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“Via le divisioni: siamo la famiglia diocesana, della Chiesa, del Signore!”

"Io - afferma monsignor Valentinetti - ho fatto tutto quello che era possibile fare. Adesso, se ci sono rimaste delle cose da fare e sono in fieri, le faremo. Sicuramente devo ringraziare il Signore, che mi ha dato la forza di poterle fare fino adesso, e ringraziare soprattutto i miei collaboratori. Perché senza una squadra ben formata e ben consolidata, è impossibile fare tutte le cose che abbiamo fatto. Per cui ringrazio veramente il Signore che mi ha dato la forza, la sapienza e la bontà anche a tante persone che mi hanno aiutato e mi sostengono in questo cammino. Soprattutto ringrazio i sacerdoti che, molto spesso, sono stati molto docili a quest'azione pastorale, qualche volta un po' con fatica, ma sicuramente molto attenti a un cammino di Chiesa che si sta portando avanti"

È l’auspicio dell’arcivescovo Valentinetti emerso nell’intervista rilasciata, a Radio Speranza InBlu e La Porzione.it, in occasione dei suoi 25 anni di episcopato

Monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne

20 maggio 2000-20 maggio 2025. Oggi l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti celebra i suoi 25 anni di ordinazione episcopale, avvenuta all’epoca ad opera dell’allora cardinale vicario della Diocesi di Roma Camillo Ruini, mentre lo scorso 25 marzo aveva già celebrato l’anniversario della nomina a vescovo di Termoli-Larino voluta dall’allora Papa Giovanni Paolo II.

Un quarto di secolo trascorso dapprima da vescovo, con i primi cinque anni trascorsi alla guida della Chiesa di Termoli-Larino, e i successivi 20 anni vissuti da arcivescovo metropolita alla guida della Chiesa di Pescara-Penne.

Un tempo lungo e intenso di guida pastorale che monsignor Tommaso Valentinetti celebrerà inizialmente questa sera, alle 19, con la santa messa solenne che presiederà nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara e poi ancora venerdì 23 maggio, con il Gran Concerto “Laudate Dominum” che – nella chiesa della Visitazione della Beata Vergine Maria a Pescara alle 21 – ripercorrerà questi 25 anni di episcopato attraverso musica, immagini e video alla presenza di tutti coloro che vorranno intervenire. Entrambi gli eventi verranno trasmessi in diretta da Radio Speranza InBlu sugli 87.60 Fm, in streaming web e in Abruzzo sulle radio Dab.

Anche Radio Speranza InBlu e La Porzione.it vogliono celebrare l’importante anniversario episcopale, rilanciando l’intervista che l’arcivescovo di Pescara-Penne ci ha concesso proprio per rivivere emozioni, suggestioni ed eventi di questo lungo episcopato.   

Eccellenza, lei 25 anni fa era vicario generale della sua diocesi nativa di Lanciano-Ortona. È stato poi nominato vescovo il 25 marzo dall’allora Papa Giovanni Paolo II. Da presbitero di provincia qual’era, si aspettava questa nomina?

«Sinceramente no, anche perché non era nei miei progetti e non era nemmeno nei progetti di chi era il mio superiore in quel tempo, l’arcivescovo di Lanciano Ortona, monsignor Enzio D’Antonio. Quando fui nominato vicario generale, ci fu un accordo abbastanza tacito tra noi in cui lui mi disse che sinceramente, essendo l’episcopato un peso abbastanza importante e gravoso, non avrebbe mai fatto questa proposta proprio per risparmiarmi le fatiche di un cammino abbastanza complesso, per cui non era nelle mie previsioni».

Eppure è avvenuto e poi in occasione della sua successiva ordinazione episcopale in quel 20 maggio del 2000, ad opera dell’allora cardinal vicario della diocesi di Roma Camillo Ruini e poi concelebrata proprio dai co-consacranti monsignor Enzio D’Antonio e monsignor Armando Dini, rispettivamente arcivescovo appunto di Lanciano Ortona e Campobasso-Bojano, lei scelse un motto episcopale tanto semplice nella definizione quanto difficilissimo da applicare: “In verbo Domini”: ovvero “Nella parola di Dio”. È riuscito ad esservi costantemente fedele?

