“Attenti ai cercatori di Dio: da noi desiderano risposte credibili”
"Tanti - osserva l'arcivescovo Valentinetti - non sono più alla ricerca del Signore e dove dobbiamo cercarlo? Ancora una volta nel mistero della croce e nel mistero dell’ultimo posto. È lì che ci aspetta, sempre, in continuazione, ma non perché vuole che rimaniamo crocifissi con Lui, perché sappiamo bene che dobbiamo con Lui risorgere"
Essere testimoni di fede credibili per indicare la strada ai cercatori di Dio. Dev’essere questo l’obiettivo di ogni credente secondo l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti che venerdì sera, nella solennità dell’Epifania del Signore, ha celebrato una messa solenne nella Cattedrale di San Cetteo in Pescara. In particolare, il presule ha paragonato i cercatori di Dio attuali ai magi narrati dal Vangelo: «A compimento delle profezie dei profeti, e soprattutto della profezia di Isaia che apre lo sguardo a tutti i popoli della terra che avrebbero contemplato il volto del Messia – esordisce l’arcivescovo nell’omelia -, l’evangelista Matteo pone l’episodio della visita dei magi a Betlemme. Personaggi molto discussi, di cui si conoscono forse le vestigia (tracce) dell’antichità, ma ancora indecifrati. Però di una cosa siamo certi: essi erano cercatori dell’assoluto, erano cercatori di Dio, erano cercatori di Colui che avrebbe manifestato il volto di Dio. Perché? Avevano scrutato le loro Scritture, avevano scrutato i segni nel cielo e forse, così come viene poi detto alla fine del testo evangelico, tale e quale a Giuseppe e Maria, capaci di interpretare i sogni, che sicuramente consideravano essere momenti di comunicazione dall’alto. E allora vanno in cammino e cercano».
Ma si sarebbero aspettati di trovare un re potente e forte: «Tant’è vero – ricorda l’arcivescovo Valentinetti – che arrivarono alla corte del re Erode, il più potente del tempo, il più forte in quella terra d’Israele. Ma lì non trovano il re dei Giudei. Notate bene che l’evangelista Matteo usa questo termine “re dei giudei” in questo testo della visita di magi e poi descrivendo il titolo della morte di Gesù, “Gesù il Nazareno il re dei giudei”. Dunque, già da questo accenno dell’evangelista possiamo capire, quindi, che colui che avrebbero trovato non era il potente, non era il forte, non era il ricco, non era colui che poteva dominare con la forza il mondo, ma era qualcun altro. Era un piccolo, un povero. Anzi, da come reagiscono i sommi sacerdoti, gli scribi, i farisei, da come reagisce Erode, già un perseguitato, uno che viene messo all’ultimo posto, uno che non viene assolutamente considerato. Ecco, allora, chi trovano? Nel momento in cui ricevono solo pochissime indicazioni, solo qualche idea su dove potesse trovarsi questo Messia, essi – facendo tesoro di ciò che avevano interiorizzato precedentemente – rivedono la scelta e finalmente lo trovano. Ma trovano che cosa? Maria, Giuseppe e il Bambino così come il Natale ce lo aveva descritto. Non di meno, proprio perché essi si aspettavano una regalità, offrono oro, incenso e mirra, i segni della regalità. E questo ci dice quanto è stato importante, per gli uomini che hanno convissuto al tempo di Gesù e che vivevano l’esperienza dell’incontro con Lui, cercare il Signore. Ricordate la bellissima richiesta di Filippo, che dice a Gesù “Maestro, mostraci il Padre e ci basta”. “Filippo, da tanto tempo sei con me. Chi vede me, vede il Padre”. E la frase, più volte meditata, del versetto 18 del capitolo primo di Giovanni “Nessuno mai ha visto Dio, il figlio unigenito che è nel seno del Padre ce ne ha fatto la spiegazione”. I magi l’hanno trovato, l’hanno contemplato e, forse, si sono anche convertiti, forse hanno capito. Perché quella frase “per un’altra strada fecero ritorno al loro Paese”, potrebbe significare che volevano sfuggire all’ira di Erode, ma potrebbe significare che ormai la loro vita era un’altra strada. Non era la strada di prima. Non avevano più bisogno di stelle, non avevano più bisogno di segni, avevano conquistato la fede».
A questo punto, a detta di monsignor Valentinetti, dal Vangelo scaturiscono due domande di cui la prima è “Siamo anche noi cercatori di Dio?”: «Nella nostra vita – approfondisce l’arcivescovo di Pescara-Penne -, cerchiamo il volto del Signore? Siamo attenti alle vestigia che Lui, in qualche modo, ci dona di tanto? Siamo attenti a scoprire nella sua parola quella presenza, che è continua? E siamo pronti ad offrirgli il meglio di noi stessi? Non abbiamo né oro, né incenso, né mirra, ma abbiamo l’oro della nostra anima, l’incenso della nostra intelligenza, la mirra della nostra persona. Possiamo essere anche noi cercatori di Dio? Possiamo essere cercatori dell’assoluto o dobbiamo rinunciare a questa ricerca oppressi e affaticati dai tanti problemi che la vita, in qualche modo, ci frappone? O abbiamo addirittura smesso di essere i cercatori di Dio, ubriacati dal potere, dal denaro, dalle cattive informazioni, dalla noia e dal disprezzo? Tanti non sono più alla ricerca del Signore e dove dobbiamo cercarlo? Ancora una volta nel mistero della croce e nel mistero dell’ultimo posto. È lì che ci aspetta, sempre, in continuazione, ma non perché vuole che rimaniamo crocifissi con Lui, perché sappiamo bene che dobbiamo con Lui risorgere. L’annuncio della Pasqua (domenica 9 aprile 2023), che la liturgia ci fa fare in questo giorno, significa proprio questo».
E poi la seconda domanda, “Siamo pronti a riconoscere i ricercatori di Dio?”: «Oppure – interroga monsignor Tommaso Valentinetti – facciamo finta di non vederli? Ma quanti cercano a tentoni, quanti vorrebbero credere e non credono, a quanti non abbiamo dato buona testimonianza perché potessero trovare la strada del Signore, perché potessero trovare la fede? Il percorso sinodale ci dice, ancora una volta, di essere molto attenti ai cercatori enigmatici del Signore. Ci sono… I giovani che forse attendono una parola di speranza, che forse attendono una testimonianza più credibile. E i tanti che si sono allontanati per gli svariati motivi dal cammino della fede, non rimangono forse cercatori di Dio forse solo nella religiosità esteriore, nella religiosità che non arriva alla sostanza della fede o forse solo della tradizione, o solo forse alla periferia della loro vita, che può essere descritta in un funerale, in un battesimo, in una prima comunione, in una cresima fatta perché, fatta per come…».
Da qui l’esortazione finale: «Dobbiamo essere attenti – conclude il presule – a rispondere all’esigenza che questi cercatori di Dio, forse, desiderano avere da noi risposte di verità, di credibilità, risposte di chi li sa prendere per mano e li sa portare, ancora una volta, alla grotta di Betlemme e al Monte Calvario. Perché da lì, poi, si passa al giardino della risurrezione e Lui verrà presto. Vieni Signore Gesù, amen».