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L’Aquila 10 anni dopo: “Quella notte crocifissa ha acceso una risurrezione più forte del sisma”

"La fede – ricorda il cardinale Petrocchi - ci dona la certezza che Gesù ci accompagna tutti i giorni della nostra vita, per rendere ogni “via crucis” una “via lucis”, se con Lui facciamo Pasqua. Per questo, l’eco di quel tragico 6 aprile di dieci anni fa, non resta un grido di dolore chiuso nell’anima della nostra città, ma deve tramutarsi in voce gioiosa che testimonia, al mondo intero, una vita abitata dall’Amore risorto e annuncia un’alba di speranza, che si alza - già da ora - sul cielo intrepido di L’Aquila!"

Lo ha affermato l’arcivescovo dell’Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, nel suo messaggio per il decennale del sisma che ha colpito il capoluogo d’Abruzzo

La fiaccolata in memoria delle 309 vittime del sisma

S’intitola “Memoria del passato, per essere costruttori di speranza” il messaggio scritto dall’arcivescovo dell’Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, in occasione dell’odierno decimo anniversario del sisma che il 6 aprile 2009 ha sconvolto L’Aquila e l’Abruzzo. Stanotte si è ripetuta la toccante e commossa fiaccolata con le istituzioni, rappresentate dal presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, i parenti delle vittime e tante associazioni. Al termine i 309 rintocchi delle campane per ricordare una ad una le vittime, quelli che il cardinale Petrocchi ha definito “309 martiri del terremoto”: «Facciamo memoria – esordisce il presule – di tutte le vittime di quella immane tragedia; le stringiamo a noi con un unico abbraccio e, al tempo stesso, le chiamiamo per nome: una ad una. La “notte crocifissa” del sisma ha suscitato lunghi giorni di dolore, ma anche ha acceso la luce di una graduale “risurrezione”, più forte della furia devastante del sisma. Le lacrime versate si sono rivelate feconde, ed hanno generato una abbondante fioritura di fraternità e solidarietà».

Il cardinale, ripensando al sisma, ha parlato innanzitutto di terremoto dell’anima: «La ricorrenza – che celebriamo con raccoglimento e volontà di ricostruzione “integrale” – ci obbliga a fare, insieme, una seria revisione – spiega -. Per questo, non parlerei di “terremoto”, ma di “terremoti”, non solo perché abbiamo avuto nuove repliche telluriche (nel 2016 e 2017), ma anche perché il sisma è un evento complesso e multiforme, difficile da cogliere nella sua distruttiva “globalità”. Quando sono venuto a contatto con gli effetti demolitivi delle scosse, mi sono accorto che, accanto alle macerie “visibili” (materiali), c’erano pure quelle “invisibili” (spirituali); allora ho cominciato a parlare di “terremoto dell’anima”, che costituisce l’altra faccia (quella meno esplorata) della storia del sisma. I sussulti geologici, che hanno fatto violentemente tremare il nostro territorio, non solo hanno demolito case e cose, ma hanno attivato anche “sciami problematici” profondi, che si sono propagati nella mente, nei sentimenti e nelle relazioni della nostra popolazione, producendo fratture e lasciando rovine: “nelle” e “tra” le persone. E queste “faglie” interiori, che caratterizzano il terremoto “dentro”, sono più dannose e durano più a lungo delle “onde” sismiche che determinano il “terremoto “fuori”».

