Restauro e nuovo museo per le catacombe di santa Domitilla
Presentati i restauri delle catacombe di santa Domitilla. Allestito un piccolo museo intitolato al tema: «Il mito, il tempo, la vita»
La Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, che ha tutela delle catacombe romane, ha presentato martedì 30 maggio gli ultimi restauri e il nuovo museo delle Catacombe di Domitilla. Un altro traguardo di quel progetto più ampio voluto dal cardinale Gianfranco Ravasi – presidente del Pontificio Consiglio per la cultura e della Commissione di archeologia sacra – che prevede un intervento di recupero ogni anno e ha già portato ai restauri delle catacombe di Priscilla e dei santi Marcellino e Pietro. Nel caso delle catacombe di Domitilla, il restauro è stato possibile anche grazie al contributo di uno stato musulmano come l’Azerbaijan: una collaborazione che, ha ricordato il cardinale, si spera continui con il recupero dei sarcofagi delle catacombe di S. Sebastiano.
«Il restauro delle catacombe di Domitilla e l’allestimento del piccolo e prezioso museo annesso sono importanti – ha dichiarato il cardinale Ravasi – perché attraverso un complesso iconografico di straordinaria intensità e bellezza, soprattutto di grande quotidianità, ci ricordano che qui, sotto terra, continuava la vita che si svolgeva sopra». Le catacombe non erano un posto di morte ma di vita e di vicinanza a Cristo, al punto che parenti e amici di un defunto, pur nel dolore del distacco, si recassero nelle catacombe per fare dei banchetti e riproducessero in questi luoghi un’atmosfera speculare alla vita che si svolgeva in superficie. «E questo era un modo – sottolinea il cardinale Ravasi – per affermare soprattutto la fede e la risurrezione nell’immortalità, in questa altra faccia della vita rispetto a quella rivolta verso di noi, che è la faccia dell’eternità».
Situate a sud est di Roma, le catacombe di Domitilla sono le più vaste di Roma con un’estensione di 12 chilometri su 4 livelli in un’area di 10 ettari. Ci sono 26 scale, 39 lucernari, 228 cubicoli, 650 arcosoli e circa 26.250 tombe, quasi tutte usate più volte. Ci sono 82 dipinti tra cui 21 nei cubicoli, 20 negli arcosoli e 23 nelle pareti con loculi. Le prime gallerie nell’area donata ai cristiani da Flavia Domitilla, nipote dell’imperatore Vespasiano, furono scavate tra la fine del II secolo e l’inizio del III e hanno un grande valore storico perché vi si mescolano elementi pagani e cristiani. «E’ una sorta di luogo di dialogo tra due espressioni religiose e due visioni del mondo – ha affermato Ravasi – che però trovano molte radici comuni». La peculiarità delle catacombe di Domitilla, infatti, è proprio quella di nascere come ipogeo (tunnel sotterraneo) di una famiglia pagana, probabilmente quella dei Flavi, per poi lentamente diventare un cimitero cristiano. In quello che era l’ingresso dell’ipogeo si trovano ancora a sinistra il pozzo necessario per i riti di sepoltura e a destra il triclinium in cui si consumava il refrigerium, il banchetto con cui si accompagnava l’anima del defunto. Nei pressi del triclinium è inoltre visibile una cappella funeraria nota come Cubiculum di Amore e Psciche. Elementi della cultura classica pagana, dunque, che sono stati poi mantenuti nella tradizione paleocristiana.
La caratteristica del restauro, come ha spiegato l’archeologa Barbara Mazzei, che ne ha diretto i lavori, è stata l’impiego del laser, per la prima volta, al fine di rimuovere le patine scure che si erano formate per la combinazione del calcare con alghe, muffe e il fumo delle lampade, riportando i colori quasi allo stato originario. L’intervento di restauro presentato riguarda due ambienti particolari, il «Cubicolo dei fornai» e quello dell’«Introductio». Il restauro dei due cubicoli, costato circa 60.000 euro, è interamente finanziato dalla Pontificia commissione di archeologia sacra. Al cosiddetto «Cubicolo dei fornai» sono raccontate attraverso numerose decorazioni le attività legate all’Annona, l’istituzione romana che gestiva le derrate alimentari nella città. Alcune scene riportate alla luce permettono di ricostruire come fosse gestito il commercio del grano e la distribuzione del pane. Ci sono invece altre scene che appartengono al repertorio della pittura paleocristiana e in particolare un collegio apostolico molto importante che fa riferimento, in base alla composizione, al più antico mosaico absidale che abbiamo a Roma che è quello di Santa Pudenziana.
L’altro cubicolo restaurato, più piccolo, è quello dell’«Introductio»: nella volta, in precedenza completamente annerita, sono rappresentate magnifiche scene bibliche (“tre fanciulli nella fornace”, “la moltiplicazione dei pani”, “il sacrificio di Isacco”, “Noè e l’arca”, “Mosè che colpisce la roccia”) e una scena con due defunti “introdotti”, presentati a Cristo, raffigurato molto giovane, tra due santi. Fabrizio Bisconti, sovraintendente della Pontificia commissione di Archeologia sacra, ritiene possa trattarsi di Nereo e Achilleo: due soldati romani morti martiri all’epoca di Diocleziano e sepolti nelle catacombe di cui in realtà sono gli eponimi.
L’altra novità presentata in anteprima è il piccolo museo di Domitilla, che aprirà nei prossimi giorni. Un’unica sala che sviluppa un tema affascinante – «Il mito, il tempo, la vita» – attraverso l’esposizione di sarcofagi attici, teste, statue, epigrafi, tutti ritrovati durante gli scavi e superbamente capaci di raccontare la vita quotidiana che ruotava intorno alle catacombe. Attraverso la narrazione di vita vissuta – come ha spiegato il professore Fabrizio Bisconti – il museo dimostra il significato vero delle catacombe cristiane: «il luogo deputato alla morte che poi era la vita per i cristiani, perché i cimiteri erano solo dormitori in attesa della risurrezione».
Il restauro ultimato delle catacombe di Domitilla, e il prezioso museo che le accompagna, illustrano al visitatore, attraverso immagini e simboli, la continuità tra cultura classica e cristiana nel lento e progressivo processo di cristianizzazione della società romana. Due culture, due espressioni religiose, accomunate però dalla stessa esigenza – innata nell’uomo – di trovare un senso alla vita e alla morte. Quel “senso” di “immortalità” che la cultura pagana esprimeva accompagnando il defunto con un banchetto, come un ultimo scampolo di vita donato dopo la morte, e che la fede cristiana ha trovato invece nella certezza della risurrezione. Dal mito al cristianesimo: il tempo, la vita, l’eternità.