San Cetteo: “Con lui Pescara fu cruciale nei rapporti tra Roma e la Dalmazia”
"Questa - sottolinea l'arcivescovo Valentinetti - è una delle tante iniziative che si stanno realizzando a livello diocesano per promuovere un cammino di cultura e, se volete, anche per promuovere un cammino di ricerca, di bellezza. Io sono sempre più convinto che stiamo vivendo un tempo in cui bisogna ritessere alcuni alcune trame culturali, perché se non si ritessono queste trame culturali e non si va a guardare anche l'origine e alle situazioni da cui proveniamo, ci sfugge l'interpretazione della realtà la quale corre poi il rischio di cadere in un pensiero debole che non aiuta assolutamente la crescita umana, intellettuale e spirituale delle persone"

Il progetto “Radici”, ovvero le Giornate di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico che si concluderanno oggi, ha consentito di realizzare un interessante approfondimento, dal punto di vista storico, archeologico e liturgico, sul ruolo esercitato da Pescara e dal suo territorio attraverso la vita e le opere del suo patrono San Cetteo vescovo e martire che, giovedì sera presso l’aula magna dell’Istituto superiore di scienze religiose “Giuseppe Toniolo” di Pescara, è stato protagonista della conferenza dal tema “Cethei martire: dalle fonti a culto”.

Un appuntamento condotto dall’archivista e bibliotecario diocesano Luca Mazzocchetti e introdotto dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti: «Sono contento – esordisce il presule -, perché questa è una delle tante iniziative che si stanno realizzando a livello diocesano per promuovere un cammino di cultura e, se volete, anche per promuovere un cammino di ricerca, di bellezza. Io sono sempre più convinto che stiamo vivendo un tempo in cui bisogna ritessere alcuni alcune trame culturali, perché se non si ritessono queste trame culturali e non si va a guardare anche l’origine e alle situazioni da cui proveniamo, ci sfugge l’interpretazione della realtà la quale corre poi il rischio di cadere in un pensiero debole che non aiuta assolutamente la crescita umana, intellettuale e spirituale delle persone. Tutto questo rientra in un progetto diocesano abbastanza “velato”, ma è velato volutamente, nel senso che non è esplicitato come grande progetto, perché altrimenti non sarebbe stato accolto, conosco bene le dinamiche di accoglienza. Ma attraverso l’impegno a favore della letteratura e all’impegno a favore della lettura, qui entra in gioco la biblioteca, a favore della musica – non dimenticate che la diocesi si sta impegnando anche su questo settore – a favore della ricerca archeologica, della ricerca storica e del mostrare la bellezza delle nostre opere d’arte all’interno delle nostre chiese, che chiaramente sono pregevoli e sono sicuramente da valorizzare, che passa tutto un legame di amicizia e soprattutto di conoscenza che aiuta sicuramente anche quel processo sinodale di ritessere rapporti e convivenze belle che siano simpatiche per la vita delle persone. Perciò non posso fare altro che complimentarmi con chi mi sta aiutando a fare questo lavoro, che ha capito perfettamente il senso di quanto stiamo portando avanti. Io ho sempre lo sguardo bello nella sulla nostra biblioteca che costantemente, ogni giorno, si riempie di universitari. Credenti forse no, non credenti forse sì, non lo so, ma certo spazio aperto per tutti e nuova agorà, dove sono possibili incontri e dov’è possibile camminare insieme. Naturalmente tutto questo ha un risvolto nella vita teologica e liturgica».

