La Svizzera, il paese della “dolce morte”
Mentre in Italia si discute la legge sul “fine vita”, in Svizzera la popolazione non ci pensa due volte e sceglie l’eutanasia. La conferma è arrivata domenica scorsa, quando i residenti del Cantone di Zurigo sono stati chiamati ad esprimersi su di un referendum per l’aiuto al suicidio assistito, incentrato su due quesiti promossi da due partiti conservatori.
Il primo elaborato dall’Udf, l’Unione democratica federale (un partito d’ispirazione cattolica) mirava a chiedere al Parlamento svizzero la punibilità per qualsiasi forma di istigazione e aiuto al suicidio. Il secondo quesito, proposto invece dal Partito evangelico, si prometteva di sradicare il fenomeno del “turismo della morte”, concedendo la possibilità di eutanasia ai soli residenti nel Cantone da almeno dieci anni. Ma i zurighesi ad abbandonare l’eutanasia non ci pensano proprio e l’80% di loro ha così respinto i due quesiti referendari.
Sarà che per loro questa pratica, essendo in vigore dal 1941, è divenuta nel tempo di uso comune, ma sta di fatto che l’”eutanasia libera”, nel paese elvetico, ha fatto registrare un autentico boom degli arrivi dagli altri paesi europei per “farla finita”. Infatti secondo i dati forniti dall’associazione “Dignitas”, che assiste i cittadini stranieri candidati all’eutanasia, solo nel 2010 sono state 1.138 le persone arrivate dall’estero per farsi togliere la vita, fra i quali 592 tedeschi, 118 svizzeri, 102 francesi, 18 statunitensi e 16 spagnoli.
E con gli anni, la percentuale dei candidati giunti dall’estero per togliersi la vita è aumentata passando dal 6,5% del totale dei suicidi assistiti del 2003, al 9,7% del 2007. Fra l’altro, le uniche due condizioni normative poste a limitare l’eutanasia sono due: che dietro questa scelta non ci siano motivi egoistici e che l’azione si compia in modo passivo, fornendo al richiedente gli strumenti per morire senza però aiutarlo. Al di là di tutto, l’esito dell’ultimo referendum preoccupa non poco i vescovi svizzeri: «Questa votazione – ha commentato Walter Müller, portavoce della Conferenza episcopale svizzera – è importante in quanto rappresenta l’espressione chiara di un’opinione pubblica largamente a favore dell’aiuto al suicidio, nel Cantone di Zurigo.
I vescovi svizzeri hanno affermato da sempre di essere per l’interdizione all’aiuto del suicidio assistito, che è portato avanti da organizzazioni operanti veri e propri suicidi». Ma quello di Zurigo è comunque solo un test, in vista del progetto di legge in materia che, in autunno, verrà discusso a livello confederale. Intanto, i prelati elvetici hanno rilanciato il loro “no” all’eutanasia ribadendo la presa di posizione della Commissione di bioetica della Conferenza episcopale, diffusa alla vigilia del referendum: «È un illusione – spiegano i presuli – pensare di poter escludere la sofferenza e la morte dalla vita, ed è falso che si possa e si debba rispondere alla domanda si suicidio espresso da una persona, perché il desiderio di morte non corrisponde che raramente ad una scelta presa liberamente.
Essa è invece sottomessa alla pressione delle circostanze come la sofferenza, il sentimento della perdita di senso e la paura di essere un peso per i parenti. Dunque, la compassione verso una persona sofferente, non risiede nell’omicidio, ma nel prendersene cura». Così, la Chiesa elvetica non risparmia parole forti contro la pratica della “dolce morte” sollecitando, al contrario, lo Stato nel provvedere alla promozione delle cure palliative.