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Tradurre la Bibbia – Parte Prima

La Parola di Dio in Italia oggi

Siamo abituati a leggere la Sacra Scrittura in comoda versione italiana, e lo stesso accade in ogni altra parte del mondo: ogni comunità cristiana possiede ed utilizza una traduzione della Parola nella propria lingua, e a volte anche più di una. La Bibbia è senza dubbio il testo più tradotto nella storia dell’umanità con le sue migliaia di versioni in lingue antiche e moderne e la possibilità, tutt’altro che remota, che essa sia resa più volte per una stessa comunità per esigenze legate sia alla lingua sia all’interpretazione del testo. Quanto alla prima variabile, bisogna tener presente che ogni lingua è soggetta a evoluzione: si modifica nel tempo, si arricchisce di nuovi vocaboli, elimina le forme antiche; per questa ragione un testo, a distanza di qualche decennio, può perdere in termini di chiarezza e comprensione, e può necessitare adattamenti e ammodernamenti che lo rendano di nuovo accessibile. Quanto alla seconda, i progressi nel campo dell’esegesi scritturistica spianano la strada a nuove intuizioni e suggeriscono rese sempre più aderenti all’intenzione originaria degli autori (o, nel nostro caso, sarebbe meglio dire dell’Autore), tali da rendere più chiaro e univoco il messaggio.

Prenderemo in esame solo il caso italiano. Per tutto il Medioevo la Scrittura fu letta nella versione latina realizzata da san Gerolamo detta Vulgata. Le traduzioni italiane (la prima fu la Bibbia del Malermi, stampata a Venezia nel 1471) si basarono tutte sul testo geronimiano. Solo nel 1943 Papa Pio XII, con l’enciclica Divino Afflante Spiritu, promosse la stesura di traduzioni bibliche dai testi originali ebraico-aramaici e greci: nella lettura, nello studio e nella divulgazione della Parola, egli suggeriva un approccio filologico-scientifico, nella convinzione che fosse necessario confrontarsi con il testo originale per comprendere esattamente cosa esso volesse intendere. L’invito fu accolto da diversi studiosi cattolici italiani, che iniziarono a produrre le loro traduzioni bibliche: Ricciotti, Vaccari, Nardoni, Garofalo, sono solo alcuni degli illustri curatori di queste versioni, che si susseguirono a distanza di poco tempo l’una dall’altra tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Nel corso del Concilio Vaticano II emerse l’esigenza di una versione della Scrittura che fosse adatta alla liturgia cattolica italiana. Data l’urgenza della richiesta, non venne eseguita stavolta una nuova traduzione dai testi originali, ma fu operata una revisione della versione UTET, visionata da poeti e letterati per migliorarne la leggibilità e la facilità di proclamazione. Il prodotto finale manifestò immediatamente i propri limiti: dopo l’editio princeps del 1971, si rese subito necessaria una nuova edizione (1974) che correggesse mancanze, sviste e difetti evidenziati nella prima stesura. Nel 1997 fu presentata una revisione del solo Nuovo Testamento, che privilegiava le lezioni dei testi originali greci e puntava a una maggiore uniformità nella resa dei singoli termini. In questa forma la Parola fu proclamata per tre decenni.

Nel 2008 la Conferenza Episcopale Italiana ha approvato una nuova traduzione della Bibbia in lingua italiana. Nella Presentazione del testo, S. E. Mons. Giuseppe Betori, riprendendo le parole del Santo Padre (Dei Verbum, 22), spiega che le traduzioni sono sempre state necessarie per consentire ai fedeli un largo accesso alla Sacra Scrittura: come nel passato, anche oggi la Chiesa si preoccupa «con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, preferibilmente dai testi originali dei sacri libri». Spiegando il metodo adottato dagli esperti selezionati per tale importante operazione, Betori chiarisce l’intenzione di rimediare, con la nuova versione, a «inesattezze, incoerenze ed errori» presenti nel testo del 1971-1974; ribadisce inoltre il proposito fondamentale di adesione allo stile delle lingue originali e alla varietà dei generi, che i traduttori si sono sforzati di rispettare, senza tuttavia nuocere alla comprensibilità del testo in rapporto al contesto culturale odierno. Questo lavoro lungo e complesso è stato condotto con l’auspicio di fornire alle comunità «un testo più sicuro, più coerente, più comunicativo, più adatto alla proclamazione».

Il quadro che emerge dalle parole del dotto presule mette in tavola i principali problemi che da sempre chi si occupa di traduzione biblica è costretto al affrontare: la complessità del testo, che, per essere reso in modo appropriato a corretto, richiede in primo luogo una chiara e sicura esegesi, che eviti errori e inesattezze; la varietà dei generi e dei linguaggi, che è opportuno conoscere e riprodurre; la distanza tra i testi originali e le versioni successive, tra i diversi linguaggi, le diverse esigenze e in generale il diverso patrimonio di conoscenze, esperienze, cultura in senso lato, che dividono  gli autori e i primi destinatari dell’opera dai lettori odierni, e tra le quali il traduttore è chiamato a mediare.

Se, da quanto ricostruito fin qui, la storia della Bibbia italiana appare già piuttosto intricata e rivela le numerose difficoltà che si incontrano nel lavoro di traduzione, si pensi a come il panorama si complica se si apre lo sguardo alle numerose versioni non-cattoliche o cattolichecommerciali. Queste ultime, la cui diffusione domestica è straordinaria (si pensi a La Bibbia delle Edizioni Paoline, La Bibbia Concordata della Mondadori, La Bibbia di Gerusalemme, La Bibbia Marietti ecc.), sono per lo più derivate dai testi originali, confrontate con la versione della CEI e dotate di apparati di note e commenti ora più ora meno ricchi, elaborati da esegeti esperti e di elevata qualità. Tuttavia, se, per studio, per curiosità o per semplice avventura, capita di avere sotto mano contemporaneamente due o più di questi testi, le differenze tra una versione e l’altra balzano agli occhi e finiscono per creare una sensazione di disorientamento: quale sarà la versione giusta, o la più giusta, quella che più si avvicina alle intenzioni di chi ha pronunciato o scritto per la prima volta quelle parole? Si comprende bene pertanto l’esigenza di una versione che, al di là delle illimitate possibilità espressive di una lingua, offra un testo sicuro e affidabile, unico se possibile, perché univoco sia pure il messaggio che giunge ai fedeli.

Non sorprende a questo punto pensare che queste problematiche non rappresentano un cruccio della sola società moderna. La traduzione della Sacra Scrittura ha sempre costituito un lavoro di grande importanza e responsabilità, che sempre è stato accompagnato da difficoltà, riflessioni teoriche, dibattiti, scontri a volte accesi, e tentativi di soluzione. Ogni traduzione biblica è valida e costituisce uno strumento capace di nutrire le comunità cristiane in modo sano ed efficace, almeno fino alla successiva (e migliore) versione. Poiché il presente si legge più chiaramente alla luce del passato, per comprendere meglio la questione, ci pare opportuno fare un salto indietro nel tempo e scoprire come tutto ha avuto inizio. Lo faremo, se vorrete, tra una quindicina di giorni …

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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