«Sicuramente era un motto che proveniva dalla mia storia, avendo fatto gli studi biblici, mi sembrava corretto affidare tutto il mio progetto pastorale proprio alla lettura della Parola di Dio e alla riflessione sulla Parola di Dio. In questi anni sono stato abbastanza fedele a questo mandato che mi ero dato, sia con le lectio divina che avevo promosso nella Diocesi di Termoli e anche nella Diocesi di Pescara-Penne, sia con i corsi biblici che abbiamo tenuto anche qui a Pescara per svariati anni. E sicuramente sempre il riferimento alla Parola, in quanto credo che sia la cosa più importante per quanto riguarda l’omiletica e per quanto riguarda anche le piccole trasmissioni che facciamo per la domenica, perché sempre la parola di Dio sia al centro della vita, sia al centro delle comunità».

Dopo la sua ordinazione episcopale, il suo primo incarico fu quello proprio della guida della diocesi di Termoli-Larino, che lei ha portato avanti nei suoi primi cinque anni di episcopato. Come furono quegli anni che, tra le altre cose, l’hanno fatta conoscere in realtà in Italia e nel mondo perché lei, purtroppo, suo malgrado, si trovò, come ha ricordato più volte, a dover presiedere i funerali dei “27 angeli di San Giuliano di Puglia”: i bambini che, il 31 ottobre del 2002, perirono sotto il crollo della loro scuola dopo quella scossa magnitudo 5.7. Che anni furono quelli?

«I primi due anni sono stati abbastanza tranquilli, sereni, nei quali ho ripreso in mano un lavoro che il mio predecessore aveva portato avanti, cioè il Sinodo diocesano, e avevamo sicuramente avuto la possibilità di riapprofondire tutti i temi riguardanti la pastorale e la vita della diocesi. Quando poi nel 2002, purtroppo, ci fu questo evento e tante chiese caddero, le situazioni difficili dei paesi, della realtà investita dal terremoto ci interpellava in maniera costante, e allora a quel punto la mia azione – insieme con i miei collaboratori, con i sacerdoti – dovette necessariamente cambiare, divenendo più di sostegno, di presenza, di aiuto a quelle comunità che in quel momento si trovavano in difficoltà. Fu un aiuto a cui fu presente molto la Caritas italiana e soprattutto anche le Caritas della regione ecclesiastica Abruzzo-Molise, che si fecero presenti e ci aiutarono tantissimo in quella circostanza. È stata un’esperienza di comunione ed è stata un’esperienza anche molto, molto bella».

Un impegno forte, così come lo fu altrettanto quello per la promozione della pace. Nel settembre 2002 il Consiglio episcopale permanente della Cei l’ha nominata presidente per l’Italia del movimento internazionale pacifista cattolico Pax Christi. Un incarico, che due predecessori addietro fu anche di monsignor Tonino Bello, il quale peraltro lei ha portato avanti fino al 2009 dopo che le venne anche rinnovato. Un impegno con il quale, attraverso le edizioni della Marcia per la pace partecipate da migliaia di persone, lei si è distinto anche una volta giunto a Pescara. Da cosa nacque questo suo impegno così forte?

L’arcivescovo Valentinetti negli studi di Radio Speranza

«È nato dalla conoscenza del mio predecessore in Pax Christi, Monsignor Bona, che conosceva un sacerdote di Termoli, per cui fece lui il mio nome alla Commissione episcopale permanente la quale non ebbe nessuna difficoltà nell’accettare questa proposta. Per cui cominciò questo impegno, che sicuramente mi ha dato anche molta carica e molto impegno nella vita della diocesi, prima di tutto perché poi una bella Marcia per la pace ci fu a Termoli l’anno successivo al terremoto nel 2003. Poi quando veni qui a Pescara, gli stessi sacerdoti della diocesi mi invitarono a iniziare proprio il cammino, soprattutto con i giovani, con una manifestazione per la pace alla fine di gennaio del 2006, dopo che io ero entrato in diocesi nel 2005. Sicuramente quello è stato un momento di partenza molto bello e significativo, un primo momento di grande riunione della comunità cittadina e della comunità diocesana. Vennero molte parrocchie anche da fuori città, che si unirono insieme per questo momento così bello e fondamentale».

