“Abbiamo paura di perderci nella storia, ma solo così ci si ritrova”
"Noi - afferma Riccardi - siamo convinti che in questo scenario di guerra a pezzi, come definita da Papa Francesco, dobbiamo smontarla perché rischia di ricomporsi. Noi credo che possiamo definirci pacificatori, più che pacifisti, e penso che dovremmo prendere coscienza del dramma costante della guerra. Resto sempre fedele al pensiero di don Luigi Sturzo, il quale scriveva “Come il mondo ha abolito la schiavitù, verrà un giorno in cui il mondo potrà abolire anche la guerra”
È stata una conversazione a 360 gradi sui temi della fede, della povertà, dell’accoglienza e della pace, quella avvenuta martedì 28 aprile all’Aurum di Pescara, quella avvenuta tra il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e la docente di Diritto canonico all’Università di Teramo Cristina Dalla Villa. Un appuntamento molto partecipato dalla cittadinanza, su tutti il sindaco uscente di Pescara Marco Alessandrini e l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, che ha voluto scoprire l’ultimo libro di Riccardi, edito da Edizioni San Paolo, “Tutto può cambiare” frutto delle conversazioni avvenute con il teologo Massimo Naro.
Il primo argomento di discussione è stato quello della storia che attualmente stiamo vivendo: «Noi tutti – esordisce il fondatore della Comunità di Sant’Egidio -, italiani ed europei, abbiamo paura della storia, perché abbiamo paura del futuro. Abbiamo paura degli sbarchi, che sembrerebbero rovesciare il mondo sulle nostre coste, di questa globalizzazione immensa gestita da mani invisibili e aiutata da flussi finanziari dei quali non si conosce chi li regola. Abbiamo tutti voglia di recintare il presente e recintare il nostro spazio geopolitico. La cultura del muro, del confine, dell’io, del noi. C’è un grande legame tra l’egocentrismo, il narcisismo, il nazionalismo e il sovranismo. Quando dico “Sono io” e “Siamo noi”, dico “Sono io ora” e qui c’è lo smarrimento della dimensione della storia come passato e lo smarrimento della dimensione del futuro e della speranza. Anche dal punto di vista esistenziale, la mia generazione vuole fermare una specie di eterna giovinezza e di eterna adultità. Ha paura di diventare vecchia e di avere figli. È paura della storia. Una volta tutto si faceva con la storia; oggi, da un punto di vista culturale, la dimensione storica, nell’insegnamento e a tanti livelli, è una dimensione che si allontana, così come si allontana la memoria. Si sta perdendo la memoria di ciò che è stata la seconda guerra mondiale. La nostra politica e l’Unione europea è stata costruita sulla dimensione della guerra. Io penso che ciò che manca alla dimensione civico-politica è quella della storia, da cui veniamo e quella che vogliamo essere. Ma anche il grande limite del cristianesimo, che si è ripiegato nella difesa di qualche valore, in una dinamica ecclesiastica, e non ha accettato di navigare nella storia. Ma il grande messaggio del Concilio Vaticano II, e dei suoi papi come Giovanni Paolo II, è quello di un cristianesimo che naviga nella storia e quindi, come dice Papa Francesco, “Un cristianesimo di popolo che non ha paura di perdersi nella storia”. La grande angoscia dell’uomo, della donne e delle istituzioni contemporanee è di perdersi un mondo diventato troppo grande. Io credo che evangelicamente, ci si perde per ritrovarsi».
Ma cosa vuol dire perdersi?: «Vuol dire incontrare gli altri – spiega Riccardi -, dialogare, essere solidali, essere con. E qui c’è una domanda sull’identità cristiana. In questo mondo globale ci sono tante identità, perché ci ha fatto sentire nudi e ci ha fatto rivestire tutti di tante identità, ma quella cristiana è un’identità aperta».
