Canto e liturgia – tecnica e cuore
Il confronto sorto tra Ambrogio e Ario, tra ortodossi ed eretici e tra inni e “canzonette” nella Milano del IV secolo, riporta l’attenzione su una questione tornata recentemente di attualità (vedi la polemica circa le canzoni di Ligabue eseguite ai funerali di Morosini): cosa è opportuno cantare in chiesa e come? Più specificamente, qual è il repertorio di canti più adatto a una celebrazione liturgica e in che modo andrebbe eseguito? Non è questa la sede adatta per una requisitoria sul bel canto, né per una rassegna dei grandi cori esistenti in tutto il mondo e dei loro repertori (dal gregoriano alla polifonia vocale classica o moderna). È nostra intenzione partire dal basso, da quelle realtà che tutti noi, frequentatori di piccole e medie parrocchie di provincia, conosciamo e viviamo, e alle quali magari offriamo il nostro contributo di animatori, più o meno improvvisati, più o meno interessati, più o meno consapevolmente impegnati.
Il nostro viaggio inizia proprio dai nostri piccoli cori parrocchiali (e riteniamoci fortunati se nella nostra realtà esiste un gruppo che assume l’incarico di animare la Santa Messa, dato che spesso l’animazione è affidata a singole persone o sparuti gruppetti di improvvisati cantori). Senza fossilizzarci sul numero di componenti o sulla qualità del repertorio (non tutte le ugole sono educate al gregoriano, che pure la Chiesa predilige e suggerisce in quanto proprio della Liturgia Romana) né sul livello di preparazione musicale (non tutti hanno la possibilità di frequentare conservatori, accademie e corsi di musica), proviamo ad ascoltare, magari chiudendo gli occhi e lasciando che musica e parole entrino attraverso le orecchie, passino attraverso la mente e arrivino fino al cuore … Ecco, almeno per la mia esperienza, raramente i canti che ascolto a Messa riescono a concludere questo percorso ideale: alcuni si fermano al primo livello (difetto di qualità: le stecche non scivolano tanto agevolmente nel canale auditivo!); altri al secondo (difetto di emozione: buona intonazione, ma interpretazione fredda, lontana da ciò che il testo vorrebbe esprimere). Il terzo livello è appannaggio di ben pochi esecutori, bravi musicisti, per di più in grado di “sentire” dentro di sé e di “far sentire” agli altri la bellezza delle parole, unita armoniosamente e inscindibilmente alla musica, espressa con sentimento di vera partecipazione. Come mai capita di ascoltare cori – magari tecnicamente ineccepibili – che però non sono in grado di comunicare nulla di più che una bella e piacevole melodia? Cosa manca?
Manca in primo luogo una reale e profonda comprensione del testo. Se provassimo a chiedere ai cantori qual è il senso profondo delle parole che stanno pronunciando, molto probabilmente non sarebbero in grado di spiegarcelo: hanno semplicemente imparato a cantare un pezzo preesistente, senza interrogarsi sulle parole, senza metterle in relazione con l’ipotesto (che nella maggior parte dei casi è e deve essere della Tradizione, biblica o non), senza confrontarsi con esse e chiedersi cosa realmente esprimano e come interagiscano con la loro vita. Prima di cantare, bisogna compiere un percorso personale, intimo, per comprendere e interiorizzare ciò che si va a cantare, altrimenti il canto resterà una bella, eppure vuota e inespressiva, emissione di suoni e parole.
Manca in secondo luogo una reale e profonda conoscenza della liturgia. Troppo spesso ascoltiamo (magari senza rendercene conto) canti inadeguati al tempo liturgico (Tempo di Avvento, di Quaresima ecc. richiedono temi e toni diversi) o al momento della Messa in cui sono proposti (confondiamo i canti di ingresso con quelli di comunione o quelli di offertorio con quelli di ringraziamento), o eseguiti con strumenti, ritmi e toni poco consoni (mi è capitato di uscire da una celebrazione stordita e con le orecchie ovattate, come se tornassi dalla discoteca) o addirittura in momenti in cui è prescritto il silenzio (ho sentito suonare “Fratello sole, sorella Luna” durante la consacrazione …).
