“Cari diaconi, vi auguro di non avere tempo di mangiare per il Signore”
"Che il vostro cuore - auspica l'arcivescovo Valentinetti - sia realmente l’andare verso quelle persone che sentono maggiormente il bisogno di incontrare l’amore di Dio, perché sono pecore senza pastore. E che oggi ce ne sono tante di pecore senza pastore, non è difficile individuarlo. Che ci sono persone che non sentono più il richiamo della fede, che non sentono più il legame con la spiritualità, ma soprattutto persone che hanno smarrito il contatto con la Parola di Dio o a cui la Parola di Dio non è stata mai annunciata e se pure stata annunciata, è stato fatto superficialmente. Per cui, siate realmente pieni di compassione"

Sono stati ordinati diaconi dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella serata di sabato 17 luglio, nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara, gli accoliti Roberto Goussot (proveniente dalla parrocchia di San Luigi Gonzaga a Pescara), fra Paride Ammirati (frate conventuale minore della parrocchia di Sant’Antonio di Padova a Pescara), Carlo Faraone (medico in servizio presso le case di riposo della Fondazione Paolo VI e proveniente dalla stessa chiesa madre diocesana) e Vincenzo Passali (medico otorinolaringoiatra in servizio presso l’ospedale civile di Pescara, nonché proveniente dalla parrocchia della Santa Famiglia del capoluogo adriatico). Quest’ultimo, in particolare, essendo sposato e padre di due figlie, è divenuto diacono permanente, mentre Roberto, fra Paride e Carlo sono divenuti diaconi transeunti in attesa di accedere – il prossimo anno – al sacerdozio. È stata una celebrazione eucaristica particolarmente toccante quella presieduta dal presule, concelebrata da decine di sacerdoti diocesani, e partecipata da un folto pubblico di fedeli ubicati lungo le navate della Cattedrale.

Nell’omelia l’arcivescovo Valentinetti ha fatto riferimento innanzitutto al Vangelo domenicale, ritenuto provvidenziale per l’occasione: «Ciò che emerge dalla Parola che abbiamo ascoltato e, in particolare dal salmo – osserva -, è che il Signore è il nostro unico e solo pastore. È Lui che ci guida su pascoli erbosi, che ci fa riposare ad acque tranquille. Ma è Lui che si prende cura del suo popolo e delle sue pecore, anche quando accade l’imprevisto o ciò che mai dovrebbe accadere. Cioè che coloro che sono stati costituiti pastori non riescono, o perché non possono o perché non vogliono, ad adempiere al ministero che è loro affidato. E allora Geremia ci ha fatto ascoltare “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli. E, nondimeno, costituirò sopra di esse pastori che le porteranno al pascolo ed esse non avranno più paura né spavento”. Ma poi la profezia è divenuta ancora più chiara, quando dice “Susciterò a Davide un germoglio giusto”. Dunque il vero e unico germoglio, il Figlio di Davide, il Signore Gesù che è venuto a radunare definitivamente il suo popolo. E questo ministero Gesù lo ha svolto in pienezza e verità. La pagina del Vangelo non ci dice nient’altro che questo, che Gesù era addirittura affaticato e stanco – umanamente parlando – di quel ministero della Parola e ministero di immersione nella umanità che lo circondava tanto da dire ai discepoli “Andate anche voi”. Li aveva costituiti e mandati, a due a due, perché portassero avanti la sua stessa missione. Ma poi, quando anch’essi tornarono stanchi e affaticati, dice “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un poi’”. Infatti erano in molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare».
Da qui l’arcivescovo di Pescara-Penne ha tratto un primo augurio da rivolgere ai neo diaconi: «Cari accoliti che sarete ordinati diaconi – auspica -, mi auguro che il vostro ministero sia simile a quello degli apostoli, che non abbiate neanche il tempo di mangiare per il Signore, per la Chiesa, per l’Evangelo. Custodite il riposo, perché sempre a Gesù dovete tornare, così come gli apostoli tornarono a Lui, ma che quei tempi in cui andate in disparte con Lui, siano i tempi della rigenerazione e del recuperare le forze, della preghiera e dell’interiorità, per poi tornare con slancio rinnovato a ridire a tutti l’amore del Signore. Ma soprattutto, per quelli che diventeranno presbiteri ma anche per te carissimo Vincenzo che sarai diacono permanente, che il vostro cuore sia realmente l’andare verso quelle persone che sentono maggiormente il bisogno di incontrare l’amore di Dio, perché sono pecore senza pastore. E che oggi ce ne sono tante di pecore senza pastore, non è difficile individuarlo. Che ci sono persone che non sentono più il richiamo della fede, che non sentono più il legame con la spiritualità, ma soprattutto persone che hanno smarrito il contatto con la Parola di Dio o a cui la Parola di Dio non è stata mai annunciata e se pure stata annunciata, è stato fatto superficialmente. Per cui, siate realmente pieni di compassione. Fate fremere le vostre viscere, perché questa è la vera compassione, così come le viscere di Gesù per portare ad essi la vera pace, per portare ad essi il vero amore. Incarnerete così il ministero di pastori secondo il cuore di Dio».

