Centro missionario diocesano: “Una finestra sul mondo, ma non smetteremo di uscire”
"La cosa più bella che un missionario può donare - spiega Padre Daniele Moschetti - è la propria testimonianza di vita e di fede, perché è soltanto questa che poi davvero diventa incarnata nella storia di oggi. Non è quanti soldi abbiamo raccolto, oppure quante azioni abbiamo fatto, ma quanta trasformazione con la nostra testimonianza cristiana, in questo caso tutti perché siamo tutti missionari, ritorna sul territorio, ritorna sulle nostre comunità, nelle nostre famiglie e nelle nostre scelte in un contesto così difficile come quello di oggi"

Lo scorso sabato 8 marzo una grande partecipazione ha fatto da cornice all’inaugurazione della nuova sede del Centro missionario diocesano, ubicato in tre locali posti al primo piano del centro pastorale della chiesa del Gesù Bambino in via dell’Emigrante a Pescara. Una collocazione finalmente definitiva per l’organismo pastorale diocesano, che negli anni scorsi ha dovuto lasciare la prima sede di via Bardet (in seguito alla vendita del palazzo che lo ospitava) svolgendo per anni le proprie attività in parrocchie diverse.

Ma ora, invece, anche grazie alla presenza di tre suore missionarie della Dottrina cristiana (congregazione di diritto pontificio fondata a L’Aquila) che vivono stabilmente presso la chiesa del Gesù Bambino, il Centro missionario diocesano ha trovato una sede permanente e animata: «Ho avuto l’idea – premette monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne – che questo luogo potesse essere non tanto una parrocchia nel senso classico del termine (pur restandola dal punto di vista giuridico), il cui concetto classico ha fatto il suo tempo vista la necessità di trovare nuove forme di cammino e di evangelizzazione, ma un luogo di accoglienza per attività ad extra di carattere missionario. Io devo solo ringraziare il Signore, per le meraviglie d’amore che continua a operare, per la bellezza che sta spargendo dentro questa storia, e soprattutto ringraziare le suore che si sono rese disponibili, ma anche i tanti laici e le tante associazioni missionarie che, insieme con Goffredo e Tiziana Leonardis (che sono responsabili dell’ufficio missionario regionale) convergono dentro questa realtà. Il Signore opera meraviglie di grazia e soprattutto in questo momento, in cui la disparità sociale, culturale e di attenzione nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, dove annunciare il Vangelo significa anche prendersi cura della realtà dove si vive, riguardo la promozione umana, l’educazione e tutte le dimensioni più belle dello sviluppo umano integrale e di salvaguardia del creato, perché particolarmente in queste zone queste dimensioni sono messe più a rischio e sono più trascurate. Abbiamo impiegato quasi 10 mesi per realizzare questo centro missionario, che ora finalmente è aperto. Affidiamo tutto alla Vergine Maria, regina delle missioni».

Sono stati poi i responsabili dell’Ufficio missionario delle Chiese d’Abruzzo e Molise Goffredo e Tiziana Leonardis, da sempre missionari e animatori del Centro missionario diocesano, a porgere il loro messaggio di saluto: «Devo dire che sono un po’ emozionato – afferma Goffredo -, non perché sono segretario regionale, ma perché appartengo al Centro missionario diocesano di Pescara e questa cosa mi emoziona tantissimo. Porto il saluto di monsignor Antonio D’Angelo, vescovo delegato della Conferenza episcopale abruzzese e molisana alle missioni. Con lui stiamo lavorando perché ci sia un buon proseguimento e anche, in un certo senso, una rinascita della vita missionaria nella nostra regione ecclesiastica. Questo centro missionario – aggiunge Tiziana – è un segno di quello che la Chiesa d’Abruzzo e Molise sta facendo, cioè di quanto ha a cuore ha le missioni e di quanto, almeno nell’intenzione e nel desiderio, c’è la voglia di lavorare per la missione».

Quindi un emozionato direttore dell’Ufficio missionario dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne, don Massimo Di Lullo, ha espresso la sua riconoscenza per questo nuova ubicazione del Centro missionario diocesano: «Grazie sicuramente all’arcivescovo – sottolinea il presbitero -, che ci ha sempre accompagnato in questi anni e ha pensato e trovato questa nuova sede per noi, al parroco don Ezio Di Pietropaolo che si è detto subito felice di questa scelta quando gliel’abbiamo proposta. Un grazie sicuramente a voi, che siete qui oggi a condividere questa gioia insieme a noi. E un altro grazie devo dirlo a tutti i membri del centro missionario, perché in questi anni sono sempre dati da fare nonostante abbiano già tanti incarichi in parrocchia, oltre a quelli familiari. Ma soprattutto in questi giorni, l’arcivescovo ne è testimone, hanno lavorato tantissimo perché delle normali sale di catechismo, diventassero delle bellissime e accoglienti finestre sul mondo. Adesso il compito più grande sarà nostro, quello di rendere queste stanze un luogo di incontro per tutti coloro che vogliono interrogarsi su questo tempo particolare, per leggere insieme i segni dei tempi che lo Spirito ci sta indicando. Tutto questo senza dimenticare quello che abbiamo imparato in questi anni di “girovagaggio”. Ogni volta che ci incontravamo, la prima domanda era “Dove ci vediamo la settimana prossima?” Abbiamo imparato che è bellissimo uscire, perché solo uscendo incontri le persone. Ma avere un centro è importante, è comodo, però non dobbiamo smettere di uscire. Se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni è che essere missionario non dipende da dove sei, da dove vivi, ma da quanto apri il cuore».