Ma il terremoto, con i suoi effetti devastanti, nel capoluogo regionale è ancora ben visibile: «Ci sono luoghi di L’Aquila, tra cui il Duomo e la chiesa di Santa Maria a Paganica – ricorda l’arcivescovo dell’Aquila -, come anche nelle sue frazioni, in cui purtroppo il terremoto ancora si vede e “si respira”, con immensa tristezza! Viene da dire, guardando quei ruderi: tanti danni, per troppi anni. Ma ascoltando la gente, si coglie un dolore che ha bisogno, anzitutto, di essere captato, accolto e condiviso. Ho notato che tanti hanno una comprensibile ritrosia a raccontare ciò che portano negli angoli più remoti dell’anima: anzi, loro stessi hanno difficoltà ad entrare nei “ripostigli” psichici in cui hanno cumulato – e chiuso a chiave – emozioni sconvolgenti e domande che non trovano risposte. Occorrono perseveranza e robuste dosi di “amore samaritano” per aprire queste porte sbarrate e scrutare, con umiltà e affetto, gli “spazi” psicologici e sociali in cui ricordi e sentimenti sono gelosamente custoditi. Sono traumi che non si superano con il semplice spostamento geografico, perché se uno il terremoto lo porta inchiodato nell’anima, anche se cambia città, lo trascina con sé».

Ma ora la parola d’ordine dev’essere più che mai ricostruzione della quale, secondo il cardinale Petrocchi, è legittimo parlare al plurale: «Anzitutto – osserva – citando i molteplici “riscatti” architettonici che sono stati realizzati, nel corso del tempo, per restaurare i danni inferti dai numerosi sismi che si sono abbattuti sulla città. Infatti, se si scorrono gli annali della storia aquilana, si resta impressionati nell’apprendere che – nell’arco di otto secoli – si sono succeduti più di sette terremoti, di cui quattro disastrosi. Viene da chiedersi perché gli abitanti, con straordinario coraggio, sono rimasti sul posto ed hanno riedificato le loro abitazioni dove erano? Mi viene spontanea la risposta. Perché gli Aquilani sono Aquilani. Cioè, gente tenace e motivata che, grazie alla radicata fede cristiana e a solidi valori umani (collaudati dalle asprezze dell’ambiente montano) ha maturato un’ammirevole “resilienza”, che l’ha “equipaggiata” per affrontare e vincere gli attacchi minacciosi del terremotosenza mai indietreggiare. In essi ha prevalso l’attaccamento alla loro terra, la fedeltà alle tradizioni e la irremovibile convinzione di potercela fare. Oggi sentiamo di dire, con orgoglio, che hanno avuto ragione! Anche davanti alle incursioni devastanti del terremoto, la bandiera di L’Aquila non è stata mai ammainata dalle sue mura ed ha continuato a sventolare con fierezza davanti agli occhi del mondo».

Card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila

Ma sul fronte della ricostruzione molto resta ancora da fare, dato che la ricostruzione privata è stata completata al 75% mentre quella pubblica è ancora ferma al palo: «Quando, poi, si parla della ricostruzione odierna – precisa il cardinale Giuseppe Petrocchi – bisogna riconoscere con gratitudine che molto è stato fatto e si sta facendo. Ma va pure detto, con onesta franchezza, che numerose promesse sono state smentite dai fatti e tante attese sono state tradite. Sta, penosamente, davanti agli occhi di tutti la ricostruzione mancata. Poi, se lo sguardo spazia oltre il perimetro urbano di L’Aquila, si ha l’impressione che in diversi borghi e in frazioni periferiche si stia ancora all’ “anno zero”. Nonostante la buona volontà di soggetti istituzionali e di organismi locali, si sono sommati disguidi e ritardi, causati da “labirinti normativi” e “artrosi burocratiche”. Gli errori fatti debbono essere rilevati con rigore, per essere “riparati”, se possibile! In ogni caso, vanno segnalati perché altri non incorrano negli stessi incidenti di percorso». Da qui un appello, che si unisce a quello espresso ieri dal segretario generale della Cei monsignor Stefano Russo: «Auspichiamo una semplificazione delle procedure – afferma il cardinale – e una velocizzazione delle operazioni attuative perché, sulle corte distanze, vengano riaperte case, strutture pubbliche e chiese (che non sono solo sedi di culto, ma luoghi identitari), ancora inagibili».