Una lotta, la sua, anche per il disarmo quando questa parola non era così presente nel vocabolario della gerarchia ecclesiastica nazionale e internazionale…

«No, la parola “disarmo” era stata già usata tante volte da San Paolo VI. L’idea che purtroppo le guerre si combattono proprio perché c’è una corsa agli armamenti e soprattutto, perché c’è una corsa alla sperimentazione degli armamenti è un fatto piuttosto antico nella vita della Chiesa. Diciamo che il primo documento della Chiesa su questo argomento è la “Populorum progressio”, quando San Paolo VI dice che “la via nuova dello sviluppo è la pace”, perché senza la pace sicuramente lo sviluppo dei popoli è compromesso. E certamente questo un fatto molto significativo e da tenere presente. D’altra parte, Papa Francesco lo ha ribadito molte volte e capisco anche che Papa Leone ci sta mettendo già attenzione».

Il 4 novembre 2005 Papa Benedetto XVI l’ha nominata arcivescovo metropolita di Pescara-Penne, di cui prenderà possesso il 17 dicembre successivo. Come visse questo passaggio determinante del suo percorso episcopale, che poi l’ha portata qui nei successivi vent’anni?

«Io l’ho vissuto come un atto di obbedienza. Ho fatto presente al nunzio apostolico, che mi faceva la proposta, che io ero a Termoli solo 5 anni e forse quella diocesi meritava un tempo maggiore di presenza episcopale, ma il nunzio mi fece notare come il mio doveva essere un atto di obbedienza. E siccome io, nella mia vita, ho sempre obbedito, l’ho fatto anche quella volta. Per cui mi sono ritrovato qui a Pescara, nominato il 4 novembre e poi con la presa di possesso il 17 dicembre del 2005. Ma ripeto fu un atto di obbedienza al Papa e alla gerarchia della Chiesa, che certamente chiedeva un impegno abbastanza importante per questa diocesi che aveva qualche problematica, ma aveva soprattutto bisogno di un rilancio pastorale».

Dopo circa tre anni dal suo insediamento, il 15 agosto del 2008, nell’ambito di un pellegrinaggio a Lourdes che avvenne proprio in occasione della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, lei scrisse quello che è stato il suo unico documento pastorale, guida del suo mandato episcopale qui a Pescara, dal titolo “Lineamenti di vita pastorale”. Un documento nel quale, con 13 anni di anticipo rispetto a quanto poi sarebbe avvenuto con Papa Francesco, prefigura una Chiesa sinodale che “cammina insieme, vescovo, presbiteri, diaconi, religiosi e laici per annunziare il regno in un mondo che cambia”. Si è reso conto di essere stato un precursore, probabilmente anche inascoltato nei primi tempi? Cosa ha compreso prima degli altri?

«No, in realtà di queste idee si parlava abbondantemente all’interno delle comunità ecclesiali e si parlava anche tra noi vescovi, per cui io non ho fatto altro che esplicitare un desiderio e un’attenzione che veniva fuori dal cammino della vita della Chiesa. Poi ci è voluto sicuramente un po’ di tempo in più perché Papa Francesco lo mettesse per iscritto e lo realizzasse in maniera piuttosto articolata e lo chiedesse anche alle diocesi italiane, nel 2015, nel famoso Convegno di Firenze. Quindi in realtà non è che sono andato molto in anticipo, perché tutto era nell’aria. E poi, se si era “assorbito” bene il documento conclusivo del Sinodo dei vescovi “Evangelii Gaudium”, lì c’erano tutti i presupposti per poter dire che in realtà la Chiesa aveva bisogno di un cammino sinodale. La mia ispirazione è stata senz’altro quella».

È stato comunque tra i primi a metterlo in pratica questo cammino?

«Più che a mettere in pratica, ad auspicare un cammino sinodale che sicuramente non è molto facile, non è molto semplice».

E poi dal 2011 al 2016 è stato anche presidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana, dopo esserne stato anche vicepresidente. In quegli anni ricordiamo, in particolare, la sua battaglia per la salvaguardia del creato che ha portato avanti per tutto il suo episcopato e ricordiamo, tra le altre cose, anche la battaglia positiva – che poi si è affermata anche con un successo – contro l’espansione del Centro oli di Ortona all’epoca. Insomma lei raccontava i dialoghi con i vertici di quella società, i quali paventavano il rischio di un impoverimento del territorio senza quell’ampliamento, ai quali lei rispose audacemente dicendo che sarebbe stato meglio essere più poveri pur di salvaguardare il creato. È stato questo un impegno fortissimo che, da allora, l’ha visto sempre più determinato?

