“Noi catechisti ed educatori parliamo alla gente, ma siamo Gesù per loro?”
"Se io per voi - osserva Valentinetti, parlando ai catechisti - non sono Gesù, rappresentandolo e rendendoli vivo e vitale in mezzo a voi, se i vostri parroci per voi non sono Gesù, certamente il cammino diventa difficile. Così come voi dovete essere Gesù per i vostri ragazzi, i vostri giovani, per quelli adulti difficili e per quei genitori recalcitranti"
«Oggi parliamo a gruppi, a persone che incontriamo nella nostra comunità parrocchiale, ma siamo noi Gesù per loro? È questa la domanda a cui dobbiamo dare una risposta convincente e soprattutto coerente».
Lo ha affermato domenica pomeriggio l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, pronunciando l’omelia della Santa messa che ha concluso la Giornata diocesana dei catechisti e degli educatori, dal titolo “Catechisti fuori dagli schemi”, organizzata dall’Ufficio catechistico diocesano e svoltasi presso l’Oasi dello Spirito di Montesilvano colle.
Una giornata esperienziale che, attraverso laboratori e momenti di confronto, ha permesso di tastare il polso ai formatori delle parrocchie pescaresi, pronti a ripartire con rinnovato slancio nel loro servizio educativo: «Al di là della grande partecipazione quantitativa – commenta don Fernando Pallini, direttore dell’Ufficio catechistico pescarese -, il bilancio della giornata è stato molto positivo a partire dalla voglia di mettersi in gioco e di allargare gli orizzonti espressa da catechisti ed educatori. Due figure che poi sono una cosa sola, in quanto ogni catechista è chiamato ad essere educatore e ogni educatore, a sua volta, non può che essere anche catechista».
Un incontro caratterizzato dal dialogo intenso, serrato e costruttivo tra educatori-catechisti da un lato e Ufficio catechistico dall’altro, dal quale è emerso un insegnamento importante: «Che il primo modo per uscire fuori dagli schemi – sottolinea don Fernando – è amare».
Lo stesso amore che mise Gesù nel sacrificarsi per la salvezza dell’umanità e che i cristiani, specialmente coloro che sono stati chiamati ad educare, devono imitare come hanno già fatto i santi: «Se io per voi – osserva il presule, parlando ai catechisti – non sono Gesù, rappresentandolo e rendendolo vivo e vitale in mezzo a voi, se i vostri parroci per voi non sono Gesù, certamente il cammino diventa difficile. Così come voi dovete essere Gesù per i vostri ragazzi, i vostri giovani, per quelli adulti difficili e per quei genitori recalcitranti».
Essere Gesù, vuol dire assumere uno stile di vita coraggioso che porta inesorabilmente ad intraprendere un cammino controcorrente: «Verrete capiti? Saremo capiti? – si interroga l’arcivescovo Valentinetti – Probabilmente no, perché neanche Gesù è stato capito dai suoi conterranei, dalla gente che lo conosceva. E quelli che ci conoscono non capiranno che noi vogliamo vivere questo progetto, perché così come dissero per Gesù “È il figlio del falegname, è un carpentiere, conosciamo tutta la razza e la famiglia”, lo stesso diranno di noi: “Chi sei tu? Cosa vuoi fare tu? Perché pretendi cose impossibili?”».
Insomma, ogni testimone di fede deve sempre tenere a mente che “nessuno è profeta in patria”: «Dobbiamo convivere con questa ferita – ricorda l’arcivescovo di Pescara-Penne -. Del resto, hanno detto questo di Gesù perché non era figlio di un levita, non era un dottore della legge, uno scriba o componente del gruppo dei farisei: le persone più importanti della gerarchia, nella società israelitica. Non poteva venire fuori nulla di buono da un personaggio del genere, così come probabilmente diranno di noi che non potrà venire fuori nulla di buono. Ma sapete che le categorie non ecclesiastiche, ma chiesastiche (una brutta parola) sono quelle che la gente, il mondo, vuole applicare in continuazione».
Ma Gesù va oltre questo: «La sua Chiesa – precisa monsignor Valentinetti – va oltre e noi siamo chiamati ad essere realmente coloro che si rivolgono a tutti, con la coscienza chiara e decisa».
Gesù va anche oltre la contraddizione di chi non vuole far entrare il Regno di Dio: «Perché – ammonisce l’arcivescovo – chi contraddice l’avvento del Regno è Satana. Dobbiamo dircelo con verità, dobbiamo guardarlo negli occhi. Non dobbiamo averne paura, perché più lo puntiamo negli occhi, più la nostra faccia sarà una colonna di ferro e un muro di bronzo. È questo ciò che il Signore ci ha promesso».
Ma per entrare in questa logica, bisogna applicare quanto suggerisce la lettera di San Paolo ai Corinzi: «Bisogna vivere – raccomanda il presule – la carità, l’amore che non avrà mai fine. “Le profezie scompariranno, le lingue cesseranno, la conoscenza svanirà, ma l’amore non finirà mai”. L’amore gratuito, l’amore che non chiede niente in cambio, che si scorda di aver amato, perché altrimenti sarebbe un amore interessato».
E tutti abbiamo bisogno d’amore, vicini e lontani: «I lontani – denota l’arcivescovo Valentinetti – non sono poi così lontani, perché sono anche in mezzo a noi. Ci sono i credenti e i non credenti, ma ci sono anche gli indifferenti, quelli di altre nazioni e di altre religioni. Tutti hanno bisogno di essere amati: il bianco, il nero, il giallo, il creolo, l’ammalato, il sano, il pazzo, il divorziato, la divorziata, la famiglia in difficoltà e potrei continuare ancora».
Un esercizio che, invece, l’arcivescovo vuol far proseguire ai catechisti, agli educatori e ai credenti tutti: «Quando avete tempo – suggerisce monsignor Tommaso Valentinetti -, prendete un foglio e scrivete tutte le persone che hanno bisogno d’amore. Riusciremo in questa impresa? La grazia dello Spirito ci sosterrà, ma ci sosterrà se avremo il coraggio di rimetterci in cammino come Gesù che si incamminò verso Gerusalemme. Anche noi siamo in cammino verso la Gerusalemme celeste, il Regno di Dio. Che sia il Regno di Dio il risultato del nostro lavoro e del nostro servizio. Lo vedremo, sì lo vedremo il Regno e sarà festa senza fine. Lo Spirito ci aiuti, interceda per noi la tutta santa, purissima Madre di Dio, la Vergine Maria».