Manca soprattutto una reale e profonda consapevolezza di cosa sia un coro. Nella maggioranza dei casi, nel momento in cui nasce un gruppo di corale parrocchiale, si compie un errore quasi “ontologico”: si crede di dover istruire un gruppo di cantanti e musicisti in vista di una performance musicale. Questo atteggiamento porta a considerare il coro come un protagonista sulla scena di un teatro e l’animazione come una performance artistica che colpisca il pubblico, lo attragga, lo diverta e ne monopolizzi l’attenzione: al termine dell’esecuzione, quasi ci si aspetta che scoppi l’applauso, come fossimo a un concerto e non a Messa! Niente di più sbagliato! Scopo e missione del coro è favorire che la comunità riunita attorno all’eucaristia partecipi intensamente al mistero che sta vivendo. E per ottenere questo il canto non deve prevalere ma quasi scomparire. Al pari di pane, vino, acqua, luce e arredi, il canto è un segno e suo compito è favorire il raccoglimento, creare un clima di preghiera, di gioia, di silenzio, di riflessione, di ringraziamento, seguendo ed assecondando lo svolgimento dell’azione liturgica.
Spesso assistiamo al prevalere del canto e della musica, accompagnati da danze e battiti di mani, come se in questo modo l’assemblea si sentisse più coinvolta. Ma che tipo di coinvolgimento si determina in questo modo? Il coinvolgimento di un tifoso durante una partita, o quello di un fan durante un concerto: tutto teso al canto, perde di vista il centro della celebrazione, distoglie lo sguardo e l’attenzione dal cibo della Parola e dell’Eucaristia, e lo focalizza su chi dovrebbe favorirne la concentrazione e la partecipazione. O viceversa esistono cori che ripropongono sempre gli stessi canti, per settimane, mesi, forse per tutta la vita, nell’illusione che l’assemblea mezza addormentata si senta più partecipe. Ma in questo modo la liturgia non è assecondata e arricchita, bensì non rispettata e impoverita.
Quanti rischi! Ma non è nostra intenzione scoraggiare chi con tanta dedizione accetta questa così importante missione. Piuttosto desideriamo incoraggiarli e suggerire una strada che permetta di compiere questo incarico con senso di responsabilità, passione e spirito di servizio (per qualche consiglio pratico, senza troppe pretese, su come impostare un’animazione liturgica, clicca qui). “Animare” la Santa Messa non significa dar vita a qualcosa che vita non ha: ma significa lasciar spirare più forte il soffio dello Spirito, per consentire a tutti una partecipazione più sentita, profonda, consapevole e vivificante all’Eucaristia. Animare la Santa Messa non può e non deve ridursi a un lavoro di routine, ma deve essere sempre interpretato come una vocazione. In quanto tale essa richiede tre cose: un continuo e partecipato cammino di crescita e formazione non solo tecnica, ma soprattutto spirituale e liturgica; un servizio (nel senso nobile e cristiano del termine) reso a Dio e alla comunità; l’umiltà di chi sa di essere «servo inutile» e non cerca il plauso di chi ascolta, ma il suo progresso spirituale. Allora si realizzeranno anche nelle nostre parrocchie i frutti dei canti ambrosiani, così descritti da Agostino: «Quanto piansi tra i tuoi inni e cantici, violentemente commosso dalle voci della tua chiesa che soavemente cantava! Quelle voci fluivano nelle mie orecchie e la verità era filtrata nel mio cuore e da questo si infiammava il sentimento della pietà, e scorrevano le lacrime e con esse mi sentivo bene» (Confessioni IX 6).
Il Canto deve essere consono alla Liturgia e deve essere sempre inerente al Tempo Liturgico e sopratutto approvato dalle autorità competenti, non deve essere mai profano (ligabue, vasco rossi, ecc.) e quando possibile in gregoriano.
PAX
perché, lei crede che molte delle canzonette che intasano le celebrazioni settimanali nella parrocchia media non abbiano approvazione autentica? Oh, rimarrebbe molto deluso…
Io credo l’abbiano.
Però diffido dai Creativi della liturgia.
Ave Maria+
Il canto credo possa contribuire al raccoglimento spirituale, perché la musica sollecita “corde interiori” diverse rispetto alla pura parola. Le modalità di partecipazione però penso possano risultare, proprio per il mezzo usato, tra le più varie, nella consapevolezza certo dei tempi liturgici e soprattutto dell’altro.