroco don Camillo Smigliani (che ieri sera ha concelebrato la santa messa), seguita l’anno dopo dalla comunità sorta nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova a Pescara: «Seppi della presenza del Cammino – racconta don Camillo – da una comunità all’epoca già attiva da nove mesi al Roseto degli Abruzzi, presso la quale andai a seguire una catechesi di Kiko Arguello (fondatore del Cammino neocatecumenale, insieme a Carmen Hernandez). All’inizio rimasi perplesso – racconta il presbitero – perché, dato che la prima catechesi si sarebbe dovuta tenere alle 20.30, temevo che non sarebbe venuto nessuno. E invece in parrocchia si presentarono subito 50 persone, aumentate fino a comporre una comunità di 120 membri».
È stato il catechista itinerante, coordinatore del Cammino per Abruzzo e Marche, Eusebio Astiaso a presentare le comunità presenti all’inizio della liturgia eucaristica: «Il Signore ci convoca qui per celebrare la santa Eucaristia presieduta dall’arcivescovo Tommaso Valentinetti – esordisce Eusebio -, per celebrare i 50 dell’inizio del Cammino neocatecumenale nella diocesi di Pescara nel 1972. Il Signore ha voluto che si iniziasse qui. Quella di Pescara è stata una delle prime diocesi in cui è partito il Cammino. Così siamo qui pieni di gratitudine verso il Signore, pieni di allegria e riconoscenza, contenti di esserci. Il Signore ci ha benedetto, anche perché il Cammino è partito dalle mani del vescovo e dei parroci. L’allora vescovo Antonio Iannucci ci ha accolto dal primo giorni con fede e lungimiranza. Ci ha accompagnato anche monsignor Francesco Cuccarese e soprattutto il nostro carissimo vescovo Tommaso Valentinetti che ci vuole bene. I parroci di Pescara ci hanno accolto, hanno fatto il Cammino con noi e sono stati meravigliosi. Papa Francesco ha detto “Il Cammino neocatecumenale Il cammino neocatecumenale è un dono grande per la Chiesa”. E tutti noi abbiamo usufruito di questo dono, tutti noi siamo testimoni della potenza del kerigma (l’annuncio del Vangelo ai non credenti). Abbiamo ascoltato una buona notizia che ha sconvolto la nostra vita, Cristo è risorto, ha potere su ogni schiavitù dell’uomo, ci ama così come siamo. E la morte è stata vinta, che allegria. Questo kerigma ha avuto il potere di mettersi in cammino per cinquant’anni per quello che ancora e il tempo che ancora ci sarà. Siamo stati testimoni, stiamo rivivendo il battesimo tappa per tappa. Stiamo scoprendo che la Chiesa ha un utero. È un’iniziazione cristiana nella quale veniamo rigenerati a una vita nuova. E noi stiamo facendo, grazie a Cristo e alla Chiesa, una vita nuova, una vita divina dentro di noi che si manifesta nell’amore al fratello, nella comunione che dà i segni della fede. Vediamo parrocchie, comunità adulte che chiamano alla fede i lontani. La parrocchia ci fa missionaria, il Signore ci riempie di carismi, di vocazioni, di itineranti, di seminaristi, di suore, di famiglie in missione. Siamo testimoni di tutto questo. Ma soprattutto Cristo ci ha amato gratis, la gratuità che abbiamo scoperto nel Cammino. La pazienza. Tutti noi siamo amati gratuitamente dal Signore. Com’è stata la nostra vita? Il Cammino nasce, vogliamo ricordarlo, è un’ispirazione che la Vergine Maria ha dato a Kiko e a Carmen, ovvero di fare comunità come la Santa Famiglia di Nazareth, con umiltà e semplicità. Il Cammino nasce anche dal Concilio Vaticano II che ha detto “Si ripristini il catecumenato”. Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a portare il Cammino nelle parrocchie. Cosa sarebbe stata la nostra vita senza se non avessimo creduto in Gesù Cristo?! Il nostro matrimonio, i nostri figli. Molti non sarebbero nati. Lui ci ha amato, ci ama, ci ama enormemente. Questa sera non solo ringraziamo il Signore, ma Lui viene ad aiutarci. Se abbiamo davanti una croce, una cosa oscura che non capiamo, una situazione che ci fa soffrire, entriamo in questa croce, sapendo che Dio è fedele, che non ci abbandonerà, che ci ha aiutato sempre, anche questa volta ci aiuterà. Che questa Eucaristia sia un’occasione non per guardare indietro, ma per guardare avanti. Il Signore ha fatto ogni cosa, noi siamo tutti servi inutili. Il Signore Gesù è magnifico, è fenomenale, è santo, santo, santo. A Lui La gloria, Amen».