A seguire, in qualità di custode dell’effige e delle reliquie di San Cetteo, è stato il parroco della Cattedrale nonché vicario generale dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne monsignor Francesco Santuccione ad intervenire: «Noi cerchiamo – ricorda monsignor Santuccione – di essere una chiesa cattedrale grande, aperta, sinodale. Ci sono cinque porte in cattedrale. Allora noi spaziamo, cerchiamo con tutti i collaboratori di accogliere tutte le persone, quelle bisognose materialmente, spiritualmente, attraverso le varie realtà dei gruppi, perché San Cetteo è stato un grande pastore, un grande evangelizzatore. La nostra vallata l’ha evangelizzata non solo a parole, era un pastore credibile e credente, tanto che di fronte alle guerre che in quel momento dividevano due fazioni, lui non si è girato dall’altra parte, ma si è coinvolto ed è morto da seminatore di pace. Allora sento forte da un po’ di anni, stando a contatto, pregando il Signore, oltre a valorizzare la parte culturale, archeologica, abbellire la chiesa, dobbiamo anche invocare e imitare San Cetteo, perché è a nostra disposizione essendo il protettore di Pescara e di tutta la diocesi, quindi è disponibile. Invochiamolo e chiediamo la sua intercessione, perché anche noi facciamo la nostra parte, oggi, per un mondo più fraterno, più cristiano, senza barriere».
Dopo i saluti, la conferenze è entrata nel vivo con la relazione – dal titolo “Cetteo fra Pescara, Roma e la Dalmazia” – dell’architetto Andrea Staffa il quale ha annunciato che, presto, donerà la sua biblioteca e il suo archivio personale alla Biblioteca diocesana “Carlo Maria Martini”: «È per me – sottolinea Staffa – motivo di profonda soddisfazione essere qui a parlarvi della figura di San Cetteo. Una figura che, dalle ricerche degli ultimi trent’anni, sia sul versante archeologico, storico e della testimonianza manoscritta, ha visto la scoperta di documenti nuovi e fondamentali per la stessa città di Pescara. Nel Museo archeologico di Penne abbiamo raccolto le testimonianze di una diocesi particolarmente antica, di origine tardo antica come hanno dimostrato gli scavi archeologici, con collegamenti ed un ruolo fondamentale nell’Abruzzo alto medievale, dove il vescovo di Penne allora – oggi di Pescara-Penne – e il vescovo di Chieti, erano sostanzialmente i due principali riferimenti non soltanto dal punto di vista religioso, ma anche dal punto di vista civile, dell’intera area compresa fra Tronto e il nostro Abruzzo».

Un intervento, quest’ultimo, che ha approfondito in maniera specifica la presenza dei bizantini a Pescara e Ortona nel VI e VII secolo. È proprio questo tempo che ha conosciuto l’episcopato di San Cetteo, quando intorno all’anno 590 i longobardi occuparono temporaneamente Pescara. All’epoca ci fu una grande piena del fiume: «Questo periodo – spiega Staffa – fu caratterizzato da grandi trasformazioni con cui San Cetteo si è dovuto misurare. Nel 1992, all’interno della Biblioteca Marciana di Venezia, è stato ritrovato un codice relativo alla “Passio” di San Cetteo che ricostruisce la storia di quegli anni. Questo lezionario non venne redatto oltre la metà del XII secolo. In base all’esame di questo codice, il nostro San Cetteo era diventato il santo principale di Zara. Quest’ultima è la città dalmata a nord di Spalato che, alla metà del VII secolo, diventa capitale della provincia di Dalmazia al posto di Salona che era stata devastata da precedenti invasioni. Ma perché questo santo diventa così importante da arrivare dall’altra parte dell’Adriatico, per diventare uno dei santi più importanti della Chiesa dalmata? Sullo sfondo di tutto questo c’è un confronto serrato tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli per il controllo della dipendenza ecclesiastica della Dalmazia. In tutto ciò Pescara svolgeva un ruolo strategico, perché era collocata sulla rotta principale tra Roma e la Dalmazia per tutto il VII secolo. In questa versione del codice, la più antica disponibile, non c’era dubbio sul fatto che veniva menzionata Aternum, non Amiternum, quindi Pescara dov’era presente e attivo il vescovo di Chieti (Cetteo). Ma in queste fasi di tardo VI secolo le lettere di Gregorio Magno e le testimonianze di vescovi che, a fronte dell’invasione longobarda, si spostano dal centro dell’impero in un porto presidiato dai bizantini e quindi più facilmente difendibile, sono diffusissimi.

