“Non si risolvono i problemi nelle società dove si abortisce e ci si suicida”
"Il prossimo conflitto globale - avverte il cardinale Turkson - può essere provocato dall’accesso all’acqua. Nel mondo c’è sempre meno acqua potabile. Per questo, l’acqua deve essere definita un diritto, invece c’è la tentazione di ridurla ad una commodity, ossia un bene primario da commercializzare"
Sembra essere lungo il cammino per raggiungere un autentico sviluppo umano integrale per il bene dell’umanità, così come vorrebbe la Chiesa: «I rischi che derivano dal contesto storico attuale di crisi conducono a soluzioni insoddisfacenti, non inclusive, non integrali, solo per alcuni, per sintomi o inaccettabili da un punto di vista etico».
Lo ha detto stamattina il cardinale Peter Turkson, presidente del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, nella sua relazione al 39° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso da ieri fino a giovedì a Castellaneta (Ta). Il tema dello sviluppo umano integrale è proprio al centro dell’evento, che riunisce oltre 500 delegati da 155 diocesi.
Il cardinale Turkson ha ripercorso tutto il magistero pontificio, le posizioni dell’Onu in materia e gli Obiettivi di sviluppo del millennio, ma ha osservato che le misure necessarie per dare soluzione ai problemi, mettendo al centro la crescita economica fine a se stessa e senza limiti e non l’uomo e tutti gli uomini, non affrontano i problemi, non si va alla radice: «Questa visione – riflette – sembra spiegare la nascita del concetto poco convincente di green economy. Continuare il solito business, ma dipingendolo di verde. Rispettare la natura quel tanto che basta per non mettere in difficoltà i profitti. Non si arriva alla radice dei problemi che imperversano in alcune società, dove si abortisce e ci si suicida. Pensare che in alcuni Paesi, molto bravi negli indicatori dello sviluppo e della crescita, la gente si suicida e crolla la natalità, mentre nei Paesi più poveri la gente si attacca alla vita e, con i soldi che non ha e con i bambini, si butta nelle barchette per attraversare l’acqua verso un futuro migliore».
In questo modo, a suo dire, non si arriva alla radice dei problemi ciclici, strutturali, che sembrano racchiudere certe zone nella povertà, nella violenza, nei conflitti attorno alle risorse naturali: «Ad esempio – denota il porporato -, tra gli Obiettivi di sviluppo adottati nel settembre 2015 si parla di salute riproduttiva come diritto, ma questa terminologia non è stata adottata per l’acqua perché c’è che si è opposto ad approfittare della nuova agenda dello sviluppo per sancire il diritto umano all’acqua».
E la pace in Europa è minacciata non solo dal terrorismo: «Non dimenticate che – ammonisce il presidente del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale -, un poco all’est, sul fronte ucraino, si affrontano reparti con armi pesanti, blindati e aerei da combattimento».
Inoltre, citando il discorso di Papa Francesco ai leader europei la scorsa settimana, “non c’è vera pace quando ci sono persone emarginate o costrette a vivere nella miseria. Non c’è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso. Non c’è pace nelle periferie delle nostre città, nelle quali dilagano droga e violenza”: «Non c’è pace – aggiunge il cardinale Turkson – quando la politica – da servizio, opera di carità e dedizione al bene comune – diventa farsa, fonte di arricchimento, polemica su questioni secondarie; occupa uno spazio invece che occuparsi del progresso della società. Non c’è pace quando Internet e le reti sociali frammentano, fanno perdere l’abitudine di riflettere, instillano e istigano bullismo, violenza, pornografia, frodi e insicurezza. Non c’è pace quando tante banche, la finanzia sregolata e la speculazione di allontanano dalle esigenze dell’economia reale, dal controllo dei cittadini. Non c’è pace quando la vita umana e la famiglia sono relativizzate, minacciate. Il nuovo nome della pace è lo sviluppo. Ma questa è l’Europa, zona di pace relativa, per tanti una meta desiderata, un esempio, almeno per alcuni decenni».
A margine del convegno Caritas il porporato, intervistato dall’agenzia di stampa Sir e da Tv 2000, ha lanciato un ulteriore allarme: «Il prossimo conflitto globale – avverte – può essere provocato dall’accesso all’acqua. Nel mondo c’è sempre meno acqua potabile. Nell’antichità le guerre si facevano per trovare l’acqua. Anche oggi, come vediamo nella guerra in Siria, la prima cosa che hanno fatto i terroristi appena entrati a Damasco è stata occupare una fonte d’acqua. Per questo, l’acqua deve essere definita un diritto, invece c’è la tentazione di ridurla ad una commodity, ossia un bene primario da commercializzare». In Amazzonia, ad esempio, la Chiesa ha aiutato nove diocesi a creare una rete per assicurare l’accesso all’acqua.
A proposito del nuovo dicastero da lui presieduto (che accorpa, per volontà di Papa Francesco, quattro pontifici consigli che lavoravano sui temi migranti, sanità, carità e giustizia e pace) ha annunciato che è pronto l’organigramma del personale: «Speriamo di essere in grado di partire per Pasqua».