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“Camminiamo insieme per una Chiesa che non escluda più nessuno”

"In ogni parrocchia, in ogni luogo - invita suor Veronica Donatello -, sempre più impariamo a diventare una comunità dove ci sentiamo responsabili gli uni degli altri. Solo così si spezzerà questa solitudine che ci circonda in tanti ambiti, dalla salute, dalla cura, dalla spesa, dal permettere a un genitore di andare dal parrucchiere. Si tratta di essere sale e il mondo oggi ha bisogno di essere salato coi nostri gesti che provocano"

Lo ha affermato domenica l’arcivescovo Valentinetti, presiedendo la santa messa della 32ª Giornata mondiale del malato nella chiesa del Cristo Re a Pescara

La scorsa domenica, nella giorno dedicato alla memoria liturgica di Nostra Signora di Lourdes, presso la chiesa del Cristo Re a Pescara colli, è stata – come ogni anno – molto partecipata la celebrazione diocesana della 32ª Giornata mondiale del malato dal tema “«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Curare il malato curando le relazioni”, scelto da Papa Francesco per il suo messaggio dedicato soprattutto ai malati e agli operatori della Pastorale della salute.

Suor Veronica Donatello, responsabile Servizio nazionale pastorale per disabili Cei

Questi ultimi si sono riuniti a centinaia dapprima nel teatro parrocchiale, per ascoltare un approfondimento sul tema dell’evento curato dalla suora alcantarina pescarese suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale di pastorale delle persone con disabilità della Conferenza episcopale italiana, nonché Consultrice del Dicastero vaticano per la comunicazione, la quale ha tratto ispirazione dal brano biblico della guarigione del lebbroso (Mc 1,40-45) al centro della scorsa domenica: «C’è una cosa interessante di questo brano che mi ha colpito – afferma la suora -. Che al lebbroso era vietato entrare nella città, ma poi entra. Allora questo è un auspicio sia per le persone con disabilità, ma anche per noi che spesso siamo loro fratelli e sorelle, prossimi affianco a loro. Abbiamo il coraggio di osare, di bussare in chiesa. Basta con la pastorale degli eventi, questo non è il Vangelo! Il Signore non ha creato eventi, ha messo in moto una comunità, un’appartenenza. Allora, mi raccomando, è questo l’impegno che abbiamo noi. Possiamo, osiamo, entriamo, gridiamo “Guariscimi”. “Vuoi cioè guarire? Sì, lo voglio”. Siamo noi quei portantini, siamo noi quei portavoce che rompono quelle porte e aiutano la comunità a comprendere che non è possibile pensare che gli altri non esistono e che non è possibile pensare che degli ammalati se ne occupa la Sanità o dei disabili i disabili. No, la comunità è tale perché vi apparteniamo. Poi ci sono persone che, giustamente, hanno un compito specifico, ma non sono costoro che devono gestire i problemi nelle nostre comunità. Allora osiamo rompere questo “muro”. E poi mi chiedo, quante volte una persona che vive a fianco ad una persona fragile dice “Vuoi aiutarmi?” e noi non abbiamo tempo. A volte io, quando penso alla mia situazione familiare, ho 2-3 persone alle quali se ho bisogno so che posso chiedere, perché so che anche se hanno 10 fanno 11 per me e fanno anche di più».

Malati e accompagnatori nel teatro parrocchiale

Quindi suor Veronica ha fatto un riferimento all’attualità per rilanciare un invito: «Il Papa all’Angelus di oggi (domenica per chi legge) – ricorda – ci ha lasciato una domanda: “Io so mettermi in ascolto delle persone? Sono disponibile alle loro richieste? Oppure accampo scuse e mi nascondo dietro parole astratte? Concretamente, quando è stata l’ultima volta che sono andato/a incontro verso altre persone malate o fragili? Quando ho cambiato i miei programmi per andare incontro alle necessità di chi mi chiedeva aiuto? Allora vi voglio lasciare il Vangelo di Marco, per dire che anche il Signore ha avuto giornate complesse, perché tutto quello che vi ho detto in questo brano biblico è successo in un giorno. Però il Signore ci dà degli spunti per poter vivere con Lui, un po’ come il buon samaritano, e avere il coraggio non di dire “Il sabato mi occupo degli ammalati, il venerdì dei rom, il giovedì dei poveri alla Cittadella dell’accoglienza “Giovanni Paolo II”. Noi non siamo compartimenti stagni, sicuramente quegli appuntamenti servono, ci mancherebbe, però lasciamoci provocare dalla quotidianità che il Signore ci dà. Oggi il mondo ha bisogno di questo, di buoni samaritani. Il Papa, incontrando lo scorso 1 aprile le persone con autismo, disse loro “Anche voi siete buoni samaritani”. Per me è stato bello vedere loro in piazza San Pietro questi giovani con autismo che parlavano con i poveri, con gli ultimi, e dicevano “Anche noi abbiamo una chiamata”. Tutti sono chiamati, non solo gli abili. Tutti sono chiamati ad acquisire uno stile cristiano, il mondo ha bisogno di questo. Oggi siamo chiamati ad essere sale in un mondo insipido. E il sale dobbiamo esserlo in tutti i nostri luoghi, nelle piccole e grandi cose, dal malato che vai a trovare, dal vicino di casa, dallo straniero, dalla suocera, da tutto quello che nella vita ci può stare. Però, sentiamoci chiamati col Signore, come Egli ha chiamato Giacomo, Giovanni e gli altri, a essere veramente sale nel Regno. Allora solo così, la solitudine, la grande paura, lo scarto – parola che il Papa usa continuamente perché lui dice che se noi partiamo dagli scartati – degli ultimi non perdiamo nessuno».