Infine è stato il missionario comboniano Padre Daniele Moschetti, da anni vicino alla realtà del Centro missionario diocesano di Pescara-Penne e attualmente in missione a Castel Volturno (Caserta) – in una parrocchia vissuta principalmente da migranti – a tenere una riflessione sul tema “Missione, speranza per il futuro”: «Grazie a tutti – afferma il missionario -, perché se siamo qui è perché davvero vogliamo bene alla missione, vogliamo bene a Gesù Cristo e vogliamo bene ai missionari. Quello che è importante, come ha detto esattamente don Massimo, è imparare ad essere missionari ovunque. Oggi la missione è in Italia e mi fa piacere che monsignor Valentinetti abbia detto che bisogna trovare nuove strade di pastorale, di vicinanza, di accoglienza, di attenzione agli ultimi, come Papa Francesco continua a dirci. La parrocchia, la Chiesa in uscita, non è soltanto la struttura, ma sono le persone, siamo noi. Questa è la cosa più bella. Dobbiamo imparare un po’ da quello che è essere cristiani. Io lo dico sempre a tutti i vescovi che la missione è trasversale a tutto ciò che c’è in diocesi. Dalla liturgia, al catechismo, alla dimensione giovanile, ci sono tutte queste situazioni che noi conosciamo nelle nostre diocesi, che a volte però non considerano veramente quello che è la missione. La missione non è soltanto andare a fare dei progetti, ma è uno stile di vita, è uno stile di pensiero e un’apertura di cuore. Questa è la cosa fondamentale della missione oggi. Vedo che alcune diocesi usano ancora la missione come raccolta soldi che è importante, ci mancherebbe, nessuno dice no. Però, oggi come oggi, il mondo è diventato talmente “vicino – usando cose e incontrando persone che arrivano da altri continenti – che dobbiamo anche essere capaci davvero di accogliere la dimensione missionaria e soprattutto la testimonianza. Non mi stancherò mai di dirlo… Per me la cosa più bella che un missionario può donare è la propria testimonianza di vita e di fede, perché è soltanto questa che poi davvero diventa incarnata nella storia di oggi. Non è quanti soldi abbiamo raccolto, oppure quante azioni abbiamo fatto, ma quanta trasformazione con la nostra testimonianza cristiana, in questo caso tutti perché siamo tutti missionari, ritorna sul territorio, ritorna sulle nostre comunità, nelle nostre famiglie e nelle nostre scelte in un contesto così difficile come quello di oggi».

A tal proposito, padre Moschetti ha citato l’esempio dei migranti: «In questo ambito – osserva – stiamo andando indietro di vent’anni. Sono cose disumane quelle che stanno accadendo, con decreti e leggi che stanno veramente disumanizzando i nostri migranti in Italia, in Europa e nel mondo. E noi siamo figli di migranti, giusto? Anche questa terra dell’Abruzzo e del Molise ha dato migliaia e migliaia di migranti. Se perdiamo la memoria storica di chi siamo stati, abbiamo perso le nostre radici e quando perdiamo le nostre radici, perdiamo quello che davvero è la svolta più importante. Noi veniamo da una formazione cristiana, però quando facciamo delle scelte che sono disumane nei confronti di altri uomini e donne, anche se non sono cristiani, questo è davvero un peccato grande davanti a Dio e davanti all’umanità. Abbiamo visto il diverbio tra Zelensky e Trump. Questo è stato un avvenimento storico, che cambia completamente quella che è la diplomazia. Questo atteggiamento arrogante di essere il padrone della terra, o padrone di quella terra, è un qualcosa che sta avvenendo pian piano sempre di più. Non soltanto per Trump, ma per tanti altri leader. Guardiamo Putin o altri che stanno facendo le stesse cose come colonialisti di una terra del passato, ma che ancora oggi continuano a controllare certe parti del mondo. E allora capiamo che forse c’è qualcosa che non funziona. Se i migranti vengono, ci sono delle cause. E io devo dire che abbiamo storie veramente difficilissime, anche a Castel Volturno, che però ci danno un senso profondo di un’umanità ferita, che davvero soffre, ma che ha bisogno veramente di speranza e di futuro».

Da qui l’auspicio del missionario comboniano: «Il tema che don Massimo mi ha dato è, appunto, “Missione, speranza per il futuro” – riflette Padre Daniele Moschetti -. Io direi speranza per il presente, perché il futuro è ancora lontano. Il presente è qui, lo possiamo costruire insieme oggi. È questa la cosa più bella, l’essere capaci di farlo insieme come comunità cristiana. La Chiesa ha una potenzialità enorme. Se vivessimo profondamente i colori del Vangelo, certamente anche la nostra Italia sarebbe molto, molto diversa. Stiamo perdendo questo bellissimo afflato che viene da quello che abbiamo appena iniziato, la Quaresma. È un momento fondamentale per noi, per tornare a fermarci un attimo e recuperare la nostra anima che abbiamo perso un po’ dietro, perché abbiamo tante cose da fare. Allora, fermiamoci un attimo e facciamo recuperare quest’anima, questo spirito che è dentro di noi. E allora, pian piano, recuperiamo quello che dice Gesù in questo tempo, la bellissima parola di Dio di questo tempo. Perché la Quaresima chiede anche la conversione».