Italiani nel mondo: l’unica parte del Paese che continua a crescere
"La Chiesa in Italia – conferma monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana - ha in questo momento una priorità che è allo stesso tempo una preoccupazione pastorale, le nuove emigrazioni giovanili. Gli italiani emigrano oggi massicciamente e i giovani sono i protagonisti principali. Non basta la sola assistenza morale e spirituale. La Chiesa deve essere compagna di vita per ciascuno di loro, la parrocchia una casa"
L’unica Italia che continua a crescere è quella dei residenti all’estero. Al 1° gennaio 2021 questi ultimi erano 5.652.080 (il 9,5% degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia) con un aumento del 3% nell’ultimo anno, pari a 166 mila presenze. Invece l’Italia ha perso 384 mila residenti sul suo territorio. È questo il dato più importante e preoccupante ad emergere dalla XVI edizione del Rapporto italiani nel mondo 2021, curato dalla Fondazione Migrantes e presentato ieri a Roma. Il 45% degli oltre 5,6 milioni di iscritti all’Aire (l’anagrafe per gli italiani all’estero) ha tra i 18 e i 49 anni, il 15% sono minori, il 20,3% ha più di 65 anni. La Sicilia è la comunità più numerosa all’estero, con oltre 798 mila iscrizioni, seguita da Lombardia, Campania, Lazio e Veneto. Ci sono più italiani in Argentina (884.187, il 15,6%) che in Germania (801.082, 14,2%), tantissimi sono anche in Svizzera (639.508), Brasile, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. I cittadini italiani residenti fuori dal nostro Paese, negli ultimi 16 anni sono aumentati dell’82%, le donne in particolare dell’89,4%.
Un processo che è, nel contempo, di femminilizzazione e di familiarizzazione: «A partire – rileva il rapporto – sono sicuramente oggi moltissime donne alla ricerca di realizzazione personale e professionale, ma vi sono anche tanti nuclei familiari con figli al seguito, legati o meno da matrimonio». In base ai dati dell’Ufficio centrale di statistica del Ministero dell’Interno, aggiornati all’inizio del 2020, su quasi 5,5 milioni di residenti all’estero, le famiglie sono 3.223.486. Da 10/15 anni, quando gli italiani hanno ripreso a partire con frequenza, c’è stato un +76,8% di aumento dei minori; +179% circa l’aumento dei cittadini iscritti all’Aire tra i 19 e i 40 anni; +158,1% i nati all’estero da cittadini Aire; +128,6% le acquisizioni di cittadinanza e +42,7% le iscrizioni all’Anagrafe per ragioni di espatrio. Le iscrizioni da meno di cinque anni sono aumentate del 24,4%, quelle al di sopra di 10 anni del 127,8%. Gli italiani hanno continuato ad emigrare perfino durante il 2020, l’anno della pandemia di Covid-19, per quanto con cifre ridimensionate. Una dinamica, quest’ultima, in contrasto con i valori in continuo aumento da 10/15 anni. Nel 2020 sono partiti 109.528 italiani, 21.408 persone in meno rispetto all’anno precedente (variazione del -19,5%). Il 54,4% (59.536) erano maschi, il 66,5% (72.879) celibi o nubili, il 28,5% (31.268) coniugate/i, il 2,2% divorziate/i (2.431).
Da gennaio a dicembre 2020 si sono iscritti all’Aire 222.260 cittadini italiani, il -13,7% dall’anno prima quando erano quasi 258 mila. Il 49,3% si è iscritto per espatrio (nel 2020 era 50,8%); il 36,0% lo ha fatto per nascita all’estero (nel 2020: il 35,5%); il 5,9% per reiscrizione da irreperibilità (nel 2020: il 6,7%); il 3,2% per acquisizione di cittadinanza (nel 2020: 3,6%); lo 0,5% per trasferimento dall’Aire di un altro Comune (nel 2020 lo 0,7% nel 2020) e il 5,0% per altri motivi (nel 2020: il 2,7%): «Già da questi dati – evidenzia il rapporto – è evidente che la mobilità degli italiani con la pandemia non si è arrestata, ma ha sicuramente subito un ridimensionamento che non riguarda, però, le nuove nascite all’estero da cittadini italiani, ma piuttosto le vere e proprie partenze, il numero cioè dei connazionali che hanno materialmente lasciato l’Italia recandosi all’estero da gennaio a dicembre 2020».