In seguito, monsignor Tommaso Valentinetti ha rivolto un pensiero personale a ciascuno dei quattro candidati al diaconato, a partire dal Roberto Goussot: «La tua storia d’incontro con il Signore – constata – è molto bella e intensa. È stata segnata in maniera bellissima anche dalla presenza del tuo papà, che io questa sera amor ricordare in quest’assemblea. Un papà che forse, apparentemente, non era esplicitamente in comunione con la fede, ma nell’interiorità ti ha dato tutto quello che poteva darti perché tu potessi camminare su questa strada». Quindi, il presule si è rivolto a fra Paride Ammirati: «A te che non conosco personalmente – ammette l’arcivescovo –, ma che il tuo Provinciale e i tuoi confratelli frati minori conventuali mi hanno presentato affinché io potessi darti il ministero del diaconato, dico una parola “Perditi dietro San Francesco”. Non avere nessuna remora di perderti dietro di lui, ma di imitarlo non tanto in un pauperismo sciocco – il tuo ordine non è mai stato in questa logica – ma quanto in un’imitazione di capire realmente cosa significa portare il Vangelo di Gesù Cristo a tutti».
Invece un discorso a parte, l’arcivescovo Valentinetti l’ha dedicato ai due diaconi-medici: «Qualcuno – riflette il presule – si domanderà perché questa sera ordino diaconi due medici, Vincenzo e Carlo. Li ordino diaconi per il loro lunghissimo cammino e li ordino diaconi per un motivo molto semplice, perché il diacono non è solo l’uomo della liturgia, non è solo l’uomo della Parola. È anche l’uomo della carità, è l’uomo della condivisione, è l’uomo della stare in mezzo agli uomini di questo tempo, a toccare le piaghe di questa umanità. E Vincenzo e Carlo, in quest’ultimo periodo, hanno toccato le piaghe di questa umanità. Siate coraggiosi nel vostro essere medici, ma siate ancor di più coraggiosi nel far trasparire – sempre dentro la vostra professione – l’immagine di quel buon pastore che ha viscere di misericordia e si china sugli ultimi, sui malati, sui poveri, su chi non ha nulla. A te carissimo Vincenzo, la custodia di una custodia forte della professione e della famiglia che ti è stata affidata. A te Carlo, un pensiero di rendimento di grazie al Signore, per questo lungo e tortuoso itinerario di fede che oggi giunge a compimento e che il Signore ha sicuramente ricompensato, non fosse altro per l’impegno nella fedeltà». Infine, l’arcivescovo ha rivolto un augurio finale a tutti e quattro i nuovi diaconi: «Che il Signore – conclude – benedica voi tutti e vi conservi nel suo amore e nella sua pace».
LA STORIA DEI QUATTRO DIACONI