Quindi l’arcivescovo Valentinetti ha officiato la santa messa, riservando parole sentite per il Cammino neocatecumenale pescarese: «Ringrazio il Signore per queste manifestazioni di grande gioia – afferma il presule nell’omelia, ispirata dalla Parola del giorno -, ma contempliamo la Parola. È una Parola che ci fa fissare lo sguardo immediatamente su quella profezia che chiama “Cristo germoglio che spunta dal tronco di Jesse, virgulto che germoglia dalle sue radici“. Colui su cui si poserà lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore. È una profezia che si è realizzata puntualmente in Gesù, che aveva scelto un altro brano quando – nella sinagoga di Nazareth – proclama “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha mandato ad annunziare la buona novella ai poveri”. Ma i due testi sono molto simili e ci invitano a contemplare questo mistero d’amore di Dio e di predilezione per Israele e per il nuovo Israele, per tutta l’umanità. Quell’esultanza di cui ci ha fatto ascoltare la Parola del Vangelo, quell’esultanza “Ti benedico Padre, Signore del cielo e della terra” si è poi concretizzata in quel “Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. Cioè quel virgulto di Jesse nato dal grembo di Maria è Colui che ci racconta il Padre, perché solo Lui poteva raccontarci il Padre, solo Lui continua a raccontarci il Padre continuamente, senza sosta, dentro il mistero della Chiesa e, soprattutto, dentro l’ascolto della Parola e dentro la celebrazione dei divini misteri. E noi ci mettiamo in docile ascolto di questo Signore che parla. Ci mettiamo indocile ascolto, perché la Parola del Vangelo che abbiamo ascoltato è la parte finale di quel testo, quando i 72 tornano da Gesù dopo la missione».
Un episodio, quest’ultimo, dal quale l’arcivescovo di Pescara-Penne ha tratto spunto per fare un paragone con la celebrazione eucaristica di ieri sera: «Mi sembra che – osserva – non 72, ma più di 72 sono tornati un po’ alla casa del Padre per riposarsi un po’, per riascoltarsi vicendevolmente, ma soprattutto per riprendere coraggio, per riprendere il cammino secondo la legge del Signore e secondo i disegni del Signore stesso. Ma tutto questo avviene dentro una storia. La vostra storia di cinquant’anni, la nostra storia di Chiesa diocesana che è nata sostanzialmente come tale agli inizi degli anni ‘50, quindi siamo leggermente più vecchi come in realtà diocesana. La storia della Chiesa universale, la storia di questa Chiesa, di questa realtà di Chiesa dentro cui oggi noi stiamo vivendo, che ha un Pontefice che si chiama Francesco, che per voi c’è un vescovo che si chiama Tommaso, che per voi ci sono dei presbiteri che hanno i loro nomi e vi accompagnano dentro una storia di una Chiesa, che continua ad ascoltare le parole di Gesù che manifesta il Padre. Ma qui nasce un terribile dubbio che viene dalla Parola, che viene da questo testo di Isaia che non ci deve scandalizzare, che non ci deve abbattere, ma di cui dobbiamo prendere coscienza. Colui che rivela il Padre non giudica secondo le apparenze, non prende decisioni per sentito dire, giudica con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Ma tutto questo lo viviamo? Ma tutto questo accade nella nostra società? Ma tutto questo accade oggi, anche nel nostro essere Chiesa, Chiese universale, Chiesa diocesana, Chiese parrocchiali? E dobbiamo essere molto vigilanti e molto attenti, perché “Percuoterà il violento con la verga della sua bocca. Con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Ma poi lo sguardo… Il lupo dimorerà con l’agnello, il leopardo si sdraierà insieme al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme, un piccolo fanciullo li guiderà, la mucca e l’orsa pascoleranno insieme e i loro piccoli si sdraieranno insieme, il leone si ciberà di paglia, il lattante si trastullerà nella buca della vipera e il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso”. Ma tutto questo è vero? Tutto questo c’è? È realtà dentro la Chiesa, dentro la società, dentro il mondo? Ma guardiamoci intorno… “Il lupo dimora con l’agnello? No, il lupo sta divorando ancora una volta l’agnello. C’è una visione, c’è un promessa, c’è un mandato. A noi il compito di essere credibili dentro questa Parola. A noi il compito di essere l’agnello che dimora insieme al lupo, a noi proprio di essere il leone che si ciba di paglia, a noi il compito di essere il bambino che mette la mano nella buca della libera. Ma è possibile tutto questo? Sì, è possibile. Qual è il segreto? Essere piccoli! “Ti rendo lode o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Un’altra traduzione dice “ai semplici”».
Da qui la provocazione finale lanciata da monsignor Tommaso Valentinetti: «Siamo piccoli o siamo superbamente pieni di noi stessi? – interroga -. Siamo capaci dell’ultimo posto? Siamo capaci di essere servi dei servi? Siamo capaci di godere del bello che il Signore ci ha rivelato? E questa sera lo state testimoniando. Ma siamo capaci di nasconderci, di non farci vedere, chiedo scusa, di non contarci? Perché piccoli e poveri siamo semi gettati dentro una storia, piccoli e poveri siamo semi che producono quel frutto, ora il 30, ora il 60, ora il 100 per 1 che solo il Divino agricoltore sa far germogliare. “Ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra”. Esulto di gioia anch’io, questa sera con voi, nello Spirito Santo, e chiedo per me, per la nostra Chiesa diocesana – che l’amico dello sposo ha detto essere molto bella, grazie anche a voi -, chiedo il dono di questa piccolezza. Chiedo il dono di essere nascosti dentro questa società, di questo tempo, perché possiamo, con la nostra credibilità, essere il Regno che il Signore sta preparando per ciascuno di noi. In fondo, il percorso sinodale che il Santo Padre ci ha affidato non è nient’altro che questo. Mescolarci dentro una massa, dentro una pasta, e chiedere “Ti posso dare un po’ del mio amore? Cosa desideri che io credente, che io parrocchia, che io movimento, che io Chiesa posso darti, perché tu possa incontrare il vero amore oggi e per sempre?” Amen».