Successivamente Andrea Riccardi, citando la grande attività di mediazione della Comunità di Sant’Egidio per ottenere la pace in scenari di guerra come quello del Mozambico alla fine degli anni ’80, ha riflettuto sull’attuale scacchiere geopolitico: «In questa situazione internazionale – rilancia il fondatore dell’organizzazione laicale -, tutti possono fare la pace perché siamo in un tempo di terrorismo in cui tutti possono fare la guerra. E noi siamo convinti che tutti possono fare la pace. Noi siamo convinti che in questo scenario di guerra a pezzi, come definita da Papa Francesco, dobbiamo smontarla perché rischia di ricomporsi. Noi credo che possiamo definirci pacificatori, più che pacifisti, e penso che dovremmo prendere coscienza del dramma costante della guerra. Resto sempre fedele al pensiero di don Luigi Sturzo, il quale scriveva “Come il mondo ha abolito la schiavitù, verrà un giorno in cui il mondo potrà abolire anche la guerra”».
La riflessione dell’ex ministro della Cooperazione internazionale e dell’integrazione, si è poi concentrata sull’emigrazione, a partire da quella che avviene in Italia: «Il vero problema – denuncia il fondatore della Comunità di Sant’Egidio – sono i 300 mila italiani dai 24 ai 44 anni che ogni anno se ne vanno dal nostro Paese. Perché? Sono stato a Londra, dove è pieno di italiani che fanno i baristi, i camerieri e i portieri d’albergo. E quando faccio notare a loro che questi lavori potevano farli anche in Italia, loro rispondevano che qui lo potevano farlo in inglese. C’è una fuga dal nostro Paese, che non è solo una questione di lavoro. È che la gente non crede più che l’Italia sia la terra del futuro, ma crede che sia quella del tramonto. Io mi angoscio più per loro che per quelli che vengono nel nostro Paese, anche perché gli imprenditori ci dicono che hanno bisogno di manodopera».
Quindi Riccardi è tornato agli incontri di preghiera interreligiosi di Assisi, lanciati nel 1986 da Papa Giovanni Paolo II: «Lo spirito di Assisi – sottolinea – è ancora attualissimo, perché è la risposta a quanto teorizzato dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, ovvero lo scontro di religioni. Invece l’arte delle religioni è di vivere insieme. Il dialogo non è accademico o teologico, ma è costruire un tessuto umano in cui si vive insieme. Questa è la proposta che Papa Francesco ha fatto sua ad Assisi, nel trentennale del primo incontro del 1986. Del resto, oggi non esistono più mondi omogenei, ma sono tutti fondati su di una realtà interetnica e interreligiosa. E la sfida delle città, delle periferie in Europa e fuori Europa, nei Paesi di migrazione come quelli africani, è vivere insieme. E le religioni possono essere benzina che alimenta il fuoco dei conflitti o acqua che spegne il fuoco di questi conflitti».
Da qui il tema dell’esistenza di Dio per l’uomo: «Il grande problema oggi – rileva Riccardi – è quella della rilevanza di Dio nella vita di ciascuno di noi. “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi?”. Tanti libri sono stati scritti sull’esistenza di Dio, ma il grande problema e il grande scandalo è “Perché io sono rilevante per Dio?”. E con questa memoria che Dio ha di ciascuno di noi, esprime una misericordia che è davvero infinita. Credo che la dimensione fondamentale del discepolo è quella del cristiano, che è strutturalmente un discepolo. Io penso che il discepolo è stato chiamato tale sul Mar di Galilea ed è stato chiamato cristiano dagli altri che li vedevano da fuori».
E la vita del cristiano è tenuta insieme dal filo della preghiera, che accompagna anche le attività della Comunità di Sant’Egidio: «Con essa – conclude Andrea Riccardi – avviene la scoperta della dimensione umana e religiosa del povero, che non è solo l’utente di un servizio, ma è una persona che ha bisogno di parlare, di solidarietà, di ritrovare una famiglia. Una dimensione che, in generale, abbiamo smarrito perché abbiamo seguito una dimensione istituzionale e assistenziale. Ma l’altra è la dimensione religiosa ed evangelica del povero che, incontrandolo, trasmette un messaggio che fornisce una dimensione decisiva per la nostra pienezza umana e spirituale».