ROBERTO GOUSSOT è cresciuto in una famiglia composta da altri tre fratelli oltre a lui e ha intrapreso gli studi teologici dopo essersi laureato. Una vocazione, la sua, che si intreccia fra la sua città d’origine, Reggio Emilia, e quella che l’ha visto crescere e formarsi, Pescara: «Fin da molto piccolo – racconta intervistato dall’equipe liturgica della Cattedrale di San Cetteo – ho iniziato a partecipare alla messa insieme ai miei fratelli. Non ricordo mai una domenica senza la messa, la mamma ci ha sempre tenuto a portarci. La mia storia d’amore con il Signore ha avuto luogo inizialmente nella mia città natale, dove ho preso i sacramenti e mi piaceva ascoltare la Parola del Signore, in modo particolare alcuni canti biblici che sono entrati fin da subito nel mio cuore. Quindi possiamo definire Reggio Emilia come la mia Nazareth, dove sono nato e cresciuto. Poi, arrivato a Pescara all’età di 13 anni, ho iniziato fin da subito a frequentare la parrocchia di San Luigi Gonzaga, che possiamo definire la mia Galilea delle genti, dove sono stato chiamato dal Signore attraverso un percorso anche lungo. Fin da subito sono entrato negli scout, ho iniziato a collaborare con il coro e ho incontrato il movimento Pro Sanctitate che mi ha aiutato tantissimo negli anni dell’università. A questo punto è venuto fuori il desiderio di incontrare Dio, entrarci in intimità e costruire un rapporto profondo con Lui. Non riuscivo più a contentarmi delle cose normali. Poi, piano piano, il Signore si è fatto strada e così, dopo gli anni dell’università, attraverso un discernimento anche lungo e faticoso, ho capito che il Signore mi aspettava per questa chiamata d’amore».

FRA PARIDE AMMIRATI è invece un giovane frate conventuale minore, che si avvia a consacrarsi anche sacerdote passando attraverso il diaconato: «Una scelta – racconta – che si concilia alla perfezione con la spiritualità francescana. Nella mia domanda di prendere l’ordine del diaconato, ho fatto presente ai miei superiori la continuità che c’è tra questo tipo di ministero ecclesiale e la nostra spiritualità, che poggia le sue fondamenta sulle dinamiche del servizio. Non a caso Francesco è stato il santo che ha rilanciato il concetto di ministero, recuperando una radice etimologica incerta, ma molto suggestiva, del fatto che il ministero è un servizio in quanto appartiene a chi sta sotto. Per servire bisogna farsi poveri e avere la percezione di essere soltanto delle creature. Per San Francesco può servire chi non si appropria del potere, chi non si illude di essere potente, perché uno solo è l’Altissimo onnipotente e noi altri siamo creature che devono servirsi vicendevolmente come ha fatto il Signore».

Per CARLO FARAONE, la vocazione è giunta particolarmente inattesa: «È stato un percorso lungo – ricorda -. Una cosa importante che ho capito è conoscere l’amore del Signore, il quale si esprime attraverso il servizio. Ho conosciuto l’amore del Signore in un momento, per così dire, difficile della mia vita. Avevo tutto, ma cercavo qualcosa di più. Un giorno sono entrato in chiesa e, recitando un Padre nostro, mi sono reso conto di un amore che andava ben oltre quello che conoscevo, quella della mia fidanzata dato che all’epoca volevo formare una famiglia. Man mano, attraverso il discernimento dei sacerdoti che mi hanno seguito, ho iniziato a capire che il mio cammino non era quello di formare una famiglia, ma di dedicare la mia vita al Signore e al servizio al prossimo».

Per il dottor VINCENZO PASSALI, che già ha formato una famiglia, la vocazione al diaconato permanente l’ha scoperta anch’egli in modo del tutto casuale: «Il primo segno – spiega – è avvenuto una domenica. Il sacerdote mi aveva chiesto di dargli una mano a distribuire la santa eucaristia. È stata una cosa inaspettata che non avrei mai pensato di fare però, con un po’ di tremore, ho svolto questo compito che mi aveva dato don Camillo allora della parrocchia della Stella Maris. Successivamente, con il mio parroco abbiamo avviato un servizio dedicato ai malati. La domenica andavo a distribuire l’Eucaristia nelle loro case. In seguito mi è stato poi proposto il cammino per il diaconato permanente. Inizialmente avevo rifiutato questa proposta, per questioni di lavoro e di famiglia. Pensavo di non avere tempo per lo studio. Ma poi sono accaduti degli avvenimenti dolorosi, con un mio amico che si è ammalato ed è morto. Quindi l’amicizia con un sacerdote ha ridestato in me questa domanda e lì ho capito che è proprio Dio a fare le cose. Avevo tante idee per la testa, ma è Lui a prendere l’iniziativa. Così ho pensato di rimettermi a studiare, essendomi laureato in Teologia nel 2018. Grazie al sostegno fondamentale di mia moglie, ho fatto questo percorso che mi ha aiutato non soltanto in famiglia, ma anche nel mio lavoro di medico e nella cura amorosa e attenta del malato».