“Serve discernimento per rinnovare la Chiesa nell’annuncio del Vangelo”
"Impegniamoci - invita Papa Leone - a fare delle nostre diversità un laboratorio di unità e di comunione, di fraternità e di riconciliazione perché ciascuno nella Chiesa, con la propria storia personale, impari a camminare insieme agli altri"

C’era anche l’arcivescovo di L’Aquila monsignor Antonio D’Angelo tra i 54 presuli che stamani, nella basilica di San Pietro, hanno ricevuto altrettanti palli (strisce di lana sulle quali figurano sei croci in rappresentanza delle ferite di Cristo), loro imposti sulle spalle da Papa Leone XIV in segno di comunione. Una cerimonia, quella ripristinata oggi da Papa Prevost dopo che il suo predecessore nel 2015 aveva deciso semplicemente di benedire i palli – successivamente consegnati dai nunzi apostolici nelle singole diocesi, che come da tradizione avviene nel giorno della solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli: «Cari fratelli e sorelle – afferma il Santo Padre nell’omelia -, oggi festeggiamo due fratelli nella fede, Pietro e Paolo, che riconosciamo come pilastri della Chiesa e veneriamo come patroni della diocesi e della città di Roma. La storia di questi due Apostoli interpella da vicino anche noi, Comunità dei discepoli del Signore pellegrina in questo nostro tempo».

Così, guardando alla testimonianza di questi due martiri della fede, il Sommo Pontefice ne ha sottolineato due aspetti: «La comunione ecclesiale e la vitalità della fede – osserva Papa Leone -. Anzitutto, la comunione ecclesiale. La liturgia di questa Solennità, infatti, ci fa vedere come Pietro e Paolo sono stati chiamati a vivere un unico destino, quello del martirio, che li ha associati definitivamente a Cristo. Nella prima Lettura troviamo Pietro che, in prigione, attende che sia eseguita la sentenza (cfr At 12,1-11); nella seconda, l’apostolo Paolo, anch’egli in catene, in una sorta di testamento afferma che il suo sangue sta per essere sparso e offerto a Dio (cfr 2Tm 4,6-8.17-18). Sia Pietro che Paolo, dunque, donano la loro vita per la causa del Vangelo. Tuttavia, questa comunione nell’unica confessione della fede non è una conquista pacifica. I due Apostoli la raggiungono come un traguardo a cui approdano dopo un lungo cammino, nel quale ciascuno ha abbracciato la fede e ha vissuto l’apostolato in modo diverso. La loro fraternità nello Spirito non cancella le diversità dalle quali sono partiti: Simone era un pescatore di Galilea, Saulo invece un rigoroso intellettuale appartenente al partito dei farisei; il primo lascia subito tutto per seguire il Signore; il secondo perseguita i cristiani finché viene trasformato da Cristo Risorto; Pietro predica soprattutto ai Giudei; Paolo è spinto a portare la Buona Notizia alle genti. Tra i due, come sappiamo, non mancarono conflitti a proposito del rapporto con i pagani, al punto che Paolo afferma: “Quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto” (Gal 2,11). E di tale questione, come sappiamo, si occuperà il Concilio di Gerusalemme, nel quale i due Apostoli si confronteranno ancora».