Da qui un nuovo invito: «Allora, nella quotidianità – conclude la responsabile del Servizio nazionale di pastorale per le persone con disabilità -, abbiamo il coraggio di capire dov’è che il Signore ci dà appuntamento. Gli appuntamenti dei piccoli scartati, le realtà fragili che troviamo. Guardando i vostri volti so che già lo fate, ma che il vostro stile provochi altri. Che la gente guardandovi vi dica “Ma chi ve lo fa fare?”. E voi “Lo faccio per il Vangelo, lo faccio perché ho ricevuto un dono”. Facciamo sì che i nostri gesti provochino gli altri, così che dicano “Ma che bello, ma allora si può fare. Esiste una comunità dove veramente nessuno escluso e mai nessuno è lasciato solo”. Però per fare questo bisogna ripartire dal Vangelo. Allora l’auspicio è che veramente, in ogni parrocchia, in ogni luogo, sempre più impariamo a diventare una comunità dove ci sentiamo responsabili gli uni degli altri. Solo così si spezzerà questa solitudine che ci circonda in tanti ambiti, dalla salute, dalla cura, dalla spesa, dal permettere a un genitore di andare dal parrucchiere. Si tratta di essere sale e il mondo oggi ha bisogno di essere salato coi nostri gesti che provocano».

Il diacono Giancarlo Cirirllo

Infine, dopo un momento conviviale e una breve processione dietro l’effige mariana di Nostra Signora di Lourdes, nella chiesa adiacente il teatro si è svolta la santa messa conclusiva presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti. Una liturgia eucaristica che, tra l’altro, ha celebrato uno speciale anniversario: «Oggi – sottolinea il diacono Giancarlo Cirillo, direttore del Tavolo regionale Ceam per il diaconato nelle strutture sanitarie – ricorre il cinquantesimo anniversario della prima riunione che tenemmo per pregare per i malati della nostra Diocesi di Pescara. Proprio qui, nella “Grotta di Lourdes”, ci ritrovammo per iniziare i primi 18 anni di preghiera per i sofferenti quando l’istituzione dell’attuale Giornata mondiale del malato non era ancora avvenuta. Ringrazio l’arcivescovo Valentinetti che ci ha dato l’opportunità di pregare per i cappellani defunti degli ospedali di Pescara e Penne, don Albino Dazzi (iniziatore della Giornata diocesana del malato 50 anni fa), don Quinto Rinforzi, don Palmerino Di Battista, don Sergio Triozzi, don Nazzareno Romano, Padre Cialente (co-iniziatore della Giornata diocesana del malato), i frati cappuccini che per 150 anni sono stati cappellani dell’ospedale di Pescarain particolare l’ultimo Padre Innocenzo Molinaro. E poi un’istituzione per la città di Penne, Padre Giovanni da Penne che per oltre 40 anni è stato il cappellano dell’ospedale cittadino».