«La cosa è abbastanza semplice. Quando Papa Francesco poi pubblicò la “Laudato si”, ci trovammo perfettamente in accordo con quanto il Santo Padre aveva prefigurato, con questo ecologismo integrale di cui lui ha sempre parlato. Noi fumo interpellati da varie situazioni di fronte a quel problema, anche i vari cittadini che abitavano in quelle località ci presentarono le loro istanze, i loro problemi di fronte a una scelta di questo genere. E direi che, più che personalmente, la Conferenza episcopale regionale reagì in maniera molto positiva di fronte a questa problematica e oppose una chiara visione di salvaguardia del creato e, soprattutto, una visione di salvaguardia di colture che altrimenti sarebbero andate perdute. Questo ci ha consolato quando, in realtà, la cosa è svanita nel nulla».

Un altro impegno assunto con vigore è stato quello dell’invito alla responsabilizzazione della classe politica e amministrativa, ma soprattutto del suo rinnovamento in favore dei più giovani. Lei ripete spesso che, in fin dei conti, “l’unico obiettivo dei politici è la rielezione”. È davvero una sfida senza speranza quella della formazione della classe politica?

No, io spero che prima o poi ci sia un sussulto di dignità e un sussulto di attenzione, ma che soprattutto si ritorni alla formazione che prima avevano le scuole di partito, dove c’era una formazione politica seria. Mi ricordo la formazione della scuola della Democrazia cristiana e anche la scuola del Partito comunista, perché le idee politiche si confrontassero e si rispettassero soprattutto, ma fossero sicuramente messe in atto da coloro che dovevano poi pensare al bene comune, più che pensare alla propria rieleggibilità. Ma, d’altra parte, i tempi sono molto cambiati e la dimostrazione è che purtroppo abbiamo un disinteresse per l’azione politica e l’azione amministrativa, perché molti non vanno più a votare e questo non è sicuramente un dato positivo».

Durante il suo episcopato pescarese ha concepito e avviato numerose opere segno, su tutto il Centro docce e la Cittadella dell’accoglienza “Giovanni Paolo II” che, nel 2010 in via Alento, sostituì l’ormai troppo piccola e inadatta mensa di Via Bardet. Poi, nello stesso anno, ci fu l’inaugurazione dell’Emporio della solidarietà in via Rubicone e poi ancora, nel 2017, l’apertura della Casa della solidarietà “Madre Teresa di Calcutta” a Montesilvano. Il tutto sotto la gestione della Caritas diocesana. L’impegno a favore degli ultimi è stato un altro pilastro del suo mandato e del suo episcopato: da dove nasce questo impegno verso l’ambito sociale?

«Nasce soprattutto dalla presenza di molti credenti, che sono molto solidali con i più poveri, i più semplici, i più deboli, che hanno spronato soprattutto la Caritas diocesana e la Fondazione Caritas a mettere in atto alcune iniziative, così come quelle che hai citato poco fa. E questa è una risposta soprattutto a un bisogno che la città di Pescara sente anche perché, come ho detto più volte, nella città di Pescara si radunano e confluiscono sempre più molte persone che vengono da fuori, che non sono solo pescaresi, per cui la risposta che dobbiamo dare, dev’essere adeguata alle necessità e alle realtà».

È stato notevole il suo impegno anche in favore della comunicazione e della cultura. Nel 2010, su suo impulso e dell’Ufficio Comunicazioni Sociali di don Simone Chiappetta, è nato il notiziario online “LaPorzione.it” che ancora adesso ha, se vogliamo, una leadership a livello di Conferenza episcopale regionale nella comunicazione ecclesiastica. E poi nel 2020 ha rilanciato anche la nostra emittente radiofonica diocesana Radio Speranza InBlu affidandole, in comodato d’uso gratuito, il primo piano della Curia diocesana, i cui studi vennero inaugurati il 10 ottobre di quell’anno dal segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin. E poi nel 2017, al secondo piano della Curia, ha inaugurato la Biblioteca diocesana “Carlo Maria Martini” che è ancora tra le pochissime biblioteche aperte al pubblico, supplendo alle carenze delle biblioteche pubbliche. Una grande sensibilità, anch’essa mossa da un grande impegno…