Da qui l’insegnamento che ne deriva a noi oggi: «Carissimi – denota il Papa -, la storia di Pietro e Paolo ci insegna che la comunione a cui il Signore ci chiama è un’armonia di voci e di volti e non cancella la libertà di ognuno. I nostri Patroni hanno percorso sentieri diversi, hanno avuto idee differenti, a volte si sono confrontati e scontrati con franchezza evangelica. Eppure ciò non ha impedito loro di vivere la concordia apostolorum, cioè una viva comunione nello Spirito, una feconda sintonia nella diversità. Come afferma Sant’Agostino, “un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola” (Discorso 295, 7.7). Tutto questo ci interroga sul cammino della comunione ecclesiale. Essa nasce dall’impulso dello Spirito, unisce le diversità e crea ponti di unità nella varietà dei carismi, dei doni e dei ministeri. È importante imparare a vivere così la comunione, come unità nella diversità, perché la varietà dei doni, raccordata nella confessione dell’unica fede, contribuisca all’annuncio del Vangelo. Su questa strada siamo chiamati a camminare, proprio guardando a Pietro e Paolo, perché di tale fraternità abbiamo tutti bisogno. Ne ha bisogno la Chiesa, ne hanno bisogno le relazioni tra laici e presbiteri, tra i presbiteri e i Vescovi, tra i Vescovi e il Papa; così come ne hanno bisogno la vita pastorale, il dialogo ecumenico e il rapporto di amicizia che la Chiesa desidera intrattenere con il mondo. Impegniamoci a fare delle nostre diversità un laboratorio di unità e di comunione, di fraternità e di riconciliazione perché ciascuno nella Chiesa, con la propria storia personale, impari a camminare insieme agli altri».
Quindi la seconda caratteristica sulla quale i Santi Pietro e Paolo ci chiamano a confrontarci: «Ci interpellano anche sulla vitalità della nostra fede – aggiunge Leone XIV -. Nell’esperienza del discepolato, infatti, c’è sempre il rischio di cadere nell’abitudine, nel ritualismo, in schemi pastorali che si ripetono senza rinnovarsi e senza cogliere le sfide del presente. Nella storia dei due Apostoli, invece, ci ispira la loro volontà di aprirsi ai cambiamenti, di lasciarsi interrogare dagli avvenimenti, dagli incontri e dalle situazioni concrete delle comunità, di cercare strade nuove per l’evangelizzazione a partire dai problemi e dalle domande posti dai fratelli e dalle sorelle nella fede. E al centro del Vangelo che abbiamo ascoltato c’è proprio la domanda che Gesù pone ai suoi discepoli, e che rivolge anche a noi oggi, perché possiamo discernere se il cammino della nostra fede conserva dinamicità e vitalità, se è ancora accesa la fiamma della relazione con il Signore: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Ogni giorno, ad ogni ora della storia, sempre dobbiamo porre attenzione a questa domanda. Se non vogliamo che il nostro essere cristiani si riduca a un retaggio del passato, come tante volte ci ha ammoniti Papa Francesco, è importante uscire dal rischio di una fede stanca e statica, per chiederci: chi è oggi per noi Gesù Cristo? Che posto occupa nella nostra vita e nell’azione della Chiesa? Come possiamo testimoniare questa speranza nella vita di tutti i giorni e annunciarla a coloro che incontriamo?».
Quindi il monito: «Fratelli e sorelle – invita Papa Prevost -, l’esercizio del discernimento, che nasce da questi interrogativi, permette alla nostra fede e alla Chiesa di rinnovarsi continuamente e di sperimentare nuove vie e nuove prassi per l’annuncio del Vangelo. Questo, insieme alla comunione, dev’essere il nostro primo desiderio. In particolare, oggi vorrei rivolgermi alla Chiesa che è in Roma, perché più di tutte essa è chiamata a diventare segno di unità e di comunione, Chiesa ardente di una fede viva, Comunità di discepoli che testimoniano la gioia e la consolazione del Vangelo in tutte le situazioni umane».
Infine un messaggio agli arcivescovi che hanno ricevuto il Pallio: «Carissimi – puntualizza il Papa -, questo segno, mentre richiama il compito pastorale che vi è affidato, esprime la comunione con il Vescovo di Roma, perché nell’unità della fede cattolica, ciascuno di voi possa alimentarla nelle Chiese locali a voi affidate».
Infine, il saluto ai componenti del Sinodo della Chiesa greco-ortodossa ucraina e alla Delegazione del Patriarcato ecumenico inviata da Sua Santità Bartolomeo, con l’esortazione finale conclusiva: «Cari fratelli e sorelle – esorta il Santo Padre -, edificati dalla testimonianza dei santi apostoli Pietro e Paolo, camminiamo insieme nella fede e nella comunione e invochiamo la loro intercessione su tutti noi, sulla città di Roma, sulla Chiesa e sul mondo intero».
Rispondi