E dietro il bisogno di ricostruire c’è tutta la forza di volontà del popolo aquilano: «Non si evidenzierà mai abbastanza – ammonisce il porporato – che la ricostruzione di una città è impresa di popolo. C’è una saggia sentenza latina che così asserisce “Quod omnes tangit, ab omnibus tractari debet” (ciò che riguarda tutti, deve essere da tutti trattato). Gli amministratori e i tecnici operano a nome del popolo, non al posto del popoloSono servitori, non sostituti. Per ricostruire bene le pareti delle abitazioni, occorre prima ricostruire le case nel cuore della gente con i mattoni della fiducia e il cemento della concordia. Bisogna avere orizzonti ampi, visioni lungimiranti e capacità di confronto “allargato”. Nelle comunicazioni progettuali e nei dibattiti civici è necessario adottare la grammatica dell’unità e il vocabolario dell’amicizia, promuovendo la fattiva testimonianza della convergenza, della corresponsabilità e della partecipazione. Si deve combattere, come patologia sociale, ogni forma di particolarismo e di egocentrismo elitario, per evitare ogni miope restringimento prospettico ricordando che è legittimo sostenere un punto di vista, purché non si riduca solo alla vista di un punto».

Ma ancora prima la ricostruzione più importante da completare, è quella del tessuto sociale aquilano: «La ricostruzione più importante – ricorda l’arcivescovo Petrocchi –, che deve marciare parallela a quella “edilizia” è la ricostruzione dei cittadini” e della comunità sociale ed ecclesiale. Va precisato, però, che difficilmente si esce dal “terremoto dell’anima” per “guarigione spontanea”. La terapia che cura questi “dissesti” interiori non si improvvisa. Occorrono percorsi spirituali, psicologici e sociali adeguatamente “calibrati” e attrezzati. È urgente, perciò, mettere in atto sistemi ed esperienze di accompagnamento che aiutino le persone a dialogare con le tensioni che covano dentro, per imparare ad integrarle positivamente nella propria esistenza. Questi interventi mirati chiedono competenze professionali, specificità di contenuti e metodologie appropriate. Si tratta, infatti, di apprendere e praticare l’arte di ricavare vantaggi dalle avversità e perfino dalle sventure».

E la ricostruzione dell’Aquila è un obiettivo che deve vedere uniti tutti i portatori d’interesse: «Risulta fondamentale – conferma l’arcivescovo dell’Aquila – che tutti i soggetti “abilitati” a questo tipo di lavoro (la Chiesa, le Istituzioni pubbliche, la Scuola e l’Università, gli organismi che hanno fini educativi ed assistenziali, il Mondo della Sanità e dei Media…) trovino forme di raccordo e d’intesa, che consentano di scambiare idee e strategie capaci di favorire dinamiche sananti e processi migliorativi per la vita delle persone e della popolazione. In sintesi occorre mobilitare – in forme di buona sinergia – la dimensione religiosa, culturale, sociale e politica (nel senso più nobile del termine), sapendo che solo insieme (nessuno escluso) si può vincere la sfida che il terremoto ci ha lanciato. Si tratta di un’opera da mettere in cantiere, nel segno della coesione: lo dobbiamo non solo ai nostri compagni di viaggio (specie i giovani e i ragazzi), ma anche alle generazioni che verranno».

Del resto, a detta del porporato, il terremoto non ha portato solo devastazione, ma anche nuove opportunità: «Ad esempio – approfondisce – i rimescolamenti sociali, provocati dai trasferimenti imposti dall’urgenza di lasciare le case lesionate per occupare contesti abitativi diversi (come le new town), hanno suscitato – congiuntamente a disorientamenti e precarietà – alcuni effetti positivi, perché sono stati rotti alcuni schemi abitudinari e aperte inedite prospettive relazionali. Anche dal punto di vista economico e produttivo, come pure nelle logiche imprenditoriali e professionali, si sono spalancate promettenti vie di sviluppo, destinate – se percorse con investimenti opportuni e imprenditoria intelligente – ad assicurare fonti di benessere alle famiglie e offerte di lavoro ai giovani. Le stesse spinte propulsive – in una città che riacquista e migliora il suo splendore – dovrebbero registrarsi in campo turistico, culturale e artistico. Anche sulla funzione di capoluogo di regione cala l’obbligo di conseguire forme più efficaci di sana “leadership” e di coordinamento creativo. Ci auguriamo che queste previsioni e linee di tendenza non vengano frenate e ridimensionate – o peggio ancora, bocciate – dalla realtà».

