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«Chi magna er dolce…»

Stelle e meteore, giganti e nani, maestri e pivelli nel più caotico e inflessibile setaccio che ci sia.

La biancheria intima di una soubrette, esposta con curata sbadataggine nel pietoso tentativo di rianimare uno share spossato, può diventare un documento storico? Dipende: tra cinquant’anni, forse, se ne potrà parlare. È quanto emerge da una visita alle teche della mostra “La dolce vita. 1950-1960. Stars and celebrities in the Italians Fifties” (allestita al museo dei Mercati di Traiano fino al 14 novembre).

Di fatto, sembra di entrare in un’immensa edicola imbalsamata: una sensazione analoga si potrebbe simulare recandosi dal giornalaio immaginando di essere nati nel 2030 e di essere lì intorno al 2060-2070… la carta è ancora lì, un po’ ingiallita magari, ma il giallo che colpisce di più è quello dei denti di quei sorrisi – ancora immobili come un tempo, e una volta certamente smaglianti. Visi che dovevano essere conosciutissimi c’imbarazzano adesso col loro non dirci più niente: chi è questa bionda che mi sorride dalla carta patinata come se dovessi essere proprio sul punto di riconoscerla?

Ma non c’è solo questo, naturalmente: tutti hanno tirato un sospiro di sollievo, girando quella mostra, davanti ai ben noti visi di Sofia Loren, Federico Fellini, Gina Lollobrigida, Marcello Mastroianni: «Meno male: questa mostra non è una meditatio mortis! Non tutto passa come se nulla fosse stato». È vero, ma Joan Collins non doveva essere «la risposta inglese a Elizabeth Taylor [che tra l’altro era inglese pure lei]»? E Kim Novak non doveva essere l’alternativa a Grace Kelly e Marilyn Monroe? Davanti alle prime si resta adesso perplessi, nel più delle volte vano tentativo di recuperare dalle segrete della memoria un’istantanea che ci tranquillizzi. Di queste ultime, ora, restano per lo più storie tristi e qualche fotografia che, sebbene siano state scattate praticamente l’altro ieri, sono ritenute immortali… che dire allora di Uta di Naumburg, il cui profilo marmoreo folgorò Walt Disney nove secoli dopo la sua morte, e che torno “reincarnandosi” nella bellissima strega Grimilde?Ci sono le stelle e ci sono le meteore: ci sono quelli che hanno lavorato sodo e quelli che hanno approfittato di un’onda passeggera per godersi un facile successo lungo quanto una giovinezza. Eppure neanche queste considerazioni “risolvono” la faccenda: pochi, pochissimi sono i granelli di autentico talento disseminati nel corso di questa lunga fiumana, anche dove s’è generosamente profuso impegno. Pare che sia veramente solo il giudizio severo del tempo, che corrompe la bellezza e non si lascia corrompere da essa, a setacciare le pagliuzze d’oro disseminate in una valanga di fango paglierino.

Alla prima di Ben Hur

Il linguista si sofferma sospirando con compiacimento o nostalgicamente sulle mutazioni della grammatica italiana in solo mezzo secolo: esemplare la pagina della Domenica del Corriere in cui il presidente Eisenhower «congratula Gina Lollobrigida» (sic!) augurandosi di trovare un’Italia «altrettanto prospera e felice». Il politico si stuzzica il senso del gossip riflettendo sui paginoni (ormai dimenticati) in cui si rivela che una certa “Nelida”, minorenne, avrebbe chiamato il temibile Peròn “Papi” – le didascalie rassicurano i romantici memori del musical di Madonna che la bella Evita era già defunta. La storia sarà anche magistra vitæ, ma è evidente che gli iscritti ai suoi corsi sono sempre meno.

La suprema fioritura del cinema italiano e gli albori del boom economico si mescolano in un mix effervescente, e su tutto questo campeggia l’enigmatico titolo della mostra, mutuato dal celeberrimo e di scussissimo film di Fellini che compie quest’anno il suo mezzo secolo di vita: «La dolce vita». Certo, tutti si pensa ad Anita Ekberg che fa il bagno nella Fontana di Trevi, ma il pensiero oscuro va a quella starletta americana dal nome obliato la cui vita finì, un sabato sera come tanti, contro un palo – night club, droga, velocità. “La dolce vita”. Quello che c’è veramente di obliato è proprio la malinconica meditazione di Fellini, che viveva in quel mondo luccicante senza saper immergervisi a fondo – e di che altro parlano i suoi capolavori? Tutti gli autobus di Roma riportano frasi che augurano «lunga e dolce vita al cinema italiano», ma così pochi hanno saputo sporgersi oltre il balconcino ipostatizzato degli slogan pubblicitarî, per ricordare che cos’era – e che cos’è – “la dolce vita”.

Foto: Marcello Geppetti, ® Istituto LUCE.

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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1 Comment on «Chi magna er dolce…»

  1. LaPorzione.it consiglia il succoso compendio diacronico della critica al film di Fellini contenuto nell’articolo di Virgilio Fantuzzi S.I. dal titolo «Lo scandalo “Dolce vita” cinquant’anni dopo», in La Civiltà Cattolica 3846, 2010 III (495-508).

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