Nell’omelia il presule è partito dall’approfondimento della Parola del giorno: «Tutti coloro che chiedevano una guarigione a Gesù – afferma l’arcivescovo Valentinetti -, la chiedevano direttamente. Lo storpio “Che io cammini”, il sordo “Che io oda”, il muto “Che io parli”. Ci troviamo, invece, di fronte a qualcosa di diverso in questo episodio del lebbroso, il quale si avvicina a Gesù e lo supplica in ginocchio, dicendo non “Guariscimi”, ma dicendogli “Purificami”. Perché sappiamo bene che durante il tempo di Gesù, anche prima di Gesù, ma anche dopo Gesù, la lebbra era il segno di qualcosa di più profondo. Era il segno del peccato e di solito di un peccato molto grave, che poteva essere un omicidio, un tradimento grave dei propri genitori, un peccato di origine sessuale. Insomma, un peccato che aveva fatto scaturire il segno esterno nella lebbra. Tant’è vero che, avete ascoltato il libro del Levitico, colui che era colpito dalla lebbra era bandito dalla comunità un po’ per paura del contagio, anche se oggi sappiamo che la lebbra non è contagiosa, ma anche perché era un pubblico peccatore che doveva essere rifiutato dalla comunità e poteva esservi riammesso solo se la lebbra scompariva. Tant’è vero che Gesù dice al lebbroso “Vai dal sacerdote, fatti vedere perché che ti ammetta nella comunità”. Dunque, siamo di fronte a una richiesta un po’ particolare, tant’è vero che Gesù gli dice “Sì, lo voglio, sii purificato”. E il testo aggiunge il commento dell’evangelista “Dopo che Gesù ne ebbe compassione” e fece una cosa che non si sarebbe mai dovuta fare, lo tocca con le sue mani e gli dice “Lo voglio, sii purificato”. E l’evangelista commenta “e la lebbra se ne va”. Il miracolo avviene dopo la purificazione, non avviene prima. La lebbra scompare quando il divino tocca l’umano. Ma il divino tocca l’umano con compassione, con tenerezza, con amore. Tocca l’umano e mescola la sua vita con l’umano, senza dire tante parole, senza indugiare, ma con molta carità e con molta attenzione».

Malati e accompagnatori nella chiesa del Cristo Re

A tal proposito, monsignor Tommaso Valentinetti si è posto una domanda e l’ha posta anche ai fedeli: «Chi sono oggi i nuovi lebbrosi? – s’interroga – Esistono dei lebbrosi? Quelli malati fisicamente forse no, ma dei lebbrosi di cui si sospetta, dei lebbrosi rifiutati, di quelli ce ne sono tanti. Anzi, dirò che qualunque categoria di persone noi sospettiamo, o abbiamo dei pregiudizi nei confronti di quelle categorie di persone, quelli oggi sono i nuovi lebbrosi. Io, molto spesso, ho condiviso la mia vita con tanti di voi, con tanti ammalati. Una volta ho portato un ammalato a teatro e mi hanno detto, “Lei non può stare in terza fila. Lei e questo signore – che viveva sulla carrozzella – dovete andare dietro”. E credo che qualche rifiuto di presenza sia capitato anche a voi sospetto malato, malato e dunque contagioso. È vero, non è vero, ci sono altre categorie che oggi hanno questo marchio. Pensate ai malati di Aids, pensate ai sieropositivi. Sono esclusi, confinati, quasi si rifiuta loro le cure. Per curarli la nostra realtà del “Buon samaritano”, la casa famiglia che (a Pescara) accoglie i malati sieropositivi con gravi complicazioni, qualche volte facciamo fatica ad avere quello che è necessario per poterli sostenere con dignità. E poi gli immigrati, un’altra categoria di persone di cui si sospetta, di cui si ha pregiudizi. Tutte le immagini che la televisione ci fa vedere sono tutte le furfanterie e le trasgressioni che fanno gli immigrati. Ma nessuno dice che in Italia vivono, ormai da parecchi anni, 8 milioni di extracomunitari che pagano le tasse e che servono per sostenere le pensioni dei nostri anziani. E poi ancora, quante critiche si sta attirando addosso Papa Francesco per aver fatto un decreto in cui dice che si può dare una benedizione a coloro che non si riconoscono nella loro realtà sessuale. Ma le esclusioni non servono, le esclusioni allontanano, le esclusioni sono quelle che creano divisione e incapacità. San Paolo, nella seconda lettura, ci ha detto una grande verità, “Non siate motivo di scandalo né ai giudei né ai greci – e badate bene che a quel tempo queste due popolazioni non si potevano vedere neanche all’interno delle stesse comunità cristiane -, né alla chiesa di Dio. Ma mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse, ma quello di molti perché giungano alla salvezza”».

Da qui la strada da percorrere: «Ecco il cammino qual è – conclude il presule -, far giungere a tutti la salvezza. Ma non possiamo avere pregiudizi, non possiamo avere esclusioni. Non possiamo confondere il peccato con il peccatore. Il peccato è da condannare, il peccatore è da salvare sempre, con “viscere” di misericordia. E allora, riprendendo l’idea iniziale che ho espresso in questa eucaristia, camminiamo verso la conversione, preghiamo per i peccatori. Maria a Lourdes ci ha raccomandato questa grande verità. Preghiamo e non escludiamo, preghiamo e intercediamo. Maria ci ha raccomandato la conversione del cuore, “Vai alla Fontana e lavati”. Ma a quella fontana possono andare tutti, così come ci dice Papa Francesco. Dio ama tutti, senza nessuna esclusione. E camminiamo allora insieme per un vero cammino di conversione, per una Chiesa più capace di non escludere nessuno, per una Chiesa più capace di accoglienza, per una fraternità sempre più efficace. Amen».

About Davide De Amicis (4384 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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