Quindi trovare il vescovo Cetteo lì, ad Aternum, dove i bizantini avevano appena realizzato delle enormi mura difensive ed era presidiato, non stupisce. Una documentazione fondamentale testimonia una momentanea conquista della città, nel 589-590, da parte di un gruppo di longobardi guidati da due comandanti Alais e Umblone. Cetteo, inzialmente, tenta di farli dialogare. I due comandanti si dividono la città: Alais si posiziona sulla porta a mare, Umblone sulla porta verso l’interno. Ad un certo punto i bizantini arrivano, si mettono d’accordo con Alais e tentano di conquistare la città. Ma la cosa non era stata preparata e mette a rischio la stessa incolumità dei pescaresi, che si spaventano. Alais viene ucciso e Umblone se la prende con Cetteo il quale finirà ucciso e gettato dal ponte marmoreo della città. Ma questa politica di attenzione della Chiesa romana verso la Dalmazia è un elemento fortissimo, con il corpo di San Cetteo che diventa pellegrino e arriva a Zara, e non si interromperà per tutta la metà del VII secolo. È una politica che prosegue con Papa Giovanni IV, un papato di tre anni molto intenso al tempo in cui Zara diventò capitale della provincia dalmata. E proprio Giovanni IV riscatta prigionieri da parte degli slavi, manda dei missionari per cercare di convertirli, il tutto facendo base a Pescara attraverso i successori e gli eredi di quel Cetteo che con il suo martirio aveva difeso la città.
Questa passio, confrontata con i dati archeologici, resa particolarmente forte dall’esame che ne è stato fatta sulla base di questo autorevole testimone del manoscritto dalla metà del XV secolo, documenta una serie di fatti storici che lo stesso Everett ritiene narrati e raccolti non molto dopo i fatti stessi. Quindi, probabilmente, a partire dalla seconda metà del VII secolo, o poco dopo, in una fase in cui Roma era riuscita ad attuare una politica nel cui ambito Pescara in primo luogo, ma anche Ortona, era stata fondamentale per gli equilibri dell’Adriatico bizantino e per gli stessi rapporti fra Chiesa romana e Chiesa di Costantinopoli, perché Aternum era collocata proprio nel punto di incontro e di confine fra i Ducati di Spoleto e di Benevento. Un itinerario strategico in una fase in cui, come affermato dallo storico Everett, “Pescara era stata per qualche anno al punto più alto negli equilibri della Chiesa romana sulla Dalmazia e verso la Chiesa di Costantinopoli”. In questi anni cruciali, l’attività e la morte di Cetteo, in questa fase il ruolo della Chiesa pescarese, chiamiamola così, è un fondamentale negli equilibri fra Roma, la Dalmazia e definisce, attraverso queste rotte, quelli che saranno più gli equilibri fra le due chiese – romana e costantinopolitana – per tutto l’alto medioevo».

Infine, il sacerdote liturgista don Mauro Pallini ha condotto la relazione dal tema “Cetteo: cantiere del culto o della pietà?”: «Credo fortemente che il vero culto della nostra fede – sottolinea il presbitero, dopo aver commentato il filmato ritraente Papa Francesco che si affaccia dalla loggia vaticana in seguito alla sua elezione al Soglio di Pietro, ma solo dopo l’esposizione della croce – sia quando puntiamo al mistero pasquale di Cristo. Come San Cetteo ci ha dato una testimonianza che anche vivere un martirio per la salvezza dei pescaresi, se il vicario di Cristo in terra è discepolo autentico del Signore è perché anche se lui vive la sua pietà popolare toccando una statua, facendosi il segno di croce, è colui che ci insegna la strada maestra. Credo fortemente che anche una processione sul mare o sul fiume, quando sulla barca – oltre a San Cetteo – si mette la croce, è perché San Cetteo nella sua vita ha visto sempre in Cristo il suo punto focale. E nella nostra vita dev’essere Lui il nostro punto focale, non la tradizione, la consuetudine. Diventeremo discepoli reali del Signore quando guarderemo a Lui. Il vero culto di San Cetteo sia legato a questa consapevolezza… Il Concilio Vaticano II parla di partecipazione attiva e consapevole del popolo. Quando noi ci legheremo al mistero di Cristo, vivremo anche la pietà popolare in maniera diversa. Per esempio nel Venerdì santo, nella Via Crucis, mi sarebbe sempre piaciuto fermarmi alla tredicesima stazione, per dire come quella croce che viene baciata nell’azione liturgica del Venerdì santo, quel Gesù deposto dalla croce è consegnato alla mia vita. E che ne voglio fare? La quattordicesima stazione, invece, è “Gesù è posto nel sepolcro”. La vorrei tanto togliere quest’ultima nel Venerdì santo, per interrogarmi su quanto quel sacrificio di Cristo vale per la mia vita. Una pietà popolare può essere purificata anche in questo, soprattutto nel Venerdì santo che ha un accento diverso rispetto agli altri venerdì di Quaresima in cui si vive la pia pratica della Via crucis».