Anche perché perfino da terribili sciagure come queste, c’è qualcosa da imparare: «La sciagura del sisma, che ha lacerato con ferocia il nostro territorio – osserva il cardinale -, non va solo sofferta, vinta e capovolta nel suo contrario (cioè, in una opportunità di crescita), ma va pure pensata e trasformata in una preziosa lezione di vita e di progresso scientifico/tecnologico, per noi e per gli altri. L’Aquila deve superare la insidiosa “sindrome del cratere”, che potrebbe chiuderla nella cinta delle montagne che le fanno corona. La vicenda che ha vissuto la chiama ad esercitare una “docenza” universale; non solo trovando la forza di raccontare l’evento traumatico che l’ha duramente colpita, ma offrendo contributi teorici e applicativi, che possano risultare paradigmi di buona gestione, utili anche per altri centri feriti da calamità simili. L’Aquila, dunque, ha la missione di offrirsi come Luogo di incontro (a livello nazionale e internazionale), come città-laboratorio e come Sede di studi che si specializzano sul tema della emergenza, del soccorso e della ricostruzione».

Dal cardinale Petrocchi è quindi giunto un invito a recuperare il senso del tempo: «Perché il terremoto – denota – ha spezzato la normale continuità storica, scavando un solco tra il “prima”, l’“oggi” e il “dopo”. Tra questi segmenti temporali vanno ristabiliti buoni collegamenti. L’Aquila, infatti, non ha bisogno solo di giorni in più, ma di giorni “nuovi” carichi di un “fertile” avvenire. Per sostenere questo processo, occorre tenere la mano al polso degli eventi, per registrare il ritmo cardiaco della comunità. Infatti, non si può parlare del futuro di un popolo se si non si conosce il suo passato, poiché come scrive Primo Levi “Il futuro batte con un cuore antico”».

Nel suo messaggio per il decennale del sisma, l’arcivescovo Giuseppe Petrocchi ha poi rivolto un messaggio particolare ai soccorritori: «Il decennale – constata – è anche occasione preziosa per fare memoria di tutti coloro che si sono fatti “prossimi”, nei giorni del terremoto e nel periodo successivo, spendendosi con generosità e scrivendo indimenticabili pagine di ordinario eroismoPenso agli innumerevoli interventi di aiuto, fatti con intelligenza, con tempestività e con operosità instancabile. Come non ricordare la visita di Papa Benedetto XVI (il 28 aprile 2009), le Forze dell’ordine con la Guardia di Finanza, i Vigili del Fuoco, la Protezione civile e i volontari, che si sono prodigati con commovente dedizione? La fiamma del “grazie” non si estingue dal cuore degli aquilani, anche perché il bene – ricevuto e ricambiato con sincerità – rimane per sempre».

E con l’approssimarsi della Pasqua, il porporato ha fatto un parallelismo tra la rinascita post sisma e la risurrezione: «La fede – conclude – ci dona la certezza che Gesù ci accompagna tutti i giorni della nostra vita (specie in quelli visitati dalla sofferenza), per rendere ogni “via crucis” (singolare o collettiva) una “via lucis”, se con Lui facciamo Pasqua. Per questo, l’eco di quel tragico 6 aprile di dieci anni fa, non resta un grido di dolore chiuso nell’anima della nostra città, ma deve tramutarsi in voce gioiosa che testimonia, al mondo intero, una vita abitata dall’Amore risorto e annuncia un’alba di speranza, che si alza – già da ora – sul cielo intrepido di L’Aquila!».

About Davide De Amicis (4483 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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