Nonostante la generale riduzione, le caratteristiche complessive restano invariate rispetto al 2020. Si tratta, cioè, di una mobilità prevalentemente maschile, giovane (il 42,8% ha tra i 18 e i 34 anni, percentuale al rialzo di 2 punti percentuali rispetto all’anno precedente) e giovane adulta (il 23,1% ha tra i 35 e i 49 anni). I minori si confermano il 20,2%. Nel generale calo registrato nel numero delle partenze, pari a -16,3%, le diminuzioni maggiori si riscontrano per gli anziani (-28,7% nella classe di età 65-74 anni e -24,7% in quella 75-84 anni) e per i minori al di sotto dei 10 anni (-20,3%). Degli oltre 109 mila connazionali che si sono spostati all’estero nel 2020, il 78,7% lo ha fatto scegliendo l’Europa come continente, compiendo presumibilmente una scelta di vicinanza in tempi difficili.
La Chiesa italiana assiste con preoccupazione a questo fenomeno migratorio italiano, specie per quanto concerne le partenze dei giovani: «La Chiesa in Italia – conferma monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana – ha in questo momento una priorità che è allo stesso tempo una preoccupazione pastorale, le nuove emigrazioni giovanili. Gli italiani emigrano oggi massicciamente e i giovani sono i protagonisti principali. Cosa siamo chiamati a fare per i tanti fedeli di lingua italiana che arrivano all’estero oggi, spinti dalla necessità di trovare una realizzazione personale e lavorativa? Non basta la sola assistenza morale e spirituale. La Chiesa deve essere compagna di vita per ciascuno di loro, la parrocchia una casa».
Secondo monsignor Russo, c’è un’altra Italia che non va dimenticata: «Della quale – esorta – dobbiamo sentirci responsabili tutti, la Chiesa in Italia ma non solo. Mi riferisco agli italiani che sono all’estero da più tempo, magari in età avanzata e di quelle generazioni nate e/o cresciute all’estero, ma che continuano ad avere legami profondi con il nostro Paese. Parlo delle comunità di lingua italiana più strutturate, da tempo ormai insediate in territori fuori dei confini italiani, ma che sentono forte la necessità di rinvigorire i legami rinnovando sentimenti di amicizia e affetto reciproci». Da qui l’invito del presule «a lavorare per una Chiesa sinodale, preparata all’incontro, ma anche al transito del migrante perché solo una parte resta nel primo luogo raggiunto con il percorso di mobilità, molti altri continuano nella loro ‘ricerca della felicità’».
La presentazione del Rapporto “Italiani nel mondo”, per la Cei, è quindi «un’occasione di incontro, dialogo e confronto anche con le istituzioni – rimarca il segretario generale della Cei -. Per noi è un impegno a essere pienamente in dialogo con le istituzioni, nazionali, europee e internazionali, per il benessere comune precedentemente richiamato». Una puntualizzazione, quest’ultima, volta a richiamare la necessità del riconoscimento del primato della persona sulle strutture: «Un riconoscimento – aggiunge monsignor Russo – che si deve tradurre in agire istituzionale, in linguaggio inclusivo e non divisivo, in capacità di comunicare dando alle parole il peso che meritano. La persona al centro del pensiero e del nostro agire sempre. Nonostante la pandemia, le emergenze inaspettate e le nuove sofferenze, viene sempre valorizzata la persona, in questo specifico caso, italiane e italiani in mobilità».
A mettere in luce il valore della presenza degli italiani nel mondo, è stato poi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «La portata umana, culturale e professionale degli italiani nel mondo – denota il Capo dello Stato in un messaggio inviato alla Fondazione Migrantes -, è di valore inestimabile nell’ambito di quel soft-power che consente di collocare il nostro Paese tra quelli il cui modello di vita gode di maggior attrazione e considerazione». Mattarella ha poi ricordato la presenza degli italo-discendenti, stimata in circa 80 milioni, a cui si aggiungono «gli oltre sei milioni di cittadini italiani residenti all’estero. Le reti che animano e costituiscono questo valore di italicità – aggiunge il Presidente della Repubblica -, meritano riconoscimento e sostegno».