È un lavoro, diciamo così, diuturno, svolto secondo le necessità. Il bisogno di una comunicazione che sia sempre molto rispettosa e molto oggettiva e che guardasse un po’ di più la realtà, più che al si dice o al si pensi, era necessario. Per cui il quotidiano online, sicuramente, è stata una scelta importante da quel punto di vista, a cui si è aggiunto poi anche l’emittente radiofonica che era un po’ in decadenza, ma che è stata rivitalizzata e quindi che riesce a raggiungere oggi molte persone. So che è anche abbastanza ascoltata nelle sue trasmissioni, sia quelle prodotte dall’emittente locale, sia nei suoi collegamenti con Radio InBlu, sia in quelli con Radio Vaticana. La Biblioteca è nata come risposta alla necessità dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Giuseppe Toniolo”, che aveva bisogno di una biblioteca aperta al pubblico. Ma la meraviglia è stata che mentre noi l’avevamo aperta al pubblico per gli alunni, per gli studenti dell’Istituto, invece si è trasformata in un centro culturale dove presentiamo libri e dove ci sono anche molti universitari che vengono a studiare. Questo ci fa molto piacere, perché possiamo aprire degli spazi culturali anche magari a chi è un po’ più lontano dalla fede».

Nel suo percorso episcopale, durante le sue omilie, ripete spesso che “chi opera nella verità e nel Vangelo va incontro a contraddizioni e persecuzioni”. Essendo lei un uomo di Vangelo, non le chiedo se ne è stato vittima, ma piuttosto come ha fatto a superare le contraddizioni e le persecuzioni della sua vita e, soprattutto, se è riuscito a perdonare chi le ha fatto del male?

«È difficile capire chi ti fa del male, perché molto spesso chi lo fa si nasconde e quindi è difficile capirlo. Io ho sempre detto che non ho rancore nei confronti di nessuno. Certamente le contraddizioni fanno parte del cammino della fede e fanno parte del cammino dell’impegno pastorale. Non tutti possono essere d’accordo con le scelte che vengono fatte. Poi, già in un’altra intervista, ho ripetuto che tutti quanti abbiamo due popoli: uno che ci dice bene e uno che ci dice male. L’importante è l’onestà, perché il mio unico rammarico è che le piccole-grandi contraddizioni che ho attraversato, molte volte, si sono fondate sulla menzogna, sulla bugia, sulla non verità. Ma questa è la croce che dobbiamo portare. Molte volte anche Gesù è stato messo in croce sulla menzogna e sulla non verità. Questa è una consolazione importante».

In questi suoi 25 anni di episcopato, lei ha aperto e riaperto al culto chiese, ha aperto porte sante come quelle dell’Anno santo straordinario della misericordia nel 2016, ha inaugurato opere segno e altre ne inaugurerà o riaprirà prossimamente in questi due anni di episcopato che rimangono, magari forse anche più in base a quanto potrà decidere Papa Leone XIV, chissà, noi ce lo auguriamo e le vogliamo bene, ma volendo fare un primo bilancio del suo operato, è soddisfatto o ha dei rimpianti? Cos’altro vorrebbe fare?

«Io ho fatto tutto quello che era possibile fare. Adesso, se ci sono rimaste delle cose da fare e sono in fieri, le faremo. Sicuramente devo ringraziare il Signore, che mi ha dato la forza di poterle fare fino adesso, e ringraziare soprattutto i miei collaboratori. Perché senza una squadra ben formata e ben consolidata, è impossibile fare tutte le cose che hai citato durante questa intervista. Per cui ringrazio veramente il Signore che mi ha dato la forza, la sapienza e la bontà anche a tante persone che mi hanno aiutato e mi sostengono in questo cammino. Soprattutto ringrazio i sacerdoti che, molto spesso, sono stati molto docili a quest’azione pastorale, qualche volta un po’ con fatica, ma sicuramente molto attenti a un cammino di Chiesa che si sta portando avanti».

Per chiudere c’è un impegno, un invito, un messaggio che vuole affidare al popolo di Dio della Chiesa di Pescara-Penne per questo suo percorso?

«L’unico desiderio che ho è che si stabilisca sempre più un’unità tra parrocchie, associazioni e movimenti, perché quello che ha detto Papa Leone – la scorsa domenica nell’omelia della messa di inizio Pontificato -, “che la Chiesa sia una e in Lui possa essere una”, secondo il suo motto pontificale, si realizzi anche per la nostra Chiesa diocesana. Perché solo se siamo uno, possiamo essere seme e sale della terra. Via quindi gli spocchiosi campanilismi, via le divisioni, via le supremazie di pensiero, via tutto questo! Che siamo veramente una famiglia, la famiglia diocesana, la famiglia della Chiesa, la famiglia del Signore».

About Davide De Amicis (4673 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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