“Una Chiesa sinodale è permeabile alle voci della realtà”
"Questa nostra Assemblea - ricorda monsignor Erio Castellucci, presidente del Comitato sinodale delle Chiese in Italia - è già una prima esperienza di ricezione del Sinodo universale. Ora tocca a noi, nei prossimi mesi, adattare e tradurre gli orientamenti sinodali nella nostra situazione, nelle Chiese locali e in alcune scelte della Chiesa italiana"
Ha avuto inizio ieri pomeriggio, presso la basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, la prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia che si concluderà domani domenica 17 novembre. È questa una delle tappe della fase profetica, la quale rappresenta l’ultima fase del Cammino sinodale della Chiesa italiana, che ha richiamato nella Capitale 943 partecipanti: 4 cardinali, 170 vescovi, 4 padri abati, 238 sacerdoti, 6 diaconi, 37 religiose e religiosi, 210 laici, 274 laiche. In totale 641 uomini e 302 donne, che si confronteranno sui Lineamenti (il testo che racchiude i risultati al momento raggiunti, proponendo alcuni percorsi pratici) fino a elaborare lo Strumento di lavoro, in occasione della seconda Assemblea sinodale in programma che si svolgerà, ancora una volta a Roma, dal 31 marzo al 4 aprile 2025.
Ieri pomeriggio è stato il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi ad aprire i lavori: «Una Chiesa sinodale – esordisce il porporato – è una Chiesa permeabile alle voci della realtà. Il Signore ci chiama e ci manda, oggi, in questo mondo difficile e terribilmente sofferente, che impaurisce e sembra cancellare il futuro. Ci siamo confrontati con ingiustizie insopportabili, ad iniziare dalla guerra, alle quali non vogliamo abituarci. Non possiamo accettare che sia la logica del più forte o del più furbo a prevalere. E verrebbe da domandarci se non preghiamo troppo poco per la pace in un mondo così sconvolto dalla guerra».
Conflitti bellicosi che stanno mutando gli equilibri geopolitici: «La guerra – osserva il cardinale Zuppi -, i cambiamenti degli scenari politici, le forze occulte e i poteri di interessi economici stanno rimescolando, in maniera non facilmente prevedibile, gli assetti del mondo, tanto che si ha la sensazione di essere una barca sbattuta dai venti in un mare in tempesta. I combattimenti appaiono lontani dai nostri Paesi, ma il clima conflittuale non è lontano». Un clima, quest’ultimo, che a detta del presidente della Cei si manifesta anche nel nostro Paese sotto altre vesti: «La spietata avanzata del numero dei femminicidi -, la crescita della violenza tra i giovani, l’inasprirsi del linguaggio sempre più segnato dall’odio, i casi di antisemitismo, che non possiamo tollerare, sono come semi che da sempre il male getta nei cuori e nelle relazioni delle persone e contaminano i cuori e i linguaggi».
Da qui l’appello ad una moderazione dei toni, a partire da chi riveste ruoli pubblici: «Chi ha incarichi pubblici – ricorda il cardinale Matteo Zuppi – porta una responsabilità ancora maggiore, perché non deve avere modalità e parole violente e pericolose, dentro una logica di polarizzazione, finendo per cercare solo ciò che divide, pensando così di difendere le proprie convinzioni e considerando addirittura pericoloso amare e difendere ciò che unisce, ovvero la collaborazione indispensabile per affrontare problemi. Non dobbiamo mai smettere di lavorare con pazienza e intelligenza per l’unità del nostro Paese, certo, nella laicità e nel pluralismo delle politiche e delle opinioni, ma sfuggendo alla banalizzazione della vita, al nichilismo, all’aggressione e alla contrapposizione come modalità del parlare e del decidere».
Questo l’appello del cardinale, il quale ha spiegato come le “preoccupazioni” espresse dalla Chiesa italiana «non sono mai per dividere o alimentare contrapposizioni, ma per fortificare quel bene comune che esiste e che va perseguito e difeso. Tanto più in un tempo di cambiamento, perché vinciamo la paura della vita che paralizza e annebbia il cuore di tanti, per dare la vera sicurezza che è la comunità e l’appartenenza a questa, la voglia di aiutare e amare».
Quindi un riferimento a una delle criticità maggiori da cui l’Italia è contraddistinta: «Il nostro Paese soffre di denatalità, che ha raggiunto livelli preoccupanti – denuncia il cardinale -. Eppure, tutti sappiamo che non basta combattere la denatalità, senza una cultura della speranza nel futuro e senza preoccuparci di evitare l’emorragia di giovani dal nostro Paese e dalle aree interne. Il futuro dipende dalle politiche in favore della natalità, ma anche da politiche della casa, da politiche attive del lavoro e da autentiche politiche di integrazione dei migranti: tutti questi aspetti insieme saranno in grado di generare un’alba nuova all’orizzonte».
Infine, il porporato ha lanciato una sfida per il futuro della Chiesa in uscita dal Sinodo: «Dare carne – esorta il cardinale – alla profezia di una Chiesa desiderosa di avanzare nella storia con la forza umile del Vangelo e col fermo proposito di non abbandonare mai la compagnia degli uomini, per rinchiudersi in un groviglio di ossessioni e procedimenti».
In particolare, per il presidente dei vescovi italiani, la Chiese dev’essere più partecipativa e missionaria: «Due attributi – sottolinea Zuppi – che racchiudono tutta la sfida del lavoro di questi anni, rappresentando in un certo senso il banco di prova del cambio di passo che la sinodalità chiede alle nostre Chiese. In un tempo di crisi globale della partecipazione e di accentuato e diffuso individualismo, la profezia del Cammino sinodale mostra come verso il futuro si possa andare solo condividendo la responsabilità di un passo comune, libero da autoreferenzialità, come pure dalla paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata».
Ciò come scrive Papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «In quest’ottica – conclude il presidente della Cei -, il Giubileo è una congiuntura feconda, di grazia e di rinnovamento. Un incontro tra il messaggio e il cammino giubilare con le attese nostre e del nostro popolo, dono a un mondo che cerca luce perché avvolto dalle tenebre, una grazia alla nostra Italia assetata di speranza, ai cristiani italiani che ne hanno bisogno, ma anche a tutte le persone».
Successivamente ha preso la parola il vice presidente della Cei e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, per fare un primo bilancio di questo tempo sinodale: «Le crisi planetarie – constata monsignor Erio Castellucci – si sono intrecciate con i nostri percorsi sinodali, come delle ferite che continuano a sanguinare, e vi si sono incise. Ma tante altre crisi si sono mescolate con quella sanitaria e geopolitica, segnando profondamente il Cammino sinodale. La crescita del disagio psichico in particolare fra minorenni; l’aumento delle catastrofi naturali; l’accentuata criminalizzazione del fenomeno migratorio; la silenziosa conversione dell’economia in economia di guerra; femminicidi e omicidi familiari ripetuti; sistema carcerario gravemente inadeguato; accentuazione delle diseguaglianze; crollo della partecipazione al voto».
Questioni che hanno via via permeato il confronto sinodale: «L’ingresso di queste e altre crisi nei lavori sinodali e nelle sintesi finali di ogni anno – osserva il presule – è la conferma che le nostre comunità cristiane non stanno sorvolando la storia, come mongolfiere che evitano gli ostacoli e le asperità del terreno, ma la stanno attraversando a piedi, facendo compagnia all’umanità del nostro tempo e cercando così di imitare Gesù, che annunciava il regno camminando sui polverosi sentieri umani».
Quindi l’arcivescovo Castellucci ha compiuto un’analisi più approfondita dei lavori sinodali delle Chiese italiane: «Conversione comunitaria, conversione personale, conversione strutturale – elenca -. Sono queste le tre direttive emerse nel percorso del Cammino sinodale, le condizioni di possibilità per comunità più evangeliche e missionarie. L’ampia gamma delle esperienze registrate in questo triennio, mostra la praticabilità di questo metodo missionario, definito fin dal secondo anno del Cammino “missione nello stile della prossimità”; un metodo che è quello conciliare. La comunità cristiana si nutre di gesti quotidiani e spesso nascosti, che hanno a che vedere più con le relazioni che con l’organizzazione, più con l’ascolto e l’accoglienza che con gli eventi di massa. Una comunità cristiana – è emerso chiaramente nelle sintesi di questi anni – è tanto più fedele alla logica del Regno inaugurato da Gesù, quanto più è capace, come Lui, di incontri non programmati, ascolto delle sofferenze e dei sogni, affiancamento a chi cerca un senso alla vita».
Da qui la tesi del presidente del Comitato sinodale delle Chiese in Italia: «La missione diventa cultura – rilancia monsignor Castellucci – quando un’esperienza si presenta ragionevole e praticabile anche per gli altri, lasciando sempre aperta a tutto il popolo di Dio, nell’ampiezza delle sue componenti, la possibilità di intervenire ed esercitare il senso di fede proprio dell’intera famiglia dei battezzati. La profezia sinodale non è appannaggio di singoli, ma caratteristica dell’intero popolo di Dio. Questa nostra Assemblea è già una prima esperienza di ricezione del Sinodo universale. Ora tocca a noi, nei prossimi mesi, adattare e tradurre gli orientamenti sinodali nella nostra situazione, nelle Chiese locali e in alcune scelte della Chiesa